Cosa io pensi dell’attuale Governo in carica è noto a tutti. Sapete che non sopporto la tiepidezza di giudizio, né il professare pedissequamente l’equidistanza richiesta dal mio lavoro, spacciandola per serietà quando invece si configura – quasi sempre – in paraculesca e interessata allergia nel prendere una posizione. I signori al Governo sono una sciagura che prima toglie il disturbo, meglio è: almeno siamo chiari del tutto. La questione di fondo, però, non è semplice come una presa di posizione simile potrebbe far presupporre. Ovvero, via questi, dentro l’opposizione in ossequio alla logica dell’alternanza. Signori, avete visto chi rappresenta l’opposizione in questo Paese? Anzi, più che l’altro, l’avete sentito? Forza Italia ormai sopravvive per inerzia democratica del sistema: quando qualcuno avrà voglia e necessità elettorale di colonizzare ciò che ne resta, sparirà del tutto in mille rivoli di implosione del nulla. Scissione dell’atomo allo stato puro, come nemmeno Rifondazione Comunista ai tempi della fronda cossuttiana. D’altronde, signori, è un po’ il segno dei tempi. Quasi una nemesi.



Avete fatto caso, vedendo le reti Mediaset, allo spot che passa in continuazione, quello che sottolinea l’importanza della corretta informazione in tempi di virus e fake news e che invita a seguire soltanto editori veri e credibili? Una sorta di conventio ad excludendum da parte della cosiddetta “stampa autorevole” nei confronti del chiacchiericcio globale ai tempi dei social. Scusate, ma l’editore serio che fa la morale, ad esempio, a siti come questo che non rientrano nel grande circo mediatico dei soliti noti, è lo stesso che permette – in nome di audience e introiti pubblicitari – di delegare la parte pop dell’informazione di testata a Barbara d’Urso, magari con coté di Eterno riposo recitato in diretta vestita come Wanda Osiris e in compagnia del capo del principale partito di opposizione, in versione Frate Indovino del sovranismo? E, per pura coincidenza, quell’editore non è anche il capo di Forza Italia? Questi sono gli editori seri di cui bisogna fidarsi in tempi di pandemia? Auguroni.



Ma veniamo ai due cavalli di razza dell’opposizione, quella che – almeno in casa leghista – sta tirando la volata a un esecutivo Draghi di salute pubblica, in attesa scalpitante di tornare in servizio effettivo a palazzo Chigi. Il senatore Matteo Salvini, quando non recita novene in tv e non posta foto di timballi di maccheroni, si lancia in strepitose ricette economiche, immagino suggeritigli dal gatto e la volpe di cui può vantare i servigi in tema di conti e conticini. Insieme a un bel condono tombale, destinato a premiare quegli stessi evasori che con il loro comportamento fiscale hanno sottratto fondi anche a quella sanità pubblica oggi in trincea, ora vuole i Bot di guerra. Ovvero, nel momento in cui l’Italia ha necessità di finanziarsi a più lungo termine possibile, sfruttando al massimo e in fretta lo scudo garantito dal bazooka della Bce sull’obbligazionario sovrano, il wannabe primo ministro di questo Paese spariglia le carte e punta tutto su emissioni emergenziali a breve scadenza. Una mossa un po’ alla Greenspan, insomma. Quindi, il corrispettivo finanziario della corazzata Potemkin.



E a dirlo non sono io, bensì i numeri. E questo grafico, dal quale si evince che la schermatura dell’Eurotower sta funzionando eccome: martedì, infatti, il Tesoro ha emesso Btp a scadenza decennale per 1,5 miliardi di controvalore all’1,44% di rendimento e, soprattutto, con domanda pari a 2,289 miliardi. Visto da questo punto di vista, diciamo che il nostro Paese non pare avere bisogno stringente dei coronabonds. Come vi dico dalla scorsa settimana, basta lo schermo Bce per garantirci dai rischi sui mercati del debito sovrano e sui costi dei suo servizio.

