Quanto ci costeranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti? Ovviamente, nessuno qui sta parlando di costi organizzativi. Bensì, quale sarà il prezzo che il mondo dovrà pagare al riequilibrio di poteri Oltreoceano.
Per rispondere a questa domanda, a mio avviso contemporaneamente pivot, driver e tail risk del 2024 sui mercati, cominciamo da un dato fresco di pubblicazione. Certo, gli Usa fanno notizia per inflazione, occupazione e Pil. Peccato che l’economia statunitense si basi ancora oggi al 70% sui consumi. E cosa ci dice la lettura relativa al mese di novembre? Che il pivot della Fed sui tassi che ha generato il rally di mercato si è riverberato pesantemente – in questo caso, sì, grazie anche a un lavoro sapiente e certosino del media – sul sentiment dell’opinione pubblica. Quindi di consumatori. Ed elettori. Un sobrio dato di 19,133 miliardi di utilizzo delle carte di credito dai 2,9 miliardi di ottobre, secondo aumento su base mensile da quando vengono tracciate le serie storiche. Ma non basta, visto che il dato generale (revolving e non revolving) parla addirittura di 24,75 miliardi. Prima lettura sopra i 20 miliardi da gennaio 2023.
Colossale anticipazione delle spese natalizie? No. Effetto Fed. Oltretutto dopo mesi di apparente normalizzazione, soprattutto alla luce di tassi sulle carte divenuti quasi insostenibili. E ce lo mostra plasticamente il grafico, il quale compara appunto il trend nell’utilizzo di carte di credito con il tasso di risparmio come percentuale sul reddito: in parole povere, l’americano medio aveva capito che era il momento di limitarsi in quanto sa fare meglio – ovvero, indebitarsi per consumare -, visto che i risparmi piovuti dal cielo della pandemia erano ormai finiti. Ma, casualmente, dopo il via libera informale e implicito della Fed a prezzature di tagli record, ha deciso di seguire l’esempio. Di chi? Del suo Governo e di Wall Street.
Perché il problema nel problema sta proprio qui. Nell’esempio. Con un Governo che in pochi mesi ha letteralmente fatto esplodere il debito federale a 34 trilioni di dollari e una Borsa basata unicamente su buybacks, espansione dei multipli e conseguenti short squeezes delle ingenue posizioni ribassiste, perché Mr. Smith dovrebbe sentirsi in colpa per quella tv nuova o la nuova auto o chissà cos’altro in realtà non possa permettersi? Charge everything you can. Ma ora lo snodo appare inevitabile. La Fed entro due mesi e mezzo deve svelare l’eventuale bluff sui tassi e affrontare tre scadenze: reverse repo verso l’azzeramento, Btfp in chiusura l’11 marzo e Qt da estinguere in ossequio a nuova espansione. E nuove emissioni. Nel mezzo, Mr. Smith. Carico di debito sulle sue 14 carte, inseguito da finanziarie e banche, chiuso nella sua casa ipotecata o nell’auto a rischio di pignoramento. Lo stesso Mr. Smith che, però, dovrà scegliere l’inquilino di Pennsylvania Avenue.
Ora contestualizziamo il momentum equity in cui gli Usa stanno per entrare nel vivo della campagna per le presidenziali, stante i Caucus dell’Iowa che si terranno il 15 gennaio sia per i Democratici che per i Repubblicani. Date un’occhiata al grafico.
Apparentemente, ogni commento appare superfluo. Ora, però, date un’occhiata a queste altre due immagini.
La prima ci mostra come gli hedge funds abbiano appena costruito la più grande posizione long sul Nasdaq di sempre. Stando a dati ufficiali della Ctfc. Il secondo grafico appare ancora più inquietante. A parte quello Usa, le cosiddette Magnificent 7 o Mag7 oggi vantano un market cap che è superiore a qualsiasi mercato equity al mondo. In 7 valgono più della Cina o del Giappone o del Regno Unito. E alcuni singoli titoli valgono più del Ftse Mib, tanto per capire il nanismo europeo.
Ora, torniamo al grafico principale. Al netto dei tremori di inizio anno, legati alla voce di un’indagine dell’Antitrust che nell’arco di poche ore pare aver svelato la sua natura di stress test più che di notizia, Apple nel 2023 ha speso 77,6 miliardi in riacquisto di propri titoli. Insieme a Meta e Alphabet, oltre 160 miliardi di buybacks negli ultimi 12 mesi. Difficile stupirsi se, stando all’ultimo sondaggio di Bank of America fra i gestori, il most crowded trade sia stato anche per il mese di dicembre Long Magnificent 7 con il 49% dal 40% di novembre. E per capirci. il secondo è Short China equities con il 22%. Meno della metà.
