Ma com’è possibile che l’inflazione sia stata ritenuta transitoria per così tanto tempo, salvo ora essere diventata argomento principale di ogni discussione di politica economica e monetaria? La domanda è lecita. Perché a essersi fatta apparentemente cogliere con la guardia abbassata dall’impennata strutturale dei prezzi non è stata una pletora di cittadini comuni, persone normali che si accorgono di certe dinamiche solo quando fanno la spesa ma ne ignorano di processi di formazione, bensì, fior fiore di analisti, economisti, banchieri, regolatori e politici. Vi faccio un esempio eclatante: lo scorso aprile, Goldman Sachs nelle sue previsioni macro 2021-2024 stimava l’inflazione CPI statunitense al 2,20% nelle componente core e al 2,47% in quella headline con riferimento al dicembre di quest’anno. Soltanto a luglio, quelle percentuali erano salite rispettivamente al 4,38% e 4,92%. E oggi? L’ultima proiezione disponibile è quella di ottobre: 5,19% e 6,31%.
Sapete cos’ha reso possibile tutto questo? Sapete cosa ha contestualmente reso possibile il prendere tempo irresponsabile delle Banche centrali con la loro barzelletta auto-assolutoria sulla transitorietà? Il Qe perenne. Anzi, lo sdoganamento di massa di concetti come monetizzazione del debito e finanziamento del deficit, l’approdo nel dibattito non solo pubblico ma anche accademico e istituzionale di concetti come quelli espressi nella cosiddetta teoria monetaria MMT, l’idea insomma che il debito non esista e il denaro si possa stampare con un impulso elettronico e senza conseguenze. Bene, signori: benvenuti nelle conseguenze. E non pensiate che ora la questione cambi di approccio.
Certo, i politici adesso fingono di preoccuparsi per le bollette energetiche esorbitanti e il carrello della spesa che erode un potere d’acquisto fermo alle dinamiche post-Lehman, ma non lo fanno perché hanno capito l’errore o perché realmente intenzionati a operare per una normalizzazione – per quanto dolorosa – dei trend: lo fanno in punta di sondaggi. Il motivo? Lo mostrano questi due grafici, le due facce della stessa medaglia. A oggi e con ancora un mese per arrivare alla fine dell’anno, i buybacks corporate in America sono in rampa di lancio per eclissare il controvalore record del 2018.
Insomma, aziende che si ricomprano con i soldi a zero garantiti dalla Fed e in questo modo mantengono pimpante il mercato azionario, nonostante il taper della stessa Banca centrale. Non a caso, sempre Goldman Sachs parla delle corporations come la principale fonte di sostegno equity per il 2022. Qualcosa come 1 trilione di dollari da spendere unicamente in riacquisto di propri titoli. Ed è in questo contesto di manipolazione totale che si va a inserire il secondo grafico, il quale mette in comparazione l’indice di fiducia dei consumatori Usa con quello degli investitori, quest’ultimo attraverso il proxy dell’andamento dello Standard&Poor’s 500. Come vedete, decouple totale. Disconnessione assoluta, i consumatori – proprio a causa della valanga inflattiva abbattutasi su di loro e il loro potere d’acquisto – vedono il loro sentiment ai minimi storici e in rapido approccio del livello da depressione totale del 2008, mentre chi opera nel grande casinò equity non è mai stato più ottimista ed esuberante. Questo nonostante il taper della Fed, il Covid, l’inflazione, i colli di bottiglia sulla supply chain.
E signori, questi due grafici fanno riferimento alla società statunitense, un’economia che ancora oggi vede i consumi personali pesare per il 65-70% del Pil. Com’è possibile che la Borsa ignori lo stato d’animo di un pilastro macro di quel genere? Semplice, c’è il Qe perenne a garantire i guadagni di Borsa, a chi interessano più i consumatori? Per questo si è lasciato che l’inflazione galoppasse tranquilla, arrivando ai livelli odierni: perché il Sistema doveva decidere se operare in maniera economicamente responsabile rispetto al costo del denaro, alla price discovery e alle distorsioni sul premio di rischio o incassare lauti utili e dividendi. E ha fatto la sua scelta senza pensarci su nemmeno un istante.
Ed ecco perché i mercati continuano a festeggiare, nonostante il taper, il Covid, l’inflazione e le criticità sulla catena di fornitura e la logistica globale: perché finché c’è crisi, c’è Qe. In qualche forma differente, sotto un nuovo nome più esotico, attraverso magheggi di backdoor funding ma ci sarà. Altrimenti, il castello di carte crolla. Esattamente e miseramente come fatto la narrativa sulla transitorietà dell’inflazione. Paradossalmente, quindi, non dovremmo dire che il mercato corre nonostante tutti quegli eventi formalmente avversi, bensì grazie a loro.
Ecco a cosa ci ha portato dar retta ai sacerdoti laici del debito che non esiste, della sterilizzazione creativa, dello stampare senza pensieri e dell’helicopter money: non a caso, paiono spariti dalla scena, nemmeno fossero dei panda necessitanti tutela del Wwf. Parlano di altro, molto spesso di virus e green pass, spaccando il capello in quattro su statistiche e trend di contagio. Non parlano più di Qe perenne e indebitamento come via per la salvezza e il benessere comune. Perché – bollette di luce e gas o ricevuta dei pieno al distributore alla mano – stavolta rischiano di essere inseguiti con i forconi e non più idolatrati sui social.
In fondo, c’è un barlume di giustizia, seppur tardiva, al mondo. Peccato che costi davvero cara.
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