E qui veniamo all’onorevole Giorgia Meloni, la quale da tempo sta combattendo una battaglia campale (e decisamente coerente, questo le va riconosciuto) contro l’Ue e ultimamente sta sponsorizzando l’utilissima ed edificante pratica di ammainare la bandiera europea da tutti i contesti istituzionali, mossa primigenia nata dall’intuizione da novello Glezos dell’onorevole Fabio Rampelli, vice-presidente della Camera. Ora, guardate questa immagine: è lo screenshot di un’agenzia Reuters, la quale offriva conferma dell’avvenuto inizio operativo degli acquisti di debito sovrano in seno al nuovo programma Pepp dell’Eurotower. Devo dire per un controvalore niente male per i primi due giorni di “spesa”, no?

L’Italia beneficerà di acquisti su backstop dell’Eurotower per 220 miliardi di euro circa, non proprio bruscolini: sapete cosa significa per un Paese come il nostro, il cui dato da film horror relativo al Pil del primo semestre è stato reso noto martedì da Confindustria (-10%), avere la certezza che un ammontare simile di Btp verrà acquistato senza scossoni sui costi e sullo spread da un prestatore di ultima istanza? Significa la differenza fra vivere e morire. Molto semplice. Significa, soprattutto, la possibilità di organizzare un piano di rilancio senza il patema d’animo di una messa in mora a ogni asta come nel 2011. Magari, come all’epoca, dovendo ricorrere anche ai mezzucci delle emissioni rinviate o cancellate all’ultimo minuto per “ragioni tecniche”.

Ieri ho ricevuto il comunicato stampa dell’Anie, la federazione (oltre 1400 industrie associate) che rappresenta il comparto delle imprese elettroniche ed elettrotecniche italiane, un settore che vanta circa 500mila occupati. Bene, vi ripropongo solo due righe: “Il 70% delle imprese del campione d’indagine ha registrato un effetto negativo sull’attività aziendale con un impatto significativo nell’acquisizione di input produttivi e sulla domanda… il lockdown coinvolge l’80% delle imprese del settore, con il 73% del fatturato aggregato e con il 76% degli occupati”. Cosa chiedono queste aziende, oltre a un aiuto per reperire attrezzature e dispositivi di protezione individuale e una procedura semplificata per il loro approvvigionamento? Sostegni finanziari. E come l’Anie stanno lanciando il loro grido di dolore tutte le categorie e i settori produttivi del Paese. Tutti. Bene, senza l’Europa di cui l’onorevole Meloni chiede la ghirba, mentre i suoi sodali ammainano le bandiere, quanta capacità di movimento avrebbe un Paese con il 130% e fischia di ratio debito/Pil, prima che sui mercati si scateni l’inferno dello spread, il quale significa niente altro che premio di rischio per chi ci presta soldi?

Già, perché mentre si tolgono i drappi azzurro-stellati, occorrerebbe anche ricordarsi che la lettera e che si trova nel finale dell’acronimo Bce sta per “europea”. Non “eclettica” o “estroversa” o “entusiasta”. E che quella stessa e sta, già oggi, permettendoci di condurre aste di finanziamento a lungo termine come quella di martedì. Occorrerebbe essere seri, prima di ricorrere alle pagliacciate dell’ammaina-bandiera in diretta Facebook, perché qui stiamo rischiando la tenuta stessa dell’economia del Paese.

Cosa vogliono gli onorevoli Salvini e Meloni dall’Europa, in parole povere? La mutualizzazione del debito, probabilmente. La quale appare quantomeno lunare come concetto, non fosse altro perché con un backstop come quello già in atto con il Pepp e la sospensione del Patto di stabilità, la possibilità di spendere in deficit c’è già. E anche la garanzia di fondo che quel debito contratto dagli Stati non subirà assalti redentori della Troika di turno: lo sanno tutti. In primis, Mario Draghi. Il quale nella sua intervista al Financial Times ha infatti parlato di necessità di indebitamento da parte dei vari Stati, non di eurobond o mutualizzazione del debito. Basta leggerla, è chiara come acqua di fonte. Certo, occorre la volontà di capirla. Mentre qui mi pare prevalente la propensione a interpretarla a proprio piacimento e per tornaconto politico.

