I guadagni – lauti – di tutto il 2020 bruciati in quattro giorni di trading. Lo strano sviluppo a orologeria della diffusione del coronavirus e del suo panico accessorio nel mondo si è sostanziato in questo, almeno se si affronta la questione nell’ambito di mia competenza diretta. Una bella purga. Chi è salito in giostra all’ultimo, sperando nel colpo della vita, ora sta probabilmente meditando il colpo di pistola. Ma occorreva capirlo che qualcosa era in arrivo. Perché se il decennale Usa oggi prezza l’1,29% di rendimento, significa che il rischio di recessione è alle porte. Per quante idiozie possano vendervi a reti unificate sull’economia Usa che oggi viaggia a livelli record, la stagione migliore dai mitici anni Sessanta. Balle. Ora qualcuno lo sta capendo, ma questa presa d’atto gli sta costando parecchio a livello finanziario. Magari è la volta che impara la lezione, ovvero stare lontani da ciò che non si conosce.



Quando pubblicavo i grafici comparativi sul trend attuale del Nasdaq sospinto dai vari unicorni tech con quello della bolla occorsa fra il 1999 e il 2001, molti chiudevano la discussione in anticipo, appellandosi unicamente alla coincidenza. Al caso. Forse, al fato. Bene signori, alla chiusura di Wall Street di mercoledì sera, quel pattern di comparazione era giunto a questo livello: ancora sicuri che sia soltanto una coincidenza? O, ringraziando il cielo, finanza ed economia rispondono ancora – per una parte minimale – a leggi che non siano scritte sull’acqua dalle Banche centrale e le quali prevedono che le bolle, prima o poi, esplodano?



E come vedete, se l’accoppiamento dovesse essere rispettato, dovremmo avere una fase di rimbalzo attorno a metà marzo ma di breve respiro, roba da professionisti del mordi e fuggi, cavalieri provetti dell’onda e poi ancora un po’ di sprofondo. Serio. Strutturale, in quel caso. Perché serio e strutturale, occorre ammetterlo, era il grado di sovra-valutazione di quei titoli, la cui espansione dei multipli rispetto alla realtà macro che dovrebbe sostenerli era ormai inaccettabile. Tesla che viaggia verso i 1.000 dollari ad azione? Solo nella fantasia malata di un mondo che fa affari con i soldi del Monopoli. E al netto della Fed che continua a pompare durante le aste repo e term, come la mettiamo con questo altro grafico? Fa riferimento sempre alla chiusura di mercoledì sera e ci dice che oggi il mercato Usa prezza ben tre tagli dei tassi da qui a fine anno.



Di più, se la prossima riunione del Fomc del 18 marzo vede solo il 30% di possibilità che si operi, fra aprile e giugno le chances sono già oltre il 50%. Quindi, intervento al ribasso prima dell’estate. Scusate, ma un’economia sanissima e con il mercato equity che fino a una settimana fa sfondava un record al giorno, perché dovrebbe aver bisogno di tre tagli dei tassi da qui a dicembre e, soprattutto, necessitare del primo in tempi così rapidi? Ma ovviamente per prevenire i danni – non preventivabili e tutti esogeni – del coronavirus a livello globale! Chi poteva immaginare, infatti, una serrata totale della Cina che andasse a far grippare i meccanismi di fornitura del mondo? Senza questo inghippo, tutto era perfetto. E vale per tutti. In Italia, al netto di stime di crescita che facevano drizzare i capelli in testa anche senza aggravanti batteriologiche, già campeggia sui giornali la mitica parolina: flessibilità. Tutto come da copione, in politica come in Borsa. Dove chi doveva scaricare titoli, lo ha fatto con largo anticipo e ai massimi della valutazione. Oggi, invece, ci stanno pensando i cosiddetti soggetti CTA ad alimentare i tonfi, visto che quando vendono i fondi speculativi sulla base di algoritmi è difficile riuscire ad arrestare o anche solo contrastare il flusso. Soprattutto, se si è consci del fatto che il mercato aveva bisogno di questa dieta forzata. Quantomeno per evitare del tutto un epilogo stile 1999-2001.

