Ennio Flaiano diceva che in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Sulfureo, prima ancora che corrosivo. E in queste ore, il Paese sembra intrappolato in una rete di arabeschi. Il rinvio dell’approdo di Aula della ratifica del Mes pare ormai certo. Per la Premier, infatti, è un errore portarlo adesso e tutti danno per assodato che la riunione dei Capigruppo sposterà l’incombenza a settembre. Kicking the can down the road. Un po’ come il Conte Mascetti e il suo rigatino, metafora di un Paese che cerca sempre una scorciatoia. Nella fattispecie, utilizzare proprio ratifica del Mes come ostaggio per uno scambio di prigionieri con Bruxelles che ci garantisca un Patto di stabilità più morbido.



C’è un problema: la stessa Ue che vorremmo forzare a un compromesso, sta chiaramente dicendoci che la nostra merce di scambio è scaduta, l’ostaggio è morto. La ratifica del Mes è da approvare subito. Almeno per Bruxelles, non è un errore. E trattandosi del medesimo soggetto che da mesi sta congelando la terza rata del Pnrr, messa a bilancio nella Nadef, c’è poco da scherzare. Perché un azzardo di troppo potrebbe tramutarsi in obbligo di mega-manovra correttiva in autunno. In piena recessione. E allora, addio ai rinvii del Mes per non rovinare il curriculum in vista delle Europee. E che la questione sia seria, lo dimostra il cambio di approccio di Forza Italia. Sempre favorevole alla ratifica e oggi contraria per bocca del numero uno in pectore e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.



Il motivo? Il nuovo Mes sarebbe un organo senza controllo, né da parte della Commissione, né dei governi nazionali. Autonomo. Troppo autonomo. Davvero? Sostanzialmente, la riforma del Mes si basa su due capisaldi. Primo, appunto, l’eliminazione del voto dei vari Parlamenti prima dell’attivazione del Fondo. Secondo, la “fusione” di Fondo di risoluzione e Mes riformato per portare la disponibilità da 66 a 134 miliardi di euro in caso di crisi bancaria nell’Unione. Salta appunto l’intermediazione politica dei Governi. Troika mascherata, stante il ruolo di controllore per ristrutturazioni del debito in casi eccezionali e in modo ordinato? Quando un Paese dipende mani e piedi dalla Bce, davvero questo è un problema? Davvero pensiamo ancora che sia questione di se e non meramente di quando?



Il ministro Matteo Salvini è stato chiaro e onesto, bocciando il Mes: gli italiani hanno fatto la fila per il Btp Valore, la strada da seguire è quella. E non mettere il nostro debito in mani estere con possibili doppi fini. Il problema è che mediamente sono di circa 400 miliardi le emissioni nette di cui necessita annualmente il Tesoro: una cosa è piazzare una tantum Btp indicizzati all’inflazione e sponsorizzati come il Cornetto Algida a luglio, un’altra è diventare strutturalmente giapponesi a rendimento zero. O poco più. O, magari, persino al netto di un premio di rischio non più sterilizzato dalla Bce. Davvero l’azzardo del rinvio sul Mes si fonda sulla volontà e la certezza di poter tramutare il signor Rossi in mister Watanabe?

Ma la politica del rinvio non riguarda solo la ratifica parlamentare del Mes. Nel medesimo giorno dell’approdo in Aula della patata bollente europea, infatti, si chiude il periodo di blocco dei riscatti di Eurovita. Non a caso, venerdì. Poi, due giorni di filiali chiuse e call center con messaggio pre-registrato. Ma esattamente come per la terza tranche del Pnrr, la “soluzione di sistema” è questione di ore. Serve solo limare i dettagli, poi firma al Mef da parte dei cinque cavalieri bianchi pronti a spartirsi le polizze. E problema risolto. Almeno, così parrebbe. Nell’attesa, la Procura di Milano sta indagando. Al momento, il fascicolo sarebbe aperto senza alcuna ipotesi di reato, ma i rumors parlano di possibili azioni di responsabilità verso il vecchio Cda e gli azionisti di Cinven. Ma, soprattutto, ecco che quanto finora mantenuto nell’iperuranio del probabilistico, diviene certezza: in caso di accordo entro il 30 giugno (o 3 luglio), il blocco dei riscatti sarà prorogato al 30 settembre. Un altro bel calcione al barattolo. Ottenibile, magari, attraverso la formula non vincolante del pre-deal o del memorandum d’intesa fra le parti. In attesa della provvidenziale e affatto strategica costituzione della newco. Dopo l’estate, si vedrà.

In effetti, stante le dinamiche macro e l’incidere patibolare e da rabdomante delle Banche centrali, quella di guadagnare tempo appare strategia saggia. Ma ecco la perla, debitamente nascosta al grande pubblico (tradotto, i detentori di polizze già in modalità centometrista ai blocchi): l’impegno di ogni istituto che ha collocato polizze a mettere disposizione linee di credito per coprire riscatti, la cui entità dovrebbe essere calibrata in proporzione alle capacità di assorbirne l’impatto.

Tutto qui? Eh no. Le compagnie interessate (Generali, Poste, Allianz, Intesa Sanpaolo e Unipol) offrirebbero come garanzia alle banche, i titoli di Stato che sono sottostanti alle polizze. Il tutto a fronte di finanziamenti della durata di 8 anni. Insomma, in piena fase di rialzo dei tassi che impone a quei titoli l’incorporazione di minusvalenze, ecco il rinvio nel rinvio, il gioco delle tre carte: le minusvalenze potranno essere recuperate in seguito, stante la possibilità di sostituire quei titoli con altri alla scadenza. Le compagnie potranno venderli, quando recuperano il valore oppure alla scadenza dei prestiti. Unico nodo? Bazzecole, solo la ripartizione dei costi. E se i preventivi parlano di un’operazione da 500 milioni, questo domino di garanzie su titoli di Stato inserito nella già poco ordinaria nascita di una newco sembra tramutare l’evidenziatore del dubbio nel mitico pennello Cinghiale dello spot tv: se a febbraio 200 milioni erano sufficienti a tamponare l’emergenza riscatti, perché i cavalieri bianchi non li hanno messi sul piatto, risparmiando rispetto al conto attuale? E se tutto è chiaro, perché a 120 ore dalla scadenza, la tavola non è ancora sgombra?

You can put lipstick on a pig. But it’s still a pig. Insomma, per quanto rossetto tu possa mettere a un maiale, resta sempre un maiale.

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