Vi siete chiesti come mai gli Stati Uniti siano così agitati? Certo, la Fed formalmente ha fatto partire il taper, ma il mercato certamente non è crollato. Certo, l’inflazione è appena salita al massimo dal 1982, ma parliamo di un Paese in cui Jerome Powell ha potuto raccontare la barzelletta della transitorietà del rialzo dei prezzi fino a un mese fa, senza che nessuno ne chiedesse la rimozione. Anzi, gli è stato rinnovato il mandato: la meritocrazia è notoriamente uno dei pilastri della società americana. Certo, la questione del tetto di debito è ancora tutta da risolvere e la data di domani incombe come spada di Damocle sulle baruffe congressuali, ma, in realtà, tutti sanno che si tratta di una pantomima. Com’è stato almeno negli ultimi venti anni. Il debt ceiling è un farsa, l’ipotesi di default Usa ancora peggio. In compenso, rispetto all’Europa, gli Stati Uniti hanno un prezzo del gas bassissimo e anche quello della benzina comincia a calare, stante lo shock al ribasso del petrolio che ha attivato un minimo sindacale di effetto cascata sulle valutazioni al distributore. Ma, soprattutto, l’allarme Covid appare decisamente ridimensionato. Certo, i numeri sono da piena quarta ondata in alcune aree, ma l’isteria europea appare lontana anni luce, quantomeno dal punto di vista mediatico.



Perché allora queste fibrillazioni sul fronte ucraino e, soprattutto, la scelta di dar vita a un summit internazionale sulla democrazia da cui escludere platealmente la Cina, quasi a voler cercare volontariamente l’incidente diplomatico? Lo mostrano questi tre grafici, i quali possono tranquillamente essere utilizzati come simbolica didascalia della foto di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi.



Vi chiedete perché – non più tardi dell’altro giorno – sia emerso il particolare di un piano golpistico tout court legato all’attacco al Congresso del 6 gennaio, tale da garantire allo sconfitto Donald Trump la possibilità di invocare lo stato di emergenza e restare alla Casa Bianca? Facile, guardate il de-couple in atto fra tasso di gradimento di Joe Biden e indice CPI, l’inflazione: non ci trovate una certa correlazione? E a spiegarlo meglio ci pensa la seconda immagine: al netto della benzina alla pompa e del prezzo degli immobili e delle auto usate, l’americano medio lo scorso Giorno del Ringraziamento ha fatto la conoscenza diretta e traumatica con l’aumento spaventoso dei prezzi dei generi alimentari. Ciò di cui non si può fare a meno, nemmeno per una settimana. L’auto si può attendere a cambiarla, la televisione e la lavatrice anche. Ma se non paghi gli oneri legati alla casa (affitto o mutuo e utenze) e non hai il denaro per fare la spesa, è game over. E, guarda caso, il tasso di apprezzamento verso il Presidente si inabissa.



Ma eccoci al terzo grafico. Anzi, mappa. E cosa ci mostra, su dati ufficiali elaborati da ABC News? Che in una dozzina fra le principali città statunitensi il tasso di omicidi è già oggi da record, quando mancano ancora più di due settimane alla fine del 2021. Qualche esempio? Prendiamo Philadelphia. Con una popolazione di circa 1,579 milioni, il dato relativo a quest’anno parla di 33 omicidi ogni 100.000 abitanti, qualcosa come quattro volte la media nazionale di 7,8 omicidi per 100.000 abitanti registrata nel 2020. A seguire, Portland, Austin, St. Paul (Minnesota), Indianapolis, Louisville, Albuquerque (New Mexico), Columbus (Ohio), Tucson e Rochester (New York). Ora, unite un Paese alle prese con un’inflazione che comincia a erodere non tanto i redditi quanto già i risparmi, stante la fine dei munifici programmi di sostegno pandemico a un tasso di violenza sempre più fuori controllo pressoché in tutte le principali città del Paese, da Est a Ovest passando per il Mid-West: quale potenziale mix può uscire dall’unione di dinamiche simili? Il tutto con il mercato che ancora riesce a mascherare con i suoi rialzi le vere dinamiche sottotraccia dell’economia, stante un rallentamento che i media hanno venduto alle opinioni pubbliche come dovuto alla pandemia, ma che ha in realtà fondamenti ben più seri e strutturali, a partire da una crisi della logistica post-globalizzazione che certamente non si risolverà con un colpo di bacchetta magica nel primo trimestre del 2022.

