Volete la prova provata del fatto che l’Europa stia letteralmente saltando per aria, seppur con garbata propensione a nascondere il proprio cedimento strutturale sotto quintali di maquillage ideologico?

Pronti. All’Eurogruppo di ieri a Budapest erano presenti solo 7 ministri su 20, in ossequio al boicottaggio europeo della presidenza magiara, rea di non rispettare i diritti e fare strame dello stato di diritto. Un po’ quello che sta facendo la Germania di Olaf Scholz in queste ore in materia di immigrazione. Ma meglio non dirlo troppo a voce alta. E signori, in programma nel pomeriggio non c’era una riunione da poco. Bensì, l’Ecofin. Ovvero, il meeting dei ministri delle Finanze degli Stati membri. L’Italia era presente. E questo ci fa onore. Ma ora mettete questa notizia in coda a quella che solo 48 ore prima ha visto Ursula Von der Leyen rinviare la presentazione della nuova Commissione Ue, semplicemente perché quest’ultima ancora non esiste, bloccata dai veti incrociati. Lo avete fatto? Bene, ora andate a rileggere un po’ di retorica seguita alla presentazione dell’agenda Draghi. Quanto è credibile un piano da 800 miliardi di euro all’anno basato su emissioni di debito comune, a fronte di una Commissione inesistente a tre mesi dal voto e un pre-Ecofin andato deserto, perché occorre dir vita alle ripicche Lgbt dei Governi a guida socialista?



Eppure vedrete che continueranno a inondarci di falsi allarmi e false notizie, fino a quando non otterranno ciò che vogliono. Un clamoroso compromesso al ribasso che porti all’immediata approvazione (e conseguente adozione) della versione del Mes riformato e ampliato nei controvalori in dotazione. Solo questo. Tanto rumore per garantire il paracadute alle banche. L’ennesimo. Altro che 800 miliardi l’anno per la competitività.



Non ci credete? Vi racconto un paio di notizie dei giorni scorsi. E di cui non avete letto da nessuno parte, tanto per farvi capire come tutto il mondo sia paese. E che quasi nulla sia in realtà come appare. Ricorderete come l’anno scorso Ubs abbia pagato 3 miliardi di franchi per salvare Credit Suisse (CS) dal default, valutando l’azione dell’ex concorrente a 76 centesimi e offrendo agli ex azionisti, 1 azione Ubs contro 22,48 di CS. D’altronde, quando certe operazioni si svolgono con la parola default a fare da sfondo e con i regolatori che benedicono il matrimonio, l’emergenza opera da price discovery. Ma quanto al ribasso si è andati sfruttando i sudori freddi di quel weekend di metà marzo del 2023?



Stando a una nuova valutazione indipendente, il valore dell’azione CS – all’epoca del takeover – sarebbe stato compreso tra 3,67 e 9,26 franchi, a seconda del metodo di valutazione applicato. Lo ha stabilito la IVA Valuation & Advisory AG, incaricata da LegalPass nell’ambito della class action di circa 3mila ex azionisti di CS depositata l’anno scorso al Tribunale di Zurigo. Ora, io qualche dubbio di fronte a una forchetta di valutazione ipotetica ed empirica così ampia, ce l’ho. E nemmeno tanto piccolo. Ma non tanto e non solo per la formula un po’ dietrologicamente omnicomprensiva delle varie metodologie utilizzate. Come dire, si può fare in 5 modi e Ubs ha scelto quello a sé più conveniente. Qualcuno eventualmente si stupirebbe? La questione sta nelle retrovie di quello spettro valutativo. E vi invito in tal senso dare un’occhiata al contenuto di questo primo link. Di colpo, la stessa Ubs vede il suo responsabile dei derivati tramutarsi in orso e prospettare fino a un 10% di calo dello Standard&Poor’s, poiché i prossimi due mesi potrebbero essere caratterizzati da un ampio smobilizzo.

Vuoi vedere che allora è vero quanto scritto da Bloomberg Intelligence, ovvero che l’unwind del carry trade sullo yen ha ancora potenziale destabilizzante da mettere in campo, prima di esaurire tutto il suo reflusso da tsunami, come mostra questo grafico?

O forse a spaventare è altro? Magari gli swap legati a Gamestop, terminati in pancia a Ubs con tutto il carico di derivati di Archegos e che da qui al voto Usa potrebbero strategicamente tornare utili a chi, già una volta, ha utilizzato Roaring Kitty come market mover alternativo alla ritrita data-dependency? In tal senso e in ossequio al motto del tout se tient, date un’occhiata a questo secondo link. Prima che la campanella di Wall Street suonasse martedì sera, il Financial Times rendeva noto come – stando a sue fonti, mai smentite nemmeno nei giorni successivi – i regolatori Usa avrebbero dato vita a una clamorosa (e rivelatrice) revisione del piano di aumento dei requisiti di capitali richiesto alle principali banche come buffer per assorbire shock sistemici. Dal 19% originario, infatti, la crociata capitanata da JP Morgan avrebbe ottenuto un dimezzamento. Al 9%. Praticamente, Sec e soci hanno deciso che alle banche sistemiche serve la metà di quanto imposto solo pochi mesi fa come argine a eventuali crisi di liquidità che colpissero il mercato. Poi vi stupite di come Warren Buffett abbia scaricato 7,2 miliardi di titoli Bank of America tra il 19 luglio e il 10 settembre scorsi?

Vuol dire che va tutto bene, quindi? Oppure vuol dire il contrario? A mio avviso, trattasi della seconda ipotesi. E in tal senso, mi chiedo e vi chiedo: quanti iceberg stanno muovendosi, apparentemente tutti insieme, sotto il pelo dell’acqua di un mercato dipinto come placido lago alpino? O forse queste notizie, pubblicate martedì nell’arco di tre ore l’una dall’altra e terminate nell’oblio a tempo di record, devono lasciarci indifferenti o addirittura rassicurarci?

In un mondo simile, vi pare normale che i ministri delle Finanze Ue boicottino l’Ecofin per mere ragioni ideologiche? Lo trovate responsabile? O, forse, la situazione è già talmente compromessa da lasciare spazio a battaglie di retroguardia, sperando di salvare il salvabile almeno a livello di tenute politiche interne, vedi Olaf Scholz sui migranti?

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