Ricordate cosa diceva Alan Greenspan? Quando la situazione si fa davvero seria, il dovere di un banchiere centrale è quello di mentire. Vale anche per i ministri delle Finanze. A meno che non crediate al fatto che il Governo sia in grado di reperire 15-17 miliardi da una spending review ministeriale. Nel qual caso, probabilmente mettete ancora biscotti e latte sotto il camino per Babbo Natale. E carote per le renne. Con una crescita – concordata con l’Ue – dell’1% per quest’anno e un deficit al 7,2% dal 5,3% della Nadef, mi spiegate come si fa a ottobre a evitare una manovra correttiva? Sigarette a 10 euro al pacchetto nottetempo, ovviamente in nome dello Stato etico che ci salva dal vizio? Certamente sarà dura agire sulle accise della benzina, stante il prezzo al litro già raggiunto alla pompa. O magari una Fornero-bis, ovviamente chiesta dall’Europa?
Ma c’è di peggio. Perché al netto del negare un intervento tampone in autunno, dopo il clamoroso svarione di Mef e Ragioneria dello Stato sui conti e dell’alibi del Superbonus che non può ora diventare parafulmine di qualsiasi errore o incapacità, ecco che il Governo mostra tutta la sua irresponsabile disperazione illustrando i contenuti del Def. Dai quali si evince la volontà di rinnovare per il 2025 i 10 miliardi di taglio contributivo al cuneo, oltre agli sgravi fiscali per oltre 7 miliardi e finanziati solo per il 2024. Attenzione ora alla magia. Al netto di un deficit che, altrettanto magicamente, si comprime in sede di Documento di programmazione economico e finanziaria al 4,3% per l’anno in corso, si prospetta un suo calo al 3,7% nel 2025. Come finanzi un calo simile del deficit, se rinnovi sgravi per poco meno di 20 miliardi di euro in totale? Dove trovi i soldi, emetti un Btp indicizzato alla settimana? E la cosa grave è che il ministro Giorgetti ormai si fa beffe anche delle forme. Un tempo, quantomeno, si sarebbe evitato di presentare un documento scritto a fronte di parole che andavano in senso opposto. Oggi, invece, carta canta rispetto alle necessità di tagliare. Ma a parole, tutti gli sgravi rinnovati. E nessuna manovra correttiva in autunno. Avessero davvero trovate il petrolio in Molise?
Ma ecco che sempre il titolare del Mef pare svelare l’arcano. A domanda più o meno diretta rispetto al modo con cui verranno reperiti quei fondi, il ministro rimanda tutto a settembre. Ovvero, dopo le Europee. Da un lato si garantisce al mercato che i conti verranno messi in ordine, dall’altro si rassicura l’elettore sul rinnovo degli sgravi e il no a nuove tasse o tagli in autunno. A vostro modo di vedere e stante il rinvio di ogni decisione operativa a dopo il voto, chi viene ex ante preso per i fondelli? Non c’è niente da fare, ormai la coperta dei conti pubblici non solo è corta. Ma anche piena di buchi. Inutile raggomitolarsi, il freddo passa da tutte le parti. E non solo in Italia.
Purtroppo, la vicinanza partitica del ministro Giorgetti agli economisti di riferimento della Lega lo ha tramutato in un fautore del debito che non esiste. E se esiste, poi scompare da solo. Mentre il deficit cala solo invocando i saldi invariati, mentre si promettono sgravi per una ventina di miliardi in più. Date un’occhiata a questo grafico, il quale ci mostra come negli Usa la situazione sia ancora più macroscopica.
Ma i giochini di prestigio della Fed con l’inflazione e l’aria frizzantina del voto novembrino spesso prospettano miracoli contabili anche a quelle latitudini. Il debito federale Usa, infatti, sta per raddoppiare in soli otto anni, passando da 20 trilioni pre-Covid del 2017 ai 40 prospettati dal Congressional Budget Office nel 2025. Attualmente, il debito federale Usa cresce di 1 trilione di dollari ogni 100 giorni. Se davvero l’anno prossimo si toccherà quota 40 trilioni, staremo parlando di 17 trilioni di aumento solo dal 2020 a oggi. E poi dicono che le pandemie sono delle sciagure! In 25 anni, quindi, avremmo assistito a un aumento di oltre il 570%. E attenzione, tutto questo in una prospettiva macro di soft landing. Se mai dovesse davvero arrivare una recessione, a cosa andremmo incontro, stante la necessità di stimolare crescita e consumi?
Nel frattempo, tornando in Italia, avete notato il tonfo in Borsa di Leonardo e Iveco? Attenzione signori, perché quando comincia a traballare seriamente l’industria strategica, gli hard assets, allora c’è poco da inventarsi lotterie con i Btp indicizzati alle previsioni del tempo o millantare stimoli fiscali alla crescita e all’occupazione come il rinnovo del taglio del cuneo. A deficit, ormai l’Europa non ci farà più fare nulla. A meno di garanzie, magari incorporate nel nuovo Patto di stabilità che fingiamo di ignorare ma che ormai è alle porte, tali da rendere le condizionalità del Mes una passeggiata di salute nel parco. Sinceramente, il ministro Giorgetti lo capisco. Si vota fra meno di due mesi. E la Lega (fu Nord) rischia seriamente di essere superata persino dalla salma politica di Forza Italia. Perché proprio il Nord sa benissimo che le cose stanno come le ha raccontare il sottoscritto. Perché chi crea lavoro e gestisce aziende sa che i conti devono tornare. A fine mese. A fine trimestre. A fine anno. E le banche non sono la Bce. I prestiti li erogano col contagocce e chiedono reni e organi assortiti come collaterale. Nessuno fa magheggi nel mondo delle PMI, l’ex spina dorsale del Paese. E se anche i colossi come Leonardo e Iveco cominciano a sentire il freddo nelle ossa, capirete che l’aforisma di Alan Greenspan è quantomai calzante per lo spirito con cui il Mef si appresta a scollinare le Europee, sperando nel ciclico boost estivo del turismo a sostegno dell’asfittica crescita 2024 e addentrandosi nel pericoloso territorio autunnale chiamato realtà. Dove più spese e meno deficit non si conciliano. Nemmeno mischiando le carte. E tenendo gli assi nascosti nel taschino.
Se volete vi anticipo già la scusa con cui verrà giustificata la manovra correttiva: colpa della Bce che non ha tagliato i tassi quando doveva. Scommettete? Nel caso io vinca (cosa pressoché certa), chiedete conto al Governo su chi – nel frattempo – ha garantito lo spread sotto controllo tramite il reinvestimento titoli del Pepp fino al 31 dicembre. La stessa Bce. I tempi della moglie ubriaca e della contemporanea botte piena sono finiti. Fra poco occorrerà scegliere.
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