Vi siete impressionati per quanto accaduto con GameStop e il corrispettivo finanziario della guerra dei sei giorni scatenata dai Robinhooders a colpi di short squeezes? Preparatevi, perché a occhio e croce il meglio deve ancora venire. E, stante le dinamiche già in atto, l’attesa non dovrebbe essere affatto lunga. Anzi, un mesetto. O poco meno, a partire da oggi. Senza quasi che il mondo se ne sia accorto, infatti, il prezzo del petrolio dallo scorso novembre è salito di oltre il 50%, arrivando venerdì scorso ai livelli pre-Covid e rompendo in maniera apparentemente strutturale la barriera simbolica dei 60 dollari al barile. 



In tempi normali e con un mercato normale, un trend che avrebbe già fatto gridare al rischio di fiammata inflattiva. Ma i nostri non sono tempi normali. Viviamo nel favoloso mondo del Qe. Il quale fa inglobare gli eccessi monetari delle Banche centrali nelle valutazioni di Borsa e, quando anche queste cominciano a non riuscire più a incorporare nei loro multipli il diluvio di cash fatto fluire nel sistema, semplicemente cambia i metodi valutativi dell’inflazione o alza i target, accampando scuse che i media ovviamente si bevono come acqua fresca dopo una corsa sotto il sole. 



C’è però un problema: la finanziarizzazione, croce e delizia di questo meccanismo distorsivo. La quale si fa un baffo delle questioni macro, di concetti arcaici come domanda e offerta o potere d’acquisto: il gioco è sostanzialmente a somma zero, l’importante è trarre profitto. A breve e massimizzando. Se ci pensate, è la logica stessa su cui si basano di fatto i derivati: per ogni short, infatti, c’è un long implicito e sintetico. E proprio l’eccesso di scommesse ribassiste sul comparto energetico e sul petrolio, in particolar modo, potrebbe regalarci qualche brivido imprevisto e fuori stagione con l’arrivo della primavera, almeno stando a questo grafico, il quale ci mostra in tutta la sua apparente complicatezza, il meccanismo che sta per scattare. Un colossale ribilanciamento delle scommesse sul settore, reso ancora più estremo dal cambio di momentum dello stesso, passato da un bear market pluri-annuale agli albori di quello che appare un nuovo super-ciclo. 



Stando a calcoli della divisione quant di JP Morgan, da qui a quattro settimane il mercato vivrà il combinato di chiusura di circa il 20% delle sue allocazioni short sull’energetico e aumento del 2% di quelle long: di fatto, circa un 22% di net buying nel settore. Tradotto in cifre, un flusso potenziale di capitale che potrebbe arrivare attorno ai 25-26 miliardi di dollari, stando a proiezioni della banca d’affari. E il grafico parla chiaro: il numero di titoli azionari del comparto energia sotto regime di short è quadruplo rispetto alla media dello Standard&Poor’s 500. Ed ecco che quest’altro grafico mette ancora meglio in prospettiva il contesto in cui andrà potenzialmente a inserirsi questa dinamica: di fatto, stante la bassissima allocazione di capitali nel comparto energetico da parte di praticamente tutte le categorie di investitori, quasi non occorrerà nemmeno operare uno squeeze reale su quegli shorts, come invece fatto dalla brigata di Reddit su GameStop e AMC. 

In assenza di nuove crisi macro-sanitarie che portino a uno sgonfiamento in tempi record delle valutazioni del barile, quelle posizioni ribassiste infatti andranno via via a chiudersi da sole, una dopo l’altra e sempre più velocemente e si tramuteranno in long, iniettando nuovo capitale. E una volta che gli investitori retail, istituzionali e dei passive funds salteranno sul carro del nuovo vincitore, trovarsi dal lato short del trade sul greggio equivarrà a camminare contromano in autostrada. Di notte. Totalmente vestiti di nero. E con la nebbia. 

Non ci credete? Questo grafico mostra quanto accaduto solo tre giorni fa nel comparto del gas naturale, dopo che il prezzo del cosiddetto Southern Star (Texas, Oklahoma, Kansas) ha toccato 38 dollari, a fronte di un livello medio che non supera i 2 dollari. Il grafico mostra lo spread del gas prodotto a Sud rispetto a quello benchmark del cosiddetto Henry Hub della Lousiana, sistema di distribuzione che “presta” il suo nome addirittura ai contratti futures trattati al Nymex e agli swaps over-the-counter dell’Ice. 

Il motivo di quel balzo? Tempeste di neve inaspettate che hanno congelato le tubature e ridotto drasticamente la fornitura: immaginate chi era short sul Southern Star di quale umore possa essere oggi. Insomma, nel gas come nel greggio, siamo in balia di tecnicalità da commodities di carta. Supportate però dalla spinta di quelle reali, nel nostro caso verde e puzzolente. Il quale, però, deve appunto fare i conti con una domanda che sta andando in over-drive sulla base di mere aspettative. Di fatto, tutto si basa unicamente sulla ripresa: tradotto in soldoni, tre elementi. 

Primo, la certezza che l’economia cinese sia realmente in salute come Pechino afferma ormai da mesi. E questi grafici fanno sorgere qualche dubbio, a meno che l’intero Paese non abbia chiuso le fabbriche e si sia votato totalmente ai servizi (e in smart working). Ma soprattutto il secondo mette un po’ i brividi, perché se è vero che il Capodanno lunare porta sempre con sé una preventiva iniezione di liquidità da parte della Pboc, letto attraverso la lente d’ingrandimento dei tassi repo dell’interbancario, l’intervento da 3,58 triliardi di yuan (circa 800 miliardi di dollari) posto in essere nel mese di gennaio attraverso un tsunami di nuovi prestiti in yuan sembra connotarsi come una risposta emergenziale alla rivolta del mercato interno verso le “minacce” di Xi Jinping di contrazione del credito. Un proxy tutt’altro che tranquillizzante, basti ricordare cosa accadde in uno scenario simile – seppur con le debite differenze – nel settembre 2019 negli Usa.

Secondo elemento, la certezza che realmente la campagna vaccinale funzioni e garantisca una ripartenza macro sostenuta e sostenibili in tempi relativamente brevi. E in questo caso, al netto delle difficoltà logistiche di produzione e distribuzione globali, è l’impazzimento delle varianti del Covid a porre qualche serio dubbio. Terzo, la volontà dei Paesi produttori di giocare in base ai numeri reali e non alle proprie esigenze geopolitiche e geofinanziarie. E in tal senso, se l’atteggiamento dell’amministrazione Biden verso l’Arabia Saudita appare dirimente, il pericoloso e sempre più duro braccio di ferro fra Ue e Russia che si sta silenziosamente consumando in queste ore, fra espulsioni di diplomatici e minacce di ulteriori sanzioni, potrebbe costringere Mosca a usare la sua arma primaria di conflitto a bassa intensità. Al netto, oltretutto, della nuova impasse diplomatica fra Usa e Berlino sul completamento di Nord Stream 2. Insomma, fuor di metafora, si sta giocando con i fiammiferi vicino a un pozzo petrolifero, quasi divertiti dal possibile esito del combinato di scommesse finanziarie per centinaia di miliardi e ricatti geopolitici. E quando si cominciano battaglie simili, l’unica certezza è quale sia il punto di partenza. Mai l’approdo. 

—- —- —- —-

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI