Il mondo comincia davvero a farmi tenerezza. Ma una tenerezza che fa arrabbiare e cadere le braccia, molto confinante con quel sentimento tutt’altro che nobile che è il compatimento. Ho un bruttissimo difetto, fra gli altri: odio a morte gli ipocriti. Non li sopporto proprio. E, francamente, in questi giorni siamo all’apoteosi. Perché un velo di ipocrisia sta scendendo come una nebbia fitta e sottile su tutto e tutti: ma non è poetico, è una cortina fumogena. Pericolosa. Cosa vi avevo detto in tempi non sospetti riguardo la vera natura – tutta politica – della crociata ambientalista di Alexandria Ocasio-Cortez, il suo Green new deal supportato con tanto entusiasmo da tutta la stampa che conta? Ovvero, che sarebbe diventata a breve la scusa buonista e politicamente corretta globale per fare spesa pubblica a cascata. Et voilà, serviti. E ovviamente, trattandosi di spese spesso e volentieri inutili ma veicolate al consenso, l’Italia (primatista mondiale della categoria) non poteva che essere all’avanguardia, addirittura con tanto di auto-incoronazione nel ruolo da parte di Giuseppe Conte in un contesto ufficiale e autorevole come l’assemblea dell’Onu.



Il mondo esplode già oggi di debito e indebitamento, di sprechi e prebende, di eccessi e mal-investment: ne serve forse altro, a vostro avviso? Curereste un malato di cirrosi epatica, prescrivendoli del cognac quattro volte al giorno da alternarsi con whisky irlandese? Io non so se avete bene in mente cosa stia succedendo, ma, temo, sia meglio che vi prepariate al peggio. E scusate il bisticcio lessicale. Io sono terrorizzato da un mondo, soprattutto politico e presunto intellettual-culturale-accademico, che ha visto le giornate di lunedì e martedì monopolizzate dal dibattito sull’intervento, sempre alla Nazioni Unite, di Greta Thunberg. Perché sempre lunedì e con meno eco mediatica, ha parlato qualcun altro: Mario Draghi all’Europarlamento, nel suo ultimo discorso da governatore della Bce. E le sue parole, più che un formale commiato, sono state una presa d’atto di cosa stia arrivandoci addosso: una sorta di ecatombe economica. E ripeto e sottolineo, economica. Perché tranquilli che la finanza, temo attraverso un azzardato esperimento di distruzione creativa schumpeteriana, ne uscirà ancora sulle proprie gambe. Paradossalmente, più forte e accentratrice di prima.



E sapete perché Mario Draghi, il mister Wolf dello stimolo monetario, aveva quella faccia funerea e proferiva parole da de profundis, ammettendo che il peggioramento delle condizioni macro aveva subito un netta e preoccupante accelerazione? Proprio per il motivo che enunciavo prima: stiamo curando una dipendenza con la sostanza che l’ha provocata. E temo che il suo viso contrito fosse il ritratto del senso di colpa, quantomeno parziale.

Un esempio concreto? Guardate questi due grafici, i quali dicono tutto. Almeno, a me. Il primo conferma che il tracollo appena patito dall’indice Ifo tedesco – il quale ha mostrato il peggiore dei proxy, ovvero il contagio della contrazione dalla manifattura al comparto dei servizi – si traduce, di fatto, in una proiezione del Pil della Germania su base annua di qualcosa come il -6%, roba da grande crisi finanziaria. Non perdo tempo io e non ne faccio perdere a voi, ricordando cosa significhi per la produzione industriale e gli ordinativi per l’export italiani una situazione simile.



Il secondo grafico, poi, spiega a mio avviso tutti i timori di Mario Draghi e svela come il Re dell’onnipotenza monetaria sia ormai nudo come un verme: il trend industriale tedesco dallo scorso novembre, quando proprio il numero uno della Bce decise con un blitz di intervenire sul re-investimento titoli post-Qe, garantendo un de facto scudo anti-spread, è andato sempre peggiorando. E nettamente. Questo nonostante la Bce, paradossalmente, mentre stava in via ufficiale per chiudere il ciclo di acquisti, apriva contemporaneamente ai prodromi di nuovo stimolo a breve, assumendo appunto un profilo da colomba.

