In Italia, un generale dell’esercito voleva occupare Sesto San Giovanni con i carri armati per trasformarla in campo di concentramento per avversari politici. L’operazione si chiamava “Esigenza triangolo” e il graduato in questione era Amos Spiazzi. Era il 7-8 dicembre 1970. Non parliamo del 1848. Era il golpe Borghese. E poi i depistaggi sulle stragi. Su Gladio. E chi più ne ha, più avveleni i pozzi della Repubblica. Oggi, invece, l’intero dibattito politico ruota attorno al libro scorretto di un altro generale, Roberto Vannacci. Concetti la cui profondità e pericolosità sociale fanno il paio al testo di una canzone di Fedez. Tranquilli, poche ore e ci penserà la Ragioneria Generale dello Stato a riportare tutti alla realtà.
Nel frattempo, tocca a Pechino. La quale, dopo aver inviato 42 caccia sul cielo di Taiwan come risposta alle esercitazioni congiunte di Usa, Giappone e Corea del Sud, domenica sera ha diffuso la sua lectio brevis di introduzione al forum dei Brics che si apre oggi in Sud Africa. Il messaggio? Lo ha riportato con grande evidenza il Financial Times: signori emergenti, il G7 non solo è superato. Ma va contrastato geopoliticamente in forma ufficiale. Dichiarata. Capito perché in queste ore si rincorrono notizie di ogni foggia e fattura rispetto all’ennesimo Minsky Moment cinese innescato dal pachiderma debitorio del real estate? Si è passati dalla bancarotta di Evegrande davanti al tribunale di New York al rischio di nuova Lehman evocato dal Wall Street Journal al record di pignoramenti. Un bel downgrade di emergenza, in effetti.
La Cina, dal canto suo, lascia fare. Perché come confermava FT, attualmente ha ben altro a cui pensare. La Pboc, d’altronde, sta già preparando l’innalzamento delle paratie. E gioca a nascondino con i mercati, tagliando ma non quanto ci si aspettasse. Una plastica dimostrazione di chi sia a gestire il banco, ormai. Piaccia o meno. E nonostante questo, per Pechino ciò che conta – apparentemente – è consolidare la leadership del nuovo blocco. Bipolarismo ufficiale. E tutt’altro che dialogante, quantomeno nella forma del compromesso di deterrenza preventiva. Perché se il G7 rappresenta, di fatto, l’Occidente che incarna la ricchezza del mondo, chi siederà fra poche ore sugli scranni sudafricani rappresenta Pil e materie prime. Tante. Strategiche. E in grado di operare da backing sia valutario, sia politico.
Certo, il dollaro denomina ancora tutto. E lo farà certamente per un periodo di tempo tutt’altro che limitato. Ma con quale peso? Lo stesso di 20 anni fa? O anche solo di 10 anni fa? E fra 10 anni, stante un deficit stellare? L’euro, poi, col passare del tempo pare più uno strumento di tortura che una valuta da basket globale. Non a caso, la Germania ha rimpatriato tutto il suo oro. O lo usa per coprire i buchi di bilancio da Qe della Bundesbank. E attenzione: perché i Brics – al netto dell’ingresso più o meno prossimo e reale di Argentina, Arabia Saudita e Iran – di fatto e già oggi rappresentano il Fmi alternativo e parallelo di mezza Africa. E l’abbaiare alla Luna dello stesso Occidente che fa riferimento al G7 nel caso di scuola del golpe eterodiretto in Niger, parla chiaro. E occhio agli equilibri negli Sdr, i diritti speciali di prelievo del Fmi, prossimo e più che probabile livello dello stress test cinese.
