Davvero pensate che un mondo di allegre stamperie, valute sovranamente svalutate e monetizzazione del debito sia la soluzione? A poco a poco, come la proverbiale goccia della tortura, certe teorie stanno cominciando a insinuare dubbi nella vostra stanca mente di cittadini/contribuenti esasperati? Sentite che, come accade nei film a certe mogli trascurate da mariti assenti, il punto di rottura in cui la tentazione si fa troppo forte per poterle resistere si sta avvicinando, giorno dopo giorno? Bene, prendetevi pochi minuti. Cercherò di condensare in poche righe una cura shock, roba che a San Patrignano in confronto somministrano camomilla per strappare dalla dipendenza. Guardate ad esempio questo grafico, sintesi perfetta della disgrazia in cui può condensarsi il combinato congiunto di governo autoritario e politica monetaria lisergica al suo servizio.



Dopo aver alzato i tassi di interesse di 200 punti base in un solo colpo lo scorso 24 settembre, la Banca centrale turca ieri era chiamata a un nuovo intervento per cercare di placare il delirio espansivo e sostenere un minimo una valuta che già oggi vale quanto i soldi del Monopoli. Il consensus di mercato era per altri 175 punti base di aumento, mossa che avrebbe portato il tasso al 12% e innescato un mini-rally della lira nei prossimi giorni. Cos’ha deciso di fare, invece, l’autorità monetaria di Ankara? Tassi fermi. In compenso, colta da delirio di onnipotenza, ha deciso addirittura di operare una sorta di stress test nei confronti del mercato, agendo in via non convenzionale: devono aver rivisto da poco Margin call. L’ulteriore contrazione, infatti, è stata posta in essere attraverso l’aumento a 300 punti base dello spread fra il tasso Late Liquidity Window e quello overnight.



Risposta del mercato? Quella offerta dal grafico, un tonfo della lira alle soglie del livello psicologico di 8,0 nel cambio con il dollaro, un +2% nel cross sostanziatosi a tempo zero. Per l’esattezza, 7,9797, minimo record sul biglietto verde. Ora, se voi foste un cittadino turco costretto a ricevere un salario in sovranissima lira, come reagireste? Certo, stando alla retorica di Recep Erdogan, la colpa è sempre delle forze della destabilizzazione straniera che odiano Allah, ma, alla fine, tocca sempre andare a fare la spesa, pagare l’affitto e cercare di tirare la fine del mese. Anche in Turchia. E nonostante Allah. Oltretutto, al netto di riserve ormai a livello di raschiamento del barile, oro fisico già messo in operatività diretta dal backing forzato per bond e sukuk nella speranza di piazzarli a qualcuno e finanziarsi e cittadini che ammassano dollari clandestinamente, ormai persuasi che i giorni della sovranissima lira siano contati.



Quanto credete che ci vorrà, prima che la situazione vada fuori controllo e il buon Recep Erdogan debba giocoforza scegliere verso quale soggetto muovere il suo ennesimo ricatto geopolitico? Lo farà con gli Usa? Con la Russia? O con la Cina, quest’ultima artefice del salvataggio in corner della scorsa estate, grazie a uno swap giunto sul filo di lana del default? Nessuno di loro, sarebbe un suicidio. Chi resta?

Prepariamoci, da Ankara sta certamente per partire un’ambasciata in direzione Bruxelles. Bello avere un Governo sovrano, una valuta sovrana e una Banca centrale sovrana, vero? Più che altro, garanzia di sicurezza e benessere per i cittadini. Ma la questione turca pesa più che altro a livello politico, essendo certamente interconnessa finanziariamente tramite l’esposizione delle banche spagnole ma non certo a livello di altri attori globali. Ad esempio, il player dei players: gli Usa. Loro sì che sono fortunati, visto che hanno la Fed.

Sicuri? Guardate questo grafico, elaborato nello scorso fine settimana e al netto delle ultime trimestrali bancarie pubblicate. Cosa ci dice? Soprattutto, cosa c’è che non va? Nel mondo fatato dell’MMT, dell’helicopter money e della monetizzazione del debito, la regola aurea della creazione di moneta è quella in base alla quale è il prestito che genera deposito. Ovvero, la banca commerciale presta denaro all’economia, la quale godendo di quel meccanismo di trasmissione poi ripaga il “sistema” con la creazione di risparmio. Insomma, la riserva frazionaria nel mondo degli unicorni fatati.

