Prometto ufficialmente e solennemente che la prossima settimana sarà più breve, dopo tre articoli oggettivamente alluvionali. Mi consentirete quindi, anche alla luce della campagna di opposizione al Mes cui la Lega darà vita nelle piazze italiane nel corso di questo fine settimana e del mio articolo di giovedì, due corpose considerazioni finali sulla vicenda.



Primo, l’assalto alla diligenza della propaganda politica del partito del senatore Salvini, di Fratelli d’Italia e – solo in parte e ipocritamente, come al solito – di M5s in vista delle regionali in Emilia-Romagna (e più in generale di un possibile voto anticipato a primavera), è miseramente fallito. L’Eurogruppo del 4 dicembre ha rinviato l’intera decisione almeno al marzo 2020, proprio per dare tempo a tutti gli Stati membri di rivalutare i particolari dell’accordo di massima già raggiunto. E poi fare la sintesi. Nel valutare il ministro Gualtieri un parvenu nel ruolo di titolare del Mef mi sono decisamente sbagliato. Mea culpa, forte anche della sua esperienza pluriennale a Bruxelles, occorre ammettere che in Europa si muove decisamente bene. E questo, a volte, conta più delle conoscenze in materia economica, visto che per quello ci sono i funzionari ministeriali.



È andata male a chi pensava di sfruttare un tema tremendamente serio per meri interessi particolari e di bottega, in modalità pronta cassa elettorale. Ed ecco, infatti, che in casa Lega i toni si sono immediatamente abbassati, divenendo quasi di sottofondo e lasciando il solito onorevole Claudio Borghi a recitare il ruolo del Giamburrasca travestito da Nobel incompreso per l’Economia. Mentre in casa M5s, la questione è stata proprio accantonata, facendo spazio al nuovo drappo rosso da agitare davanti al toro dell’opinione pubblica. Anzi, dei mitologici “cittadini”, in nome dei quali si doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno: la prescrizione, nuova linea Maginot in seno all’accordo spurio di governo con il Pd.



L’onorevole Meloni, invece, spiazzata totalmente dal nulla che rischia ora di incassare con la retorica delle banche tedesche da salvare con i risparmi delle vecchine dell’Irpinia, ha deciso di virare sul feticista e si è messa a fare concorrenza proprio all’onorevole Borghi, gironzolando furbescamente e ammiccante attorno al concetto di un euro in discussione che non deve essere più tabù. Insomma, calcisticamente parlando, erano partiti all’attacco in dieci e a testa bassa come il Milan di Arrigo Sacchi e si sono ritrovati sotto per 1-0 al 92° a causa del più classico dei contropiedi figlio dal catenaccio. E il contraccolpo si è sentito, nitidamente. Tempo una settimana, passati i gazebo leghisti del weekend e vedrete che il Mes tornerà nel cassetto fino almeno a febbraio, quando magari farà comodo per nascondere risultati elettorali meno brillanti di quanto non si preventivasse. Forse, allora, non avevo proprio peccato di prevenzione nel mio articolo di giovedì, cosa dite?

Secondo punto, a mio avviso più grave e strutturale. Vedo infatti che anche all’interno del Pd e di Forza Italia si continua con il balletto attorno alla questione delle clausole e del rating relativo ai nostri titoli di Stato detenuti dai vari soggetti privati, utilizzando questi due argomenti come furbesco e “alto” rilievo critico verso il Mes, in favore di telecamera e in modalità paraculante verso elettorato e opinione pubblica in generale. A loro, come ai propagandisti del Mes come male assoluto, rivolgo una sola domanda, semplice semplice, roba da mercato rionale come livello di profondità analitica: se voi concedete un prestito a qualcuno, non chiedete delle garanzie? E non parlo ovviamente dei soldi che un padre anticipa al figlio per comprare casa o l’automobile, parlo di questioni legate al lavoro, agli affari, cose scevre da “incrostazioni” affettive. Se sì, come immagino e spero per voi, per quale ragione allora i bond italiani, appendice obbligazionaria diretta di un debito pubblico al 130% del Pil e in continuo aumento (anche per finanziare idiozie come il reddito di cittadinanza o Quota 100, tanto per restare sulla stretta attualità), dovrebbero essere considerati risk-free per volontà divina o miracolistico decreto? Per fare piacere ad Antonio Patuelli e alle banche che rappresenta come numero uno dell’Abi, le quali potranno così continuare imperterrite e felici nel loro doom loop con la politica a colpi di detenzioni monstre di Btp, invece di assolvere al loro compito statutario di erogare credito e gestire risparmio? Se vogliono fare trading, operare sui bond sovrani e comportarsi come banche d’investimento, liberissime. Però, signori, due condizioni mi paiono il minimo sindacale da richiedere loro.

