Quando capisci che l’alternativa per il tuo prossimo passo è la scelta fra sabbie mobili e mina antiuomo, tendenzialmente perdi lucidità. E altrettanto istintivamente fai l’unica cosa che in quel momento ti pare sensata: ti fermi, immobile. E cominci a fare un baccano d’inferno, sperando che qualcuno ti senta. E ti venga in soccorso.
La Francia ha fatto questo. Non arrabbiatevi troppo per il Rocky Horror Picture Show in culturale ritardo di un cinquantennio andato in scena a Parigi. Quando il tuo orizzonte è questo devi buttarla in caciara.
Perché qualcuno ora dovrà dare una risposta a questo scenario. E temo che, nonostante i calcoli entusiastici e un po’ avventati del post-voto, Jean-Luc Melenchon sia meno stupido di quanto sembri o voglia sembrare. Non a caso, da leader di estrema sinistra qual è, ha immediatamente condannato la pagliacciata olimpica. Lui che in chiesa probabilmente non ci va neppure per i funerali. Come dire, conosco i francesi. E non sarò io il macellaio sociale per conto di Macron e suoi referenti.
La Francia ha un problema di deficit che va ben oltre la procedura di infrazione. La Francia ha un problema di impossibilità strutturale di intervento, come mostra il trend. Se non per via emergenziale. La Francia sente il terribile odore di Atene 2004, ovvero la fabbrica in cui sono state costruite le condizioni del default ellenico. O, quantomeno, l’innesco del detonatore. Non a caso, l’organizzazione dei Giochi ricorda molto le iniziative del ragionier Filini, fra letti di cartone, caos nei trasporti e continui contrattempi a svilire il programma originario. A partire dalla Senna, dipinta in prospettiva per mesi come un fiume di limpida acqua surgiva e, di fatto, appena rivelatasi per ciò che è. Una fogna a cielo aperto, balneabile a proprio rischio e pericolo.
Attenzione però a gioire delle disgrazie altrui. Perché in questa afosa estate di guerra e destabilizzazione globale, la Francia non è sola. E, soprattutto, la Francia sa come far pesare il leverage esorbitante del suo sistema bancario. L’Ue ha salvato quello spagnolo con 50 miliardi. Scordatevi possa fare lo stesso con quello transalpino. Soprattutto, al netto di un Mes non rafforzato nell’ammontare a disposizione e quindi non immediatamente dispiegabile nella versione riformata. Perché l’Italia ha detto no. Impasse. Pericolosa. Soprattutto alla luce del meno scenografico passo indietro che il nostro Paese sta compiendo, conscio com’è anch’esso della fine della ricreazione. Dopo aver stracciato il memorandum con la Cina nel giorno dell’arrivo di Xi Jinping a Bruxelles per il bilaterale con l’Ue, ora Giorgia Meloni parla di rilancio delle relazioni e piano triennale. Non si poteva farlo in seno a una revisione di quel Memorandum, evitando l’oltraggio politico di marzo?
Il problema è che a marzo questo Governo era tutto un fiorire di speranze e promesse atlantiche, quasi palazzo Chigi volesse tramutarsi in Kyoto nella stagione dei ciliegi che esplodono di candore. Oggi, invece, lo schiaffone preso sull’attribuzione del Comando Sud della Nato alla Spagna sembra aver risvegliato bruscamente parecchi sognatori. Il ministro Crosetto in testa. E si sa, quando parla il gigante, la bambina lo ascolta. Sempre. Ma ancora più paradossale e rivelatrice di confusione totale è la scelta di Antonio Tajani di riattivare la sede diplomatica italiana a Damasco dopo 12 anni. Per carità, lungi da me fare le pulci all’unica decisione sensata e presa nell’interesse della politica estera italiana da parte del titolare della Farnesina dal suo insediamento. Ma se esiste al mondo un proxy di fedeltà e devozione a Vladimir Putin, questo risponde al nome di Bashar al-Assad. C’erano i militari russi al fianco delle sue milizie nella lotta all’Isis. Il quale, nel silenzio generale dei media, due settimane fa è tornato a latrare con un video nel quale dichiara guerra ad Hamas. Strano, no?
Ma in quella guerra che l’Occidente tremebondo del Bataclan ha scordato troppo in fretta, erano presenti anche gli Hezbollah che ora Israele vuole annientare attraverso la nuova campagna libanese. La Farnesina è conscia di questo? Perché evitiamo di prenderci per i fondelli. I miliziani sciiti filo-iraniani potevano colpire quando volevano e qualsiasi obiettivo. Casualmente, decidono di fare una strage di ragazzini che giocano a calcio (difficile trovare scenario più evocativo e strappalacrime per l’Occidente) a poche ore dall’appello di Bibi Netanyahu al Congresso per una guerra totale contro l’Iran. Della serie, ti offro il casus belli sul piatto d’argento in tempo reale.
Ora, Hezbollah potrà non piacere. Ma non si tratta di una milizia di completi idioti. Cosa dice, tutto questo? Che Francia e Italia, ognuno a modo suo, hanno giocoforza scelto la strategia dell’ultimo passo: mi fermo e strepito, sperando che qualcosa accada o qualcuno intervenga. Giorgia Meloni ha chiesto a Giancarlo Giorgetti di prendere tempo in sede Ue, la scorsa settimana. La procedura d’infrazione parla chiaro. E quel grafico di inizio articolo lo testimonia. Da qui al 2031, l’Europa chiede qualcosa come 12 miliardi all’anno per rientrare nel trend di deficit concordato in base al nuovo Patto di stabilità. Più o meno, 85 miliardi in 7 anni. Ai quali occorre aggiungere le manovre economiche necessarie all’ordinario funzionamento dello Stato. Capite ora certe privatizzazioni-lampo? Altro che strategia, qui siamo alla disperata ricerca di denaro da mostrare a Bruxelles come prova di buona volontà. Il passo successivo? Svendere per fare cassa. Per la spesa corrente.
Restando conservativi, a quei 12 miliardi ne vanno aggiunti almeno una ventina ogni anno tramite il Def. Sette anni di manovre da oltre 30 miliardi, avete idea di quale impatto possono avere sulla spesa o sulle tasse? Altro che taglio lineare, siamo alla logica del machete. Del flessibile per aprire la lamiera dell’automobile Italia, andatasi a schiantare contro quel guard-rail duro e respingente chiamato realtà. E allora si corre a Pechino. E allora si fa i carini con l’amico speciale della Russia, sperando magari che ci metta una buona parola.
Non dite che non vi avevo avvisato con largo anticipo su come sarebbe andata a finire. E in tempi decisamente brevi. Sarà un’estate da tenere monitorata. Perché nel silenzio delle città svuotate e con gli uffici chiusi, può accadere di tutto. Come accadde la notte del 10 luglio 1992, magari.
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