Nulla succede a caso. Tantomeno le sgrammaticature politiche. Giorgia Meloni ha furbescamente optato per la quota rosa applicata alla polemica, invitando tutti a concentrarsi sull’inclusione delle donne nel mondo del lavoro, prima che sull’apertura a nuovi flussi migratori. Mentre la tensione sul DL Cutro, impantanato in attesa dello sbarco alle Camere e in vista di una conversione da attuare entro l’8 maggio, ha giocato un brutto scherzo al ministro-cognato Lollobrigida (chi ha vissuto gli anni di Pillitteri Sindaco di Milano, avrà colto), scivolato sul concetto un po’ Spectre di sostituzione etnica, processo di reset mondialista da evitarsi attraverso l’incentivo alla natalità e lo stop a tentazioni di confini spalancati. Apriti cielo, scenari da Sud Africa che fu e cappucci del Ku Klux Klan in bella mostra.
Poi c’è la realtà. Dura. Cruda. Fredda come i numeri che la sostanziano. Se in prima battuta questa cortina fumogena dagli esiti alternanti ha infatti garantito al Governo una distrazione di massa dal nulla stanziato in sede di Def al tema reale – in fatto di lavoro e salari – dell’abbassamento del cuneo fiscale, ecco che il grafico ci mostra dell’altro. Stando a uno studio del Mef rilanciato dal deputato renziano Luigi Marattin, se da qui al 2070 il flusso netto di mano d’opera da immigrazione dovesse ridursi del 33% rispetto allo scenario base (linea azzurra), il rapporto debito/Pil italiano sfonderebbe il 200% di rapporto. Di converso, solo un aumento di quel flusso del 33% rispetto al base case (linea gialla) renderebbe più sostenibile la dinamica post-Bce del nostro stock debitorio, appena salito al nuovo record di 2.772 miliardi.
E attenzione, perché questo rappresenta la faccia relativamente benigna e di lungo periodo di quanto occultato fra le pieghe ragionieristiche e burocratesi del Def appena presentato. All’interno del quale, infatti, si ipotizza da subito una restrizione fiscale pari a 56 miliardi. Da perseguire entro la fine della legislatura in corso. Ovvero che l’avanzo primario passi dall’attuale -0,8% al +2% del 2026 e che rimanga tale addirittura nei decenni successivi. Strutturalmente. Ma non basta. Il pericoloso e temo irresponsabile wishful thinking del Governo si è spinto a incorporare un tasso medio di crescita della produttività del +0,8% annuo, al netto di uno 0% registrato negli ultimi 50 anni dall’economia del nostro Paese.
Tradotto, dopo una sapiente miscelatura in stile cocktail di tutto queste cifre e impostazioni? L’irrigidimento della Lega in sede di DL Cutro sull’eliminazione dello status di protezione speciale, di fatto la classica battaglia identitaria di retroguardia, altro non è che la disperata bandierina a fronte di una scelta sistemica giocoforza già compiuta. Ovvero, quella in base alla quale per evitare il default dei conti pubblici, servono due cose. Primo, un esercito industriale di riserva di immigrati da regolamentare con i flussi in maniera strutturale. Altro che sostituzione etnica, materialismo marxiano all’ennesima potenza. E con somma gioia di Confindustria. Secondo, una nuova riforma delle pensioni in stile Macron. Anzi, ben più drastica. Perché una restrizione fiscale da 56 miliardi in 5 anni accompagnata da un record di produttività come quello inserito nel Def (solo per non ammettere ex ante un approssimarsi del Mes come unica ancora di salvezza post-Bce) necessitano giocoforza di un intervento sui conti Inps a dir poco draconiano. Come reagirà il popolo italiano di fronte a un’ipotesi di Fornero Bis introdotta paradossalmente da un Governo che ha sempre osteggiato l’esecutivo Monti e le sue riforme eterodirette dall’Ue? Meglio parlare di sostituzione etnica, cosa dite?
E per favore, evitiamo il solito, ritrito ritornello in base al quale il Def è solo un atto formale, una bozza di un qualche centinaio di pagine in cui si scrivono preventivi alla carlona, mentre altra cosa è poi l’azione politica e parlamentare in divenire. Balle. Quel documento dobbiamo inviarlo alla Commissione europea per il vaglio. E non si tratta di formalità, poiché prima del rilassamento generale da Covid, chi inviava documenti incompleti, in ritardo o sballati rischiava prima il richiamo e poi la procedura di infrazione. L’Europa prende molto seriamente quanto scritto nel Def. Lo prende come un impegno vincolante. E attenzione, perché con il Pnrr ormai ridotto a unicorno e pronto a far saltare i conti e la tranche da 16 miliardi già congelata proprio per quei progetti irrealizzati e irrealizzabili, se davvero quanto scritto nel Def dovesse deviare rispetto all’azione politica del Governo, l’effetto detonatore rispetto ai quei mitologici 209 miliardi del Recovery Fund sarà immediato. Così come il nostro ricorso al Mes.
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