Mario Draghi non ha mai chiesto ai Paesi del Nord di aprire a obbligazioni con garanzia comune, ha invitato gli stessi a mettere da parte le rigidità condizionali – quando non i divieti veri e propri, con minacce di apertura di procedure d’infrazione – e a permettere agli Stati membri di spendere come e quanto vogliono (e possono) per far fronte all’emergenza. Noi abbiamo la Bce che ci compra, sicuramente, debito per un controvalore di 220 miliardi quest’anno, direi un sostegno non da poco da parte di un’istituzione che – fino a un mesetto fa – non aveva fra i suoi mandati statutari quello di tamponare gli spread sovrani, non vi pare? Il problema è che noi vogliamo di più. Ma quel di più non sta nelle regole europee. Quindi, se qualcuno ti fa notare che prima di ottenerlo devi cambiare quelle regole (sicuramente sbagliate e ottuse) attraverso un processo democratico e condiviso, non dice altro che la verità. Per quanto sgradevole possa apparire, soprattutto quando il tuo Pil del semestre sta facendo rotta verso il -10%.

Ma chi ha creato le condizioni di fragilità strutturale del sistema economico e, soprattutto, di sistemica incapacità di garantire la giusta trasmissione del credito a imprese e famiglie in questo Paese e non da ieri? Forse Angela Merkel? Forse gli olandesi? O forse il susseguirsi, bipartisan e multicolore, di governi incapaci nell’agire concreto che chiedevano le imprese ma bravissimi nello scaricare propagandisticamente tutte le colpe sull’Europa? Il tutto, mentre ingrassavano debito pubblico e clientele statali (vedi Alitalia, per fare un esempio) trasformate in rendite di posizione elettorale o si coccolavano un sistema bancario che operava esso stesso da prestatore di ultima istanza del Tesoro e non da finanziatore di chi investe e rischia. Pensateci, per favore. Perché stiamo per sprofondare.

Lo mostra questo ultimo grafico: a detta dei consulenti economici del governo Merkel, la Germania rischia una recessione economica peggiore di quella seguita alla grande crisi finanziaria del 2009. Le stime relative alla contrazione attesa nell’anno in corso variano infatti fra uno scenario benigno del -2,8% al worst case scenario del -5,4%, se la serrata imposta della quarantena dovesse protrarsi più a lungo del previsto. E al netto degli infantili attacchi di schadenfreude di sovranisti e ammainatori di bandiere europee nostrani, il dato di interscambio commerciale fra Italia e Germania parla una lingua funebre: se Berlino cade, le macerie finiranno tutte in testa ai clusters di subfornitori industriali e di componentistica del Nord Italia. Come quelli rappresentato da Anie.

E sapete cosa è davvero grave? La totale assenza di guida e di certezza che impera in questo Paese, la stessa che martedì ha spinto i tecnici del Tesoro a essere timidi e troppo cautelativi, nel quantificare il controvalore di debito messo all’asta, stante la condizioni di mercato ultra-favorevoli. Ma li capisco. Anzi, hanno fatto bene. Perché quando un Governo, in piena emergenza, riesce a partorire questo e a emanarlo come ordinanza urgente, significa che semplicemente non ha capito nulla di come stiano davvero le cose. Lucida le maniglie sul Titanic. Lontano anni luce dalla percezione di associazione come l’Anie e decine di altre, lontano dalle professioni e dai mestieri, lontano dal mondo reale, dalle fabbriche e dai negozi.

Questo è il quadro, signori miei. Sintetizzato splendidamente nell’atteggiamento da “paura che fa 90” dei tecnici del Tesoro all’asta di martedì, nonostante lo scudo certo della Bce. La stessa che Meloni e soci vorrebbero ammainare.

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