Sinceramente, cosa accadrà poco importa. Contano le condizioni in cui si è arrivati al redde rationem del Senato. E quelle restano, come cicatrici. Come una lettera scarlatta. Come uno stigma. Mario Draghi non è mai stato il presidente del Consiglio di questo Paese, ne è stato solo il garante. E magari lo resterà, seppur da anatra zoppa e con le truppe – questi sì, altro che l’esercito russo – in modalità di ammutinamento e diserzione da campagna elettorale permanente.
Come Beppe Grillo garantiva l’ortodossia M5S presso i cittadini, così Mario Draghi garantiva il debito italiano presso l’Ue. Punto. Altrimenti, elencatemi due provvedimenti presi dall’esecutivo da lui guidato che abbiano rivoluzionato finalmente il Paese. Nulla più che una serie infinite di mance e mancette, figlie legittime di quell’emergenza Ucraina subentrata a quella del Covid senza soluzione di continuità.
Ora, altro cambio di dama sulla pista da ballo: la guerra non interessa più a nessuno, stante il costo esorbitante a livello energetico che impone, si torna alla già consolidata ed efficace emergenza virus. Si riaprono gli hub vaccinali, tornano i bollettini di contagi e decessi. Insomma, ci si prepara alla stretta autunnale. Quando, altrimenti, mezza Europa si ritroverebbe con le piazze piene. Di gente poco incline a bersi altre promesse. Doveva saltare Vladimir Putin, invece sono saltati Boris Johnson e Mario Draghi. I suoi più acerrimi nemici. Non vi fa riflettere, questo? E anche i lamenti di alleati forzati dei Cinque Stelle e fastidioso pulviscolo centrista in laboriosa formazione rispetto all’irresponsabilità del gesto di Conte sono nulla più che l’ennesima prova di ipocrisia: non hanno paura per la tenuta dell’Italia, hanno paura di altro. E finiamo anche con spread e Borse colpite al cuore dai Cinque Stelle: lo spread ormai è mantenuto in vita solo del reinvestimento titoli Bce e Piazza Affari viaggiava in rosso sparato da tre settimane ormai. Di cosa, quindi, si ha paura?
Primo, del venire meno del parafulmine di palazzo Chigi. Secondo, del fatto che la gente ora si fermi a riflettere e si renda conto del vuoto pneumatico in cui si è in realtà sostanziata l’azione politica dell’ultimo anno e mezzo, panzana del Pnrr in testa. Terzo, il terrore che i medesimi cittadini/elettori prendano atto che, persino senza Mario Draghi al comando, il sole sorgerà e tramonterà lo stesso. Perché signori, l’Europa è a pezzi. E per quanto Germania e Francia saranno certamente tentate dall’indirizzare il mirino dei mitologici mercati verso Roma, tanto per evitare di finirci loro, le condizioni macro non sono tali da consentire loro eccessivi azzardi. Berlino sta affrontando la prova più dura della Riunificazione e il Parlamento francese post-legislative ha appena assestato il primo, tonante schiaffone in faccia a Macron sul prolungamento del green pass.
L’aria è cambiata, perché la crisi ora è fuori dalla finestra. E non più nei radar. L’Olanda da giorni vede migliaia di trattori paralizzare le strade del Paese per la protesta degli agricoltori contro la nuova legge sulle quote di bestiame, in Germania i sindacati parlano chiaramente di collasso del sistema industriale e l’associazione dei costruttori prefigura un grave e imminente pericolo per la tenuta sociale del Paese. In Francia, appunto, Emmanuel Macron è ostaggio di un’Assemblea a lui totalmente avversa.