Sempre mercoledì sera, infatti, a contrattazioni concluse Microsoft ha seguito l’esempio di Apple e ha messo in allarme gli investitori rispetto ai conti e alla guidance del primo trimestre, ovviamente a causa del blocco cinese. Poco dopo è stato il turno di Google, la quale ha addirittura paventato uno scenario di spostamento operativo dalla Cina. Uno dopo l’altro, tutti i grandi soggetti finanziari e industriali stanno sfruttando la finestra di realismo garantita dall’emergenza sanitaria per fare ciò che più gli appare difficile: dire la verità. Ovvero, disvelare la fragilità insita in certe valutazioni spropositate che hanno garantito, negli ultimi trimestri, dividendi senza precedenti.

La festa è finita? Diciamo che i vicini hanno minacciato di chiamare la polizia, se non la si smette di gridare e non si abbassa il volume dello stereo. Quindi, meglio darsi una calmata. Ora l’unica domanda da porsi è quella relativa a quei tre tagli dei tassi che il mercato prezza: sono solo il frutto del panico, lo stesso che in una settimana ha fatto passare l’indicatore del sentiment di mercato della CNN da “estrema avidità” a “estrema paura”, come mostra il grafico? Oppure davvero serve quella sforbiciata netta, in totale antitesi con la narrativa ufficiale?

Difficile dirlo, soprattutto perché da qui al 3 novembre la variabile impazzita delle presidenziali Usa graverà su tutto. I fondi speculativi vendono per non scottarsi sul breve o vendono perché stanno cambiando modello di trading, preparandosi quindi e con anticipo a uno scenario che sarà recessivo? I tonfi di questi giorni fanno rumore, perché sempre accompagnati da immagini di mascherine e provette, ma occorre guardare oltre, capire quale direzione prenderà il mercato dopo questa specie di pit-stop sanitario. Ieri Goldman Sachs ha pubblicato un report nel quale vede l’oro a quota 1.800 dollari l’oncia in tempi brevi, chiaro segnale di aggravamento della crisi sanitaria e della prospettiva sempre più palese di Bernie Sanders come avversario di Donald Trump per la Casa Bianca. La scommessa del mercato, ora, è tutta qui: come evolverà la situazione? Ma, soprattutto, davvero ancora una volta sarà sufficiente l’operatività a forza quattro delle Banche centrali per garantire un’altra decade di opportunità come quella che, apparentemente, il virus cinese sta facendo terminare in maniera così traumatica?

La sfida è questa, calibrare le mosse. Per la prima volta da almeno il 2012, l’onnipotenza di Fed e compagnia stampante è silenziosamente ma sempre più chiaramente messa in dubbio dalle forze di mercato, esauste dopo un rally che ha visto sciorinare il peggior repertorio di dissimulazione e manipolazione di sempre. La bolla scoppierà o subirà solo un drastico sgonfiamento controllato, in attesa di tornare ai bei tempi dell’espansione senza limiti? Io propendo per la seconda ipotesi, non fosse altro perché con il voto americano del 3 novembre e Bernie Sanders in continua ascesa, Wall Street vorrà vederci chiaro e sarà pronta a turarsi il naso. A meno che il senatore del Vermont non diventi, con il proseguo della campagna elettorale, un pericolo reale e non più solo un macchiettistico spauracchio: in quel caso, allora, un evento shock and awe, uno spavento generale che veda messo a rischio il risparmio degli americani, potrebbe rivelarsi necessario. E dopo la paura per il virus, arriverà dritta dritta da Wall Street quella per il mutuo, il conto in banca e le tasse del college dei figli. E allora sarà panico vero. Io, almeno, per ora la vedo così.