Ieri (salvo cambiamenti dell’ultimo minuto, incorsi quando questo articolo era ormai impaginato e in attesa di pubblicazione) l’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva ha varato il cosiddetto Decreto Omnibus, i cui punti qualificanti sono la questione delle doppie licenze dei taxi e quella del caro-voli. En passant, una quisquiglia come le intercettazioni, tanto per far capire la serietà che alberga nei dintorni di piazza Colonna. Entrambe materie importanti, per carità. E il mio non è sarcasmo.



Un Paese che, dati Istat alla mano, vede il suo Pil migliore di quello tedesco e francese grazie al contributo fondamentale di edilizia e turismo, fa bene a premurarsi di avere città con auto pubbliche in abbondanza e biglietti aerei il cui acquisto non richieda la vendita di un rene. Certo, l’affaire taxi in Italia rappresenta il corrispettivo in ambito di trasporto della Questione meridionale o del cuneo fiscale. Insomma, il mistero della fede sotto forma di tassametro. E forse il nodo della speculazione nel trasporto aereo sarebbe stato più strategico affrontarlo a maggio e non a stagione turistica ampiamente inoltrata. E con una serie di criticità che poco hanno giovato alla stagione, oltretutto avendo avuto come vittime dei vip, cui chiaramente è garantita eco mediatica di lamentela ben superiore alla media.



In effetti, Federturismo è stata chiara. E Il Sole 24 Ore ha rilanciato in merito un titolo tutt’altro che interpretabile nella sua edizione di domenica. Lo cito testualmente, in modo che possiate cercarne conferma sul web: Turismo, frenata improvvisa: domanda fino a -30%, italiani in fuga dal caro prezzi. E verso quali lidi? Non solo Tunisia, Spagna e Grecia. ma anche le new entry Albania e Montenegro. E come gli italiani, fuggono anche molti stranieri. Perché se il Salento costa come Martha’s Vineyard e a Como ti chiedono 2 euro di supplemento per dividerti il toast in due, non stupisce che la gente vada altrove. Sarebbe idiota se non lo facesse.



Il problema strutturale? Ciò che sottende questa logica. Ovvero, una sindrome da last hurrah. Cioè, capitalizzare al massimo il momento, quasi si fosse certi che la festa stia finendo. Un’altra volta. Prezzi alle stelle e logica del turismo a strascico, basato sui volumi, ma senza l’intelligenza di tararne le possibilità di spesa. Tradotto, tratti l’impiegato come l’influencer. E l’impiegato, giustamente, scappa dopo un giorno. E nonostante – o, forse, a causa – questo, un bel -30% stimato. E non dal sottoscritto, dalle opposizioni o dal Codacons. Certificato da Federturismo. La quale, ovviamente, scarica le responsabilità su cambiamenti climatici e inflazione. Non sia mai ammettere una vaghissima avidità di fondo di una parte non minoritaria dei propri associati. Ma si sa, se in autunno ti prepari a chiedere sostegni al settore in stile pandemia, stante la recessione che ormai solo la Bce ha ancora il coraggio di mettere in dubbio, la postura da vittima è meglio assumerla con largo anticipo.

Insomma, facciamo il punto. L’edilizia non tira più come prima, dopo che il ministro Giorgetti ha indossato i panni della Procura antidoping per tutelare i conti pubblici da un futuro saltellante tipo grillo. In compenso, ci ha lasciato in dote circa 30 miliardi di crediti incagliati del superbonus. E già oggi tremo al pensiero di come verranno smaltiti, stante un odore di cartolarizzazione che comincia a spandersi nell’aria come un campo appena concimato quando lo si incrocia andando in autostrada. Il turismo, poi, è nelle condizioni appena descritte. Lo certifica l’associazione di categoria. E dal ministero competente nessuno apre bocca per smentire. Forse indaffarati in altre e più rognose faccende.

Se nel secondo trimestre il nostro Pil è risultato a -0,3% contro il +0,3% della media dell’eurozona, cosa dobbiamo attenderci dal terzo, al netto di revisioni e ponderazioni mark-to-unicorns in perfetto stile statunitense? In compenso, nel cassetto del Governo ci sarebbero 11 miliardi per la ricostruzione post-alluvione. Fermi. Eppure, stando alle cronache e ai proclami del Governo, la Commissione europea ha appena dato via libera all’esborso dei 35 miliardi della seconda e terza rata del Pnrr entro il 31 dicembre prossimo. Perché allora non sbloccare quegli 11 miliardi benedetti, riattivando la dinamo economica dell’Emilia-Romagna, come la definì la presidente del Consiglio nei giorni delle photo-opportunities con gli stivali di gomma ai piedi?

Insomma, cosa non ci stanno dicendo sui conti pubblici e sulla loro sostenibilità di breve periodo? E non guardate lo spread o i titoli bancari, per carità. Finché la Bce non stacca la spina e non ritira la deterrenza del reinvestimento titoli, nemmeno un kamikaze andrebbe all-in contro il nostro debito. Perché, se davvero abbiamo 35 miliardi in arrivo entro quattro mesi, almeno la metà di quegli 11 miliardi non vengono sbloccati per chi realmente a bisogno? Forse è più urgente pagare il taxi a chi va a sballarsi in discoteca, il quale per fare serata avrà tranquillamente speso almeno un centinaio di euro? Oppure dar vita a un provvedimento sulla doppia licenza dei taxi che nasce già morto, stante la sua natura facoltativa e il no della categoria, notoriamente orientata a destra come elettorato?

Perché dobbiamo continuare a farci prendere in giro? Certo, viviamo in un mondo in cui economisti in disgrazia millantano crescite del 3%, se si seguissero le loro geniali ricette. Quindi vale tutto. Ma la realtà è un’altra. Il prossimo giugno sarà Election day, legislative anticipate ed europee insieme. Nessuna legge, nazionale o comunitaria, lo vieta. Addirittura nel 1979 e nel 1994 i due voti avvennero a distanza di una sola settimana l’uno dall’altro. E il decreto legge del 5 luglio 2011 parla chiaro, più si accorpa meglio è. In punta di realismo, quanto descritto finora sembra suggerirci come l’autunno/inverno ne creerà le condizioni. Ecco perché si blindano le lobbies e i territori di riferimento. Anzi, paradossalmente ci sarebbe da sperare che fosse così. Perché l’alternativa sarebbe addirittura disperante. Ancorché non troppo peregrina, stante lo spettacolo attuale.

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