E la Fed, cosa farà? Non ci vorrà molto per scoprirlo, visto che oggi inizia il Fomc e domani sera Jerome Powell illustrerà alla stampa le decisioni prese. La vulgata è quella di un’accelerazione del taper, di fatto l’ennesimo gioco delle tre carte per evitare di mettere sul tavolo un anticipo del primo rialzo dei tassi al 2022. Guarda caso, l’esplosione dell’emergenza Omicron e la scoperta del primo (e unico) caso negli Usa, in California, ha già spostato da dicembre 2022 a febbraio 2023 la prezzatura dei futures rispetto a un primo ritocco all’insù del costo del denaro. Di fatto, se anche la Federal Reserve arrivasse alla decisione drastica di raddoppiare addirittura il controvalore di taglio degli acquisti mensili, fino a marzo compreso il suo stato patrimoniale resterebbe da record assoluto. Insomma, shock fino a un certo punto per i mercati. Anzi, quasi un sollievo.

Esattamente come accaduto venerdì, quando il decennale statunitense è sceso di botto a 1,48% di rendimento dopo la pubblicazione del dato record sull’inflazione: direte voi, com’è possibile? Semplice, il debito Usa ha festeggiato il mancato superamento della soglia psicologica del 7% annuo. Ormai viviamo in un mondo di pazzi e modellato in base alle percezioni di una platea spaesata, spaventata e manipolata. Lo stesso varrà per quanto atteso il giorno seguente a Francoforte, quando Christine Lagarde illuminerà tutti con la sua sapienza nel contrasto all’inflazione.

Smetterà di essere transitoria anche da questa parte dell’Atlantico? Oppure no? Una cosa è certa, sempre più voci danno per certo un rinvio di ogni decisione sul post-Pepp alla riunione del 2-3 febbraio 2022: si spera che Omicron terrorizzi per bene, magari rovinando in maniera rumorosa il Natale a più di una grande capitale. Ebbene sì, preparatevi a un lockdown molto mediatico nel giorno più amato. Chissà, magari Berlino. O forse Londra, dove Boris Johnson ha già clamorosamente messo le mani avanti. O chissà, forse Roma. Perché quando il Financial Times dedica un articolo al lavorìo carsico della diplomazia greca per scongiurare la fine degli acquisti in deroga del proprio debito da parte della Bce significa che la paura sta già scorrendo a fiumi sottotraccia. Occorre prendere tempo, ancora una volta. E trovare delle belle cortine fumogene, come sta dimostrando plasticamente l’America. Un po’ di Ucraina, un po’ di roboante difesa del concetto di democrazia contro la Cina e, se sarà necessario, un altro po’ di timore da virus. Nel frattempo, le città sono dei Far West in cui si muore per nulla, magari per 10 dollari di rapina a una drogheria o per una dose di Fentanyl e l’inflazione ti mangia il potere d’acquisto, nemmeno più tanto silenziosamente. E lo fa alla cassa di Walmart, dove fa più male, perché non si può fare economia sul pasto da portare a tavola per i figli. E i sondaggi calano per chi porta in capo il pesante onere della corona.

Vi pare un caso che Mario Draghi sembri avere come unica priorità quella di raschiare ogni fondo di barile possibile per rendere meno pesante la prossima bolletta energetica degli italiani? Tutto il mondo è Paese. Ma, soprattutto, tout se tient. Il bello arriva ora. Perché da qui a qualche settimana, il virus lascerà spazio ad altro nei salotti televisivi. Fidatevi. Il trappolone è già pronto. Avete mai visto il film The game con Michael Douglas e Sean Penn? Fatelo.

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