Primo, nessun pasto gratis. I rischi – compresi quelli legati alla carta del nostro debito pubblico – ce li si assume in prima persona, come tutti gli investitori del mondo. Secondo, via filiali, sportelli e bancomat. Se fai la merchant bank, se il trading è il tuo core business, non puoi contemporaneamente fare anche il retail e camparci profumatamente. Come si dice, non si può essere incinta solo un po’. E la marcia indietro compiuta tre giorni fa dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, in audizione alla Camera rispetto ai toni guerreggianti e anti-Mes dei giorni scorsi, pare dirci che la coda di paglia del sistema Italia rispetto alla revisione del Fondo salva-Stati sia decisamente lunga. E con diramazioni che vanno ben oltre la politica politicante che guarda solo ai sondaggi. È il sistema Italia che teme come la peste quella bruttissima abitudine che si chiama assunzione di responsabilità.

Vi faccio un esempio chiaro, proprio terra terra. Difendere il proprio settore bancario è fondamentale, il credito è la linfa di un’economia e quindi di un Paese. Erano però i grillini, se non sbaglio, a dire che le banche non vanno salvate con soldi pubblici. Ora, invece, in difesa di quelle stesse banche parevano quasi pronti a mandare in crisi il governo, saltando sul carro dell’opposizione al Mes con evidente scompostezza. Mi chiedo, quindi: se fino all’altro giorno lanciavi strali contro il comparto del credito, chiedendo Commissioni conoscitive e di inchiesta a ogni piè sospinto, perché dovrebbe darti fastidio il fatto che l’Europa, per una volta, la faccia giusta e chieda alle medesime banche di farla finita con gli acquisti da prestatore di prima e ultima istanza di debito pubblico e adempiano al loro ruolo? Non abbiamo passato mesi a maledire l’assenza o la scarsità di erogazione del credito a famiglie e imprese, nonostante le decine di miliardi a tassi stra-agevolati che la Bce forniva gentilmente agli istituti, tra Qe e aste a lungo termine? E adesso, qual è il problema? Il rating sui Btp, il quale rischia di far perdere valore alla carta che le nostre banche hanno in pancia, incidendo così sui bilanci e costringendole a manovre estreme di ricapitalizzazione, o via mercato (aumenti di capitale) o via accesso ai fondi statali non vietati dalle normative (vedi Mps).

Rimane il punto: perché la carta che rappresenta il nostro debito, attraverso la quale lo finanziamo e ci finanziamo, non dovrebbe subire una valutazione e dovrebbe valere – dico a caso – 95 centesimo sull’euro, qualsiasi cosa accada o si decida in questo Paese? Capite che non funziona. E non per me, bensì per gli investitori “reali”, istituzionali come retail. I quali si troverebbero a detenere una security che non prezza le scelte politiche del governo che in quel momento guida il Paese e l’economia cui quella carta fa riferimento. Esenzione totale dal senso di responsabilità nell’agire legislativo: vi pare normale? Vi pare normale che i nostri creditori e i mercati, se il governo italiano di turno decidesse ad esempio di seguire i consigli dell’onorevole Borghi e intavolasse colloqui per uscire dall’euro, non potessero vedere quella scelta prezzata nell’asset che denomina il nostro rischio-Paese per antonomasia? Capite che è una follia, qualcosa che non sta né in cielo, né in terra. Almeno, nessuno di noi gode di questa esenzione dalla responsabilità per le proprie azioni, sul lavoro come in famiglia. Come in banca, soprattutto, quando si finisce in rosso anche solo di 50 euro. E ci mancherebbe altro.

Perché il nostro debito dovrebbe, invece, godere di un trattamento di favore? Tanto più che, al netto di tutto questo, arriviamo al paradosso della difesa delle stesse banche che, un secondo dopo e nel medesimo talk-show, attacchiamo perché, come nel caso di Unicredit, a fronte di dividendi record annunciano altri 6mila esuberi: scusate, se Unicredit va male, non pensate che sia anche perché utilizza denaro per scelte sbagliate ma politicamente e tacitamente obbligate, ovvero detenere Btp con il badile per non scontentare il governo di turno? Lo fanno tutti, da sempre. E così facendo, perdono redditività e destinano fondi che dovrebbero andare a imprese e famiglie – la mitica “economia reale” – al patriottico scopo di tamponare l’aumento dello spread. E di chi sarebbe la colpa degli esuberi di Unicredit, a detta di qualcuno? Del Mes e delle normative di Basilea! Non è colpa del sistema Italia che utilizza la banche come detentrici di debito, come assicurazioni implicite sulla solvibilità del Paese e sulla sostenibilità della spesa per interessi. Bensì, di chi ti dice che è ora di finirla di utilizzare i Btp come le tre carte del gioco d’azzardo o come i soldi del Monopoli. Capite da soli che siamo alla follia, alla negazione di ogni principio non di mercato ma di mera responsabilità politica e amministrativa.

Ragionateci sopra, se avete voglia e tempo. Io non sono certo qui a dire che il Mes sia la perfezione fatta trattato, né che la sua riforma vada festeggiata con lo champagne in fresco e non comporti delle criticità o distorsioni. Ma da qui ad accampare falsità lapalissiane per non ammettere, chiaro e tondo, che in questo Paese il cordone ombelicale di interessi e do ut des fra banche e potere politico non si può sciogliere, mi pare davvero troppo. Voi cosa ne pensate? Buon fine settimana.