C’è però un problemino. Gli Usa stanno vivendo in regime di Qe dal 25 novembre 2008, lancio del Qe1. Come mai, quattro cicli espansivi e 12 anni dopo, la ratio fra depositi e prestiti per le big del credito statunitense è quella rappresentata nel grafico? Come si giustificano le teorie di creazione della moneta, quelle definite progressiste e in grado di superare le rigidità omicide della presunta austerity, se i depositi sono alle stelle e i prestiti stagnanti da un decennio? Chi crea? E per chi? Et voilà, scoperta dell’acqua calda: il ruolo di demiurgo valutario, gran visir della massa monetaria M2 che i teorici della fuffa debitoria stanno raccontandoci non è più interpretato dalle banche commerciali come soggetti attivi e primari del meccanismo di creazione, bensì dalle Banche centrali. E, cosa più grave, il denaro che le Fed e le Bce del mondo creano dal nulla finisce iniettato direttamente nel sistema bancario sotto forma di riserve in eccesso, le quali non fluiscono però nell’economia reale (famiglie e imprese) ma restano cortocircuitate a livello finanziario. Tradotto, finiscono investite a Wall Street e ne garantiscono i rally. O, nel caso del Club Med europeo, finanziano il doom loop fra titoli di debito sovrano e loro detenzioni bancarie. Eureka! Insomma, chi grida contro i bankster, di fatto con le sue proposte monetariste ne garantisce i sempre più lauti profitti, a discapito del mitologico 99%.

Parlano le cifre, parla quel grafico. E per chi ha voglia di scartabellare e fare due calcoli semplici semplici, invito a dare un’occhiata al nesso causale sulla serie storica post-Lehman delle differenze fra quanto iniettato dalla Fed e quanto incamerato dalle banche sotto forma di aumento delle riserve in eccesso, più o meno depositate sui conti presso la stessa Fed. E la cosa straordinaria e divertente è che questa dinamica non può essere dipinta come danno collaterale a una politica originariamente giusta e progressiva, per il semplice fatto che quando la liquidità nel sistema ha lanciato l’allarme rosso nel settembre 2019 e i tassi sull’interbancario sono volati alle stelle, JP Morgan ha operato proprio sulle riserve detenute presso la Federal Reserve, spostandole e amplificando così immediatamente la magnitudo della crisi. Et voilà, dopo 10 anni in panchina e con il pilota automatico, la Fed tornò in campo con un semestre di aste repo e term. Il Qe è strumentale a Wall Street e alla finanza, altro che effetto collaterale.

Infine, ecco a voi la perla delle perle: quando Goldman Sachs – non un blog o il sottoscritto – arriva a elaborare uno studio la cui conclusione è contenuta in questi tre grafici, significa che siamo davvero arrivati ben oltre la frutta. Abbiamo anche già digerito.

Cosa dimostra, infatti? Semplice: il Giappone sta in piedi solo grazie alla Bank of Japan in modalità di Qe perenne, leggi Abenomics. Se solo provasse a tornare alla normalità, il Paese-simbolo di chi racconta che il debito pubblico non conta perché è sostenibile ontologicamente a ogni livello di ratio sul Pil e deficit, salterebbe dalla sera alla mattina. Un’enorme Lehman sovrana con gli occhi a mandorla. Un’ecatombe di Miss Watanabe, costrette nel breve tempo di un battito di ciglia a prendere atto del fatto che i propri titoli di Stato ultra-sicuri, autarchici e auto-finanzianti valgono meno della carta straccia. Insomma, capite perché teorie strampalate come l’MMT e l’helicopter money devono prendere piede nei media mainstream, poco alla volta? Non per operare da vaccino, ma, al contrario, proprio per rendere dipendente la gente dal concetto di debito come salvezza: non la propria, quella del sistema stesso. Dal Qe non si può uscire, pena l’ingloriosa nudità del Re. E un reset che, oltre a tramutare il 2008 in una passeggiata nel parco, stavolta potrebbe davvero vedere le forche montate in piazza.

Attenti, cari lettori, alla dose minima per uso di sollievo personale che, ogni giorno e in modo sempre crescente, media e politica vi inoculano: quelle tossine di assistenzialismo, parassitismo felice e indebitamento progressista vi stanno cambiando le percezioni, pur in maniera lenta e quasi rassicurante. E come il 2011 avrebbe dovuto insegnarci, lamentarsi per l’arrivo dei loden è quantomeno ingeneroso, se prima ci si è dati alla pazza gioia. Attenti a ciò che cercate, perché potreste trovarlo. Prima di quanto pensiate e in forme davvero decisamente sgradevoli, altro che stigma del Mes.