E mentre nel mondo accade questo, in Italia vige l’allarme per l’omofobia con le stellette. Ma come anticipato, la sveglia per palazzo Chigi sta per suonare. Gli iceberg cominciano la loro danza macabra sotto il pelo dell’acqua, nonostante tutto venga derubricato a mera disputa di contrapposizione politica. Ma attenti ai simboli. E ai corsi e ricorsi storici. Perché se le differenze rispetto alla missiva firmata Trichet-Draghi del luglio 2011 sono evidenti, la lettera della Bce con in calce l’autografo di Christine Lagarde in arrivo a Roma deve far riflettere. Soprattutto alla luce della postura da contrapposizione frontale che palazzo Chigi ha assunto in questi ultimi giorni, tesi a rivendicare proprio quel provvedimento sugli extra-profitti delle banche che è tema critico del richiamo scritto di Francoforte. E per quanto la maggioranza rivendichi l’autonomia dei Governi rispetto alla Banca centrale, la realtà è testarda. E quando il tuo debito ha appena sfondato l’ennesimo record e al 30 giugno i tuoi titoli di Stato godevano di un 61% di correlazione fra emissioni e acquisti Bce nei 16 mesi precedenti, tutto appare più complesso. E rischioso. Soprattutto se sul piatto dello scontro compaiono altre due criticità del peso di ratifica del Mes e riforma del Patto di stabilità. Senza scordare, il fronte interno. Perché quel provvedimento sulle banche, di fatto, serve a fare cassa. Altrimenti, nessuno lo avrebbe annunciato senza preavviso nell’ultimo Cdm prima della pausa estiva. Non fosse altro per la sistemicità del destinatario. E i rischi connessi.
Ma la cassa è vuota, signori. Io lo dico da tempo. Altrimenti, in punta di promesse elettorali, non si sarebbe blindato l’extra-profitto garantito dalle accise sui carburanti, il cui prezzo è volato alle stelle proprio nel periodo degli spostamenti di massa. Sullo sfondo, la disputa sui fondi per l’alluvione in Emilia-Romagna. Anch’essi fermi. Infine, qualche milione di avvisi bonari del Fisco in arrivo e in ossequio a un rinnovato impulso nella lotta all’evasione. Questa si chiama disperazione. Punto.
E il Pil? Il Pil conta, perché occorre far quadrare le previsioni del Def e quelle aggiornate della Nadef in vista dell’autunno. E la contrazione dello 0,3% del secondo trimestre rischia di aggravarsi nel terzo, stante un settore edilizio talmente in impasse da aver imposto l’ingresso a spinta del superbonus nel novero del Pnrr e quello turistico che quest’anno ha registrato pochi tutto esaurito. Insomma, le due voci che nel primo trimestre garantirono il sorpasso sulla crescita di Germania e Francia, dopo la frenata primaverile, paiono sterilizzate.
Solo elucubrazioni? Ecco i fatti concreti, allora. Quelli rappresentati nel grafico: il prezzo per il noleggio di tanker da trasporto di gas liquefatto (LNG) venerdì scorso ha superato i 100.000 dollari al giorno, sia nei basins del Pacifico che dell’Atlantico.
Il problema? Nonostante i prezzi ancora infinitamente più bassi dello scorso anno, quella soglia più operativa che psicologica è stata superata con un mese di anticipo rispetto al 2022. All’epoca la spot rate sull’Atlantic Spark30 andò sopra quota 100.000 a metà settembre inoltrata, infatti. Tradotto, un palese e marcato effetto contango nei prezzi LNG. Ulteriore traduzione, la consegna a lungo termine costa più di quella front-month. Traduzione per dummies, l’autunno dei prezzi sarà caldo. Il tutto solo per il rischio di sciopero ai terminal Chevron australiani: mercato che garantisce il 10% della fornitura globale di LNG. In Niger, nel frattempo, i golpisti filo-russi hanno come unica preoccupazione la scelta dei sottosegretari. L’Algeria targata Gazprom, cosa farà col suo gas in autunno? E se qualche pipeline baltica o balcanica dovesse subire interruzioni o guasti? Una crisi energetica sarebbe il classico chiodo nella bara. E il fatto che ieri mattina Sole 24 Ore e La Stampa si siano viste costrette a dare conto ai lettori della rinnovata fiammata dei prezzi ad Amsterdam, parla chiaro.
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