Con qualche colpevole settimana di ritardo, la politica comincia a rendersi conto delle conseguenze meno immediate ed evidenti della situazione ucraina: una crisi alimentare globale, ormai certificata dallo stesso governo di Kiev che parla apertamente di raccolti di grano dimezzati per l’anno in corso. E l’ovvio effetto collaterale e correlato di emigrazione di massa da Paesi particolarmente vulnerabili alla scarsità di cibo. 



Questa infografica di Statista parla chiaramente e ci dice quali siano le nazioni più esposte alle esportazioni di grano ucraino e russo: inutile nascondersi dietro un dito o sperare di relegare ogni criticità al mero aspetto di ordine pubblico, dietro l’angolo c’è una crisi umanitaria pronta a esplodere. In vere e proprie polveriere. Fra cui, lo stesso Egitto da cui il nostro Governo intendeva dipendere per le forniture alternative di gas, prima che la questione Regeni mettesse la mordacchia all’ennesima iniziativa estemporanea e un po’ disperata della diplomazia energetica romana. 



E se questo non bastasse, giova ricordare come proprio l’esplosione del prezzo dei generi alimentari di prima necessità operò da detonatore delle primavere arabe del 2011, come mostra questa seconda infografica sempre a cura di Statista. 

Basti pensare a una cosa: quando questo grafico è stato pubblicato, poco meno di due mesi fa, l’indice Fao relativo all’inflazione alimentare era – come vedete – già a quota record di 138.1. Oggi è a 158.4. Praticamente, la certificazione del disastro alle porte. E mentre attendiamo il default russo, ora più probabile sul debito sovrano in caso davvero gli Usa il 25 maggio non rinnovassero la deroga sui pagamenti di cedole e coupon garantita finora a Bank of Russia, ministero delle Finanze e Fondo sovrano, lo Sri Lanka dall’altro giorno è ufficialmente insolvente sul proprio debito. E, cosa ancora peggiore, ha terminato le riserve di carburante. Una bomba a orologeria il cui conto alla rovescia sta per terminare. 



Vi invito a dare un’occhiata al mappamondo per capire in quale contesto potrebbe andare a inserirsi una crisi sistemica di sostenibilità politica e sociale in quella nazione. E tanto per inviare un messaggio chiaro alle nostre istituzioni, in vista di una stagione estiva ormai più che alle porte e quindi destinata a veder moltiplicarsi gli sbarchi sulle nostre coste, attenzione all’effetto contagio che la contrapposizione Nato-Russia sta già generando in quel calderone di instabilità che risponde al nome di Libia. Ovvero, davanti a casa nostra. 

Per la prima volta dall’operazione di destabilizzazione messa in campo dal duo Obama-Clinton e felicemente orchestrata dalla Francia per garantirsi affari d’oro per Total, una volta eliminato Muhammar Gheddafi, Tripoli ha rivisto scene di battaglia per le proprie strade. Non la periferia della nazione, non località strategiche ma endemicamente percorse da tensioni armate tra fazioni: la capitale. La quale soltanto due giorni fa ha visto Fathi Bashagha, il Primo ministro designato dal Parlamento, costretto al dietrofront con il suo convoglio dopo un assalto armato da parte di sostenitori del suo rivale, il Primo ministro ad interim, Abdul Hamid Dbeibeh. E l’attacco era chiaramente preordinato, poiché non solo i gruppi di fuoco sono penetrati nella capitale nottetempo, preparando il blitz in ogni dettaglio, ma, cosa ancora più preoccupante, l’assalto è stato sostenuto con armi pesanti e munizionamento da guerra, tanto che il ministero dell’Istruzione alle prime luci dell’alba ha diramato un comunicato in cui annunciava la sospensione di ogni attività didattica. 

Insomma, uno spoiler di guerra civile di fronte a noi. A poche ore di gommone o barchino gentilmente messi a disposizione da trafficanti senza scrupoli. E con potenti governi esteri apparentemente tentati dall’ampliare il campo di contrapposizione ucraino a un’altra area ultra-sensibile del mondo. Se oltre all’Est Europa esplode il Medio Oriente, difficilmente si potrà evitare di utilizzare la descrizione coniata già anni fa da papa Francesco di guerra mondiale a pezzi. 

Quali siano interessi e schieramenti in campo in Libia, è noto. Quale sia la valenza strategica di quel Paese per l’intera sicurezza e stabilità del Mediterraneo, altrettanto. Il tutto con la spada di Damocle di un Egitto a forte rischio di tensioni legate al prezzo del cibo, poiché fra le principali vittime del drastico calo dell’export ucraino. Senza contare, poi, altri angoli di Africa pronti a generare carovane di disperati verso gli approdi geografici naturali dell’Europa e un’Asia che vede l’avanguardia dello Sri Lanka porsi come monito rispetto al potenziale distruttivo del combinato di inflazione, debito e pandemia negli angoli più poveri del mondo. 

Questa la situazione, inutile edulcorare la pillola. E, soprattutto, assolutamente mortale il rischio di sostenere le tempistiche bibliche dell’Onu o della Fao nel reagire concretamente: o si fa qualcosa subito o sarà un’estate da allarme rosso. Forse anche per questo, il Consiglio dei ministri tenutosi al rientro di Mario Draghi da Washington ha prorogato sine die lo stato di emergenza per intervento bellico all’estero in scadenza il 25 maggio prossimo? Stiamo per affrontare un mix letale di inflazione alle stelle e flussi migratori assolutamente incontrollabili? 

Sì, inutile negarlo. Com’è assolutamente folle pensare di risolvere una situazione simile senza coinvolgere a un serio tavolo delle trattative Cina, Russia e India. Una domanda, però, potrebbe chiarirvi ulteriormente il quadro e stimolare in voi una riflessione: quale Paese non sarebbe minimamente toccato da una crisi migratoria e, anzi, avrebbe tutto geopoliticamente da guadagnare da un ampliamento della tensione al Medio Oriente? Esatto, lo stesso che mena le danze in Ucraina, forte di un Oceano a difenderlo da contagio ed effetti collaterali delle sue scelte. Ma si sa, la Nato è il Bene assoluto. 

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