I principali quotidiani italiani ieri invitavano la Bce a fermare il rialzo dei tassi; l’inflazione sta rallentando e l’impatto sull’economia sarebbe insostenibile. Queste sono le motivazioni ufficiali a cui si aggiunge, più sottovoce, quella sull’apertura degli spread dentro l’Europa come sempre accaduto in fase di rallentamento economico o di politiche monetarie meno accomodanti. Ieri Bloomberg decideva di sottoporre all’attenzione degli investitori un articolo di Bill Dudley già Presidente della Federal Reserve di New York.



L’economista evidenzia tre fattori: l’economia americana potrebbe essere più forte delle attuali attese anche per effetto del mega pacchetto di stimoli fiscali approvato dall’Amministrazione Biden; la politica monetaria non sembra essere sufficientemente restrittiva per abbassare la crescita che, tra gli altri motivi, è spinta da fattori anomali come la ristrutturazione delle catene di fornitura e l’esigenza di riportare in patria produzioni in precedenza “appaltate” a Paesi oggi oltre cortina; il bilancio della Fed è ancora molto superiore ai livelli “normali” anteriori alla pandemia e alle politiche di lockdown.



Dudley aggiunge un’altra osservazione: il calo dei prezzi della componente dei beni dell’inflazione dovrebbe essere considerata temporanea, esattamente com’è stata considerata temporanea quella al rialzo vista nel 2022, e quindi non dovrebbe influenzare le politiche della Fed. L’inevitabile “fine corsa” delle politiche di rialzo dei tassi e l’inevitabile conclusione degli stimoli fiscali consegneranno, sempre secondo Dudley, uno scenario problematico sia a livello di politiche fiscali, sia a livello di volatilità delle obbligazioni. Questa però non è la prospettiva immediata.



In sostanza niente, al momento, giustifica un cambio di politica monetaria della banca centrale americana. Le variabili, allungando lo sguardo oltre il breve termine, si moltiplicano; entrano in scena le conseguenze che le tensioni geopolitiche potrebbero avere su gas e petrolio e, poi, nel 2024 le elezioni presidenziali americane. La Federal Reserve, a quel punto, dovrà destreggiarsi tra l’esigenza di tenere l’inflazione sotto controllo e quella di spingere la crescita. Sono preoccupazioni e temi per la seconda parte del 2023 o la prima parte del 2024.

Oggi un cambio di politica monetaria della Bce avrebbe conseguenze immediate sul tasso di cambio dell’euro e sulla competitività dei mercati finanziari europei. Euro debole significa più inflazione e meno appetito a investire degli operatori globali che già si interrogano con preoccupazione sulle prospettive di crescita di un continente che ha visto volatilizzare il surplus commerciale, con una popolazione che invecchia e che vive ancora nel sogno costosissimo della “rivoluzione green”.

L’Europa può chiudere la questione spread dicendo alla Bce di smettere di alzare i tassi per aprire la questione inflazione e valuta su cui le sensibilità sono uguali e contrarie a quelle dei tassi delle obbligazioni statali. Oltre le sfide di breve periodo, che non sono affatto banali, quale è la strategia economica e politica che l’Europa vende ai propri cittadini e sui mercati? Quella ufficialmente chiusa con lo scoppio della guerra in Ucraina non sembra più riproponibile nemmeno immaginando nuovi tecnicismi.

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