Cosa significa? Che lo stimolo monetario serve a banche e finanza, ma non serve a nulla all’economia reale. Anzi, peggiora le cose. Chi produce, per sopravvivere in un contesto di globalizzazione morente e concorrenza sleale (anche valutaria) ormai come unica regola, deve basarsi invece su due soli pilastri: competizione e innovazione. La Cina e la sua sovra-produzione da dumping strutturale la batti così, non con le presse che stampano soldi: lasciamolo fare a loro, lasciamo che anneghino nel medio periodo nella loro finanza creativa.

Sapete chi era il maggior azionista di Thomas Cook, il tour operatore inglese fallito dalla sera alla mattina? Il conglomerato di investimento cinese Fosun, il quale a inizio anno aveva promesso un investimento da 560 milioni di euro nell’azienda, salvo sfilarsi bellamente quando, come nello scorso weekend, sarebbero bastati 369 milioni quantomeno per scongiurare la bancarotta immediata e le sue conseguenze nefaste. La stamperia allegra è stata fondamentale per evitare il collasso del sistema finanziario e creditizio, quindi benedetta, ma ora serve altro: vogliamo davvero affidarci a nuove tassazioni green per uscire dal guado e affrontare il guanto di sfida che Cina e Usa hanno lanciato al mondo? Non ci è bastata la lezione impartitaci dall’aver creduto a quella pagliacciata del piano Juncker, non a caso un veicolo finanziario basato sul leverage, ma spacciato come sani investimenti per la crescita reale?

Signori, la sabbia nella clessidra sta finendo. E stavolta davvero. Volete la riprova? Guardate questa tabella contenuta nell’ultimo report di Capital Economics: le stime di Pil e inflazione nell’eurozona per il 2020 sono da mani nei capelli, rispettivamente solo +0,5% e meno dell’1%. Per Germania e Italia è attesa la stagnazione ufficiale e si prevede che la Bce debba andare in negativo fino allo 0,80% sul tasso di deposito (schiantando del tutto il sistema bancario, il quale avrà bisogno di aumenti di capitale monstre e tagli occupazionali spaventosi), salvo poi cedere e lanciare un Qe tout court. Siamo davvero sulla strada verso il disastro. E qualcuno sta premendo sull’acceleratore, invece che frenare.

Vi pare un caso che la Corte costituzionale britannica abbia bocciato la sospensione del Parlamento voluta da Boris Johnson, spalancando le porte dell’incidente politico e dello slittamento emergenziale di tutte le scadenze sul Brexit? Vi pare un caso che proprio ora si torni a parlare, con atti concreti a tempo di record, di impeachment per Donald Trump? Oltretutto sul tema dell’Ucraina, l’ultimo al mondo cui attaccarsi in casa dei Democratici, visti gli scheletri nell’armadio del periodo di gestione del Dipartimento di Stato di Hillary Clinton e visto il palese sostegno che gli Stati Uniti garantirono al golpe di Maidan e al governo fantoccio di Petro Poroshenko, di fatto un pupazzo nelle mani del Fmi.

Il sistema non ce la fa più, è alla fine: la Fed sta iniettando liquidità a un giorno da una settimana per un controvalore di 75 miliardi quotidiani e continuerà a farlo fino al 10 ottobre, perché altrimenti il mercato interbancario si congelerebbe come accaduto subito prima del crollo Lehman. E non parliamo di aste repo a termine, quelle a 14 giorni che vengono usate questa settimana per le scadenze di fine trimestre, parliamo di prestiti a 24 ore per ottenere liquidità in cambio di Treasuries: se non fosse tornata direttamente in azione la Fed dal 17 settembre scorso, dopo 10 anni di assenza dal mercato repo, la situazione sarebbe stata tale che in un sistema come quello Usa – con 1,3 triliardi di riserve in eccesso (formalmente) -, alcuni soggetti disperatamente alla ricerca di liquidità a un giorno non avrebbero trovato controparti disposte a fornirgliela, se non all’8-10%. Poi, l’era glaciale, tutto bloccato. Significa, in soldoni, che nel sistema c’è timore che qualcuno possa chiedere soldi e non essere in grado di ridarteli il giorno dopo: ovvero, come Lehman, morire nottetempo.

Signori, sono questi i tempi che stiamo vivendo e la situazione sta precipitando sempre più velocemente, ancorché sottotraccia e lontana dalle prime pagine dei giornali. Se invece ritenete che la priorità siano i sogni e la presunta infanzia rubati di Greta Thunberg e la risposta stia tutta nel Green new deal e nella tassazione delle merendine, allora state pure tranquilli. E sereni.