E adesso, cosa attendersi? Di fatto, solo un clamoroso policy error della Fed sui tassi è in grado di far deragliare un treno ad alta velocità che da solo vale più di interi mercati azionari. Cosa accadrebbe, in caso di un 1999-2000 in sedicesimi, però? Difficile anche soltanto immaginarlo. Certamente, nulla che possa abbinarsi con una campagna elettorale. A meno che qualcuno non voglia terrorizzare l’elettorato. Ma a quale prezzo? E non tanto per gli investitori, quanto per il Sistema. Davvero quello scossone su Apple di inizio anno è stato dovuto dalle vendite della Snb, la Banca centrale svizzera stracarica di titoli di Cupertino?
Proprio l’altro giorno, dal numero 1 di Bundesplatz a Berna è giunta notizia di una perdita da 3,54 miliardi di dollari per il 2023 dovuta a tassi in rialzo e pagamenti alle banche. Eppure, gli hedge funds stanno caricando tutto sul Nasdaq. Scommesse praticamente a occhi chiusi. Nel frattempo, proprio dal mercato Usa arriva la tragicomica notizia del presunto hackeraggio dell’account X della Sec, atto che avrebbe generato l’annuncio di approvazione dell’Etf su Bitcoin. In un primo tempo, la smentita. Poi, quasi a voler cogliere la palla al balzo, la conferma della nascita dell’ultimo ritrovato in materia di manipolazione e destabilizzazione a orologeria. Con vigilanti simili, c’è da guardare con ottimismo a un Nasdaq caricato a pallettoni dal leverage degli algoritmi? E dal punto di vista monetario, quale sarà il prezzo da pagare alle presidenziali Usa?
La scorsa settimana un trader di Citadel, di fatto il Primary dealer di tutti i Primary dealers, fu esplicito nel rispondere a questa domanda con Bloomberg: Fed wants to avoid pain AT ALL COSTS ahead of elections; this will lead to epic fiscal irresponsibility. Diciamo che il nostro interlocutore non pare tagliato per la carriera diplomatica. Ma l’andamento dello swap spread Sofr 10 yr, di fatto i futures sull’interbancario, dopo i due eventi cardine degli ultimi mesi sembrano dargli ragione. Ovvero, parliamo del Fomc della Federal Reserve che ha aperto le porte al taglio dei tassi e fornito al mercato il tanto atteso pivot e l’intervento della scorsa settimana della numero uno della Fed di Dallas, Lorie K. Logan, un vero e proprio scoperchiamento del vaso di Pandora en plein air, quando durante un convegno a San Antonio disse chiaramente che il ritmo del Qt andava rallentato da subito, poiché il continuo calo di utilizzo del reverse repo rischiava di generare pericolosi mismatch.
Ora guardate questo grafico.
Ci mostra l’altra faccia della situazione attuale, il vecchio caro arbitraggio di cui stanno usufruendo le banche attraverso la facility di sostegno Btfp. A marzo del 2023, ai tempi del crollo di Svb, le banche dovevano pagare 15 punti base sopra il limite massimo superiore dei Fed Funds per ottenere liquidità. Ora quel costo è zero. Free money. Certificato dal titolo scelto da Bloomberg per l’immagine. Prendi in prestito al 4,90% al Btfp e depositi alla Fed al 5,40%, il tasso attuale per le riserve. Un deposito risk-free e decisamente profittevole. Ed eccoci al grafico principale, a proposito di free money.
Ai tempi dello stimolo fiscale monstre del marzo 2021, la popolarità di Joe Biden toccò il picco del 55,1%. In perfetto tandem con l’indice di tracciamento dell’impulso creditizio di Bloomberg. Detto fatto, il re-couple è proseguito. Ma nettamente al ribasso. Fino quasi a schiantarsi al suo. Tradotto, finita la free money dei sostegni, finita la luna di miele con l’elettorato. E ora? Ora, appunto, la Fed deve fare il possibile per evitare che l’impatto di una correzione, di uno storno che sgonfi le bolle più a rischio generi troppo dolore nell’elettorato. Nella fattispecie, la classe media. Mr. Smith. Quindi, giocare con il Nasdaq e la sua ipertrofia al leverage equivale a una partita a palla avvelenata con una bomba a mano senza spoletta. Mentre invece, paradossalmente, la sorpresa e l’arma segreta potrebbe essere lasciar davvero terminare l’operatività del Btfp il prossimo 11 marzo, poiché con i futures che oggi prezzano 17 punti base di taglio al meeting del 20 dello stesso mese di marzo, uno shock controllato come quello – in un contesto di valore del collaterale bancario (i.e. portfolio hold-to-maturity) rinforzato proprio dal pivot Fed e quindi meno sotto scacco della unrealized losses – potrebbe magari far saltare qualche banchetta in Wyoming o Colorado, ma, certamente, renderebbe garantito l’inizio del ciclo di tagli. I correntisti? Tranquilli, le Big4 non attendono altro che travestirsi da “cavaliere bianco”. Comprando a saldo filiali e bancomat.
E ora, via coi Caucus. E che Dio ci assista.
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