È inutile gridare allo scandalo: come si è votato in Portogallo, Francia e in più di un Land tedesco, si può votare anche in Italia. È la democrazia, bellezza! La stessa che, a parole, riteniamo talmente non negoziabile da esserci ridotti letteralmente alla canna del gas nei rapporti con Mosca per la volontà di armare Kiev. Il tutto in nome dell’ennesima proxy war americana. La quale, a livello di ridimensionamento dell’Ue come competitor commerciale, sta funzionando meravigliosamente. Boris Johnson a casa, Mario Draghi vittima di iconoclastia politica e non più Re Mida, Olaf Scholz talmente nei guai da essere tentato dall’opzione Canossa verso Mosca, Emmanuel Macron azzoppato, Pedro Sanchez costretto a pagare il treno per tre mesi ai cittadini per evitare rivolte e il voto anticipato e Mark Rutte con il Paese paralizzato da contadini inferociti: non doveva essere Vladimir Putin quello in difficoltà?
Certo, a seguire come beoti il playbook della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, sì. Peccato che ora si paghi il conto a quella scelta. L’America è relativamente tranquilla: con l’inflazione al 9,1%, i futures prezzano addirittura un 50% di possibilità per un rialzo di 100 punti base fra due settimane. A quel punto, salterebbe tutto. Esattamente come vuole la Fed, la quale ha necessità di smettere con la normalizzazione subito dopo l’estate, in modo da arrivare al voto di mid-term con i mercati che festeggiano allegramente il nuovo stimolo in arrivo. Quante altre fregature dovremo farci rifilare dall’amico americano, prima di capire che il suo unico scopo a tutelare i propri interessi a qualunque costo?
Non a caso, fiutato il momento, Gazprom ha già comunicato come non sia in grado di garantire il funzionamento di Nordstream dopo la manutenzione in corso. Tradotto, dal 22 luglio inizia il vero disastro. Esattamente come scrivevo ieri. Ne è valsa la pena? Siete contenti di aver sventolato la vostra bandierina giallo-blu e gonfiato il petto per i video stile Netflix di Zelensky? Bravi, ora andate nel boschetto vicino casa a cercate legna da ardere per l’inverno. Perché LNG statunitense e gas algerino serviranno giusto per accendere la fiamma e fare il caffè, parola di Nomisma Energia ed Enea. Entrambe pericolosissima associazioni filo-Cremlino.
Ecco fatto, il capolavoro di Washington è compiuto. Vladimir Putin è saldo al suo posto, rafforzato dalle sanzioni, sempre più legato a Cina e India e arrabbiato come un’orsa a cui hanno toccato i cuccioli con l’Europa. E, cosa peggiore, con la mano costantemente sul rubinetto di Gazprom. Esattamente ciò che fa comodo a Washington, in vista magari di un bello shopping a prezzo di saldo in autunno. Guardate le valutazioni dei nostri presunti big in Borsa in questi giorni, a partire da Saipem. Siamo letteralmente alla svendita del Paese.
Colpa dei Cinque Stelle? Una situazione che ricorda la profezia di Francesco Cossiga, per chi ha la memoria abbastanza lunga e il minimo sindacale di dignità politica. Nel frattempo, l’esercito russo è talmente in rotta che se volesse in tre giorni sarebbe a Danzica. Ne è valsa la pena, alla luce dell’incubo in cui stiamo precipitando? Anzi, in cui stiamo già vivendo. E volete l’ennesima riprova di quanto vi dico da sempre e che oggi sta dipanandosi davanti ai vostri occhi, sotto forma di cronaca e non più di previsione? Guardate questa immagine, ci mostra come a togliere l’euro dalle secche della parità con il dollaro potrebbe pensarci la Cina, quantomeno stando alla correlazione fra crescita reale della massa monetaria M1 del Dragone e PMI manifatturiero dell’eurozona, ovvero un indicatore di crescita economica.
Non volete diventare dipendenti da un regime liberticida come quello cinese e continuare a esserlo energeticamente dal despota del Cremlino? Auguroni, continuate pure a fidarvi dei falsi amici liberali. In effetti, finora i risultati sono stati eccellenti. E se incontrate la vostra eroina Greta, ringraziatela per avere creato i presupposti di questo disastro.
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