Nei mesi scorsi, i miei articoli relativi al rischio energetico europeo hanno registrato alcuni commenti critici. Spesso da utenti che operano nel settore. Spesso da persone per cui l’approdo a palazzo Chigi della propria parte politica era conditio sufficiente per l’innesco di una pavloviana sindrome Re Mida: tutto ciò che il Governo tocca, lo trasforma in oro. A prescindere. Quindi, umiltà in spalla, sono andato a dare un’occhiata con maggiore attenzione. Generavo davvero tempeste in un bicchiere d’acqua?
E restando in tema di bicchieri, chi mi invitava a guardare quello mezzo pieno degli stoccaggi di gas europei comunque quasi sui massimi, quando io invece continuavo a mostrare un trend in calo rispetto al 2023 che non fattorizzava una possibile escalation sul fronte ucraino, aveva ragione? Valutate voi, stante gli sviluppi. E per aiutarvi in questa analisi, fate due cose.
Primo, segnatevi sul calendario la data dello scorso 6 novembre. Cerchiatela bene. In rosso. Secondo, date un’occhiata a questi grafici relativi al dato disaggregato delle fonti energetiche tedesche in quel preciso giorno del mese in corso e al picco di prezzo registrato come conseguenza di una settimana totalmente senza vento che alimentasse l’eolico. Cosa svetta, cosa ci sbatte in faccia il suo carico di realtà? Gas e carbone. La mitica Energiewende – la transizione energetica – che ha portato i Verdi al governo del Paese e ora alle quasi certe elezioni anticipate del 23 febbraio a causa di una crisi industriale peggiore di quella post-Muro si è forse schiantata contro una singola, piccola e breve settimana senza vento?
Temo che potrebbe accadere di nuovo. Il meteo tedesco non appare un qualcosa di così certo e solido su cui basare un’intera economia. Ora, date un’occhiata questa immagine Si tratta del post pubblicato venerdì scorso su Linkedin da Markus Krebber, amministratore delegato del colosso energetico tedesco RWE.
Potrebbe essere stato scritto da un maestro del neorealismo per quanto infila senza pietà il dito nella piaga. Un grido d’aiuto, una pubblica ammissione di impotenza energetica – in tutti i sensi, anche tecnico – di fronte alla prima criticità meteo palesatasi a sua volta nel primo, vero giorno di clima avverso e domanda in aumento. Il famoso picco del 6 novembre, appunto. Superato nell’arco di pochi giorni, certo. E senza entrare in uno stato di emergenza tale da scomodare i media, ancora prevalentemente improntata alla narrativa del catastrofismo green. Ma è lo stesso Markus Krebber a dire chiaro e tondo che, in base ai consumi sulle serie storiche e al netto delle disponibilità attuali, il sistema non reggerebbe un 15 gennaio qualunque. Ovvero, il giorno nelle serie storiche che si aggiudica la palma di picco massimo, quando si è registrata domanda per 75 GW. Quasi 10 GW più del 6 novembre.
E leggete l’ultimo periodo del suo post. Ora, io sarò certamente un pessimista. Ma non certo uno che cerca like o click. I miei post non sono ospitati da piattaforme che ti pagano in base al numero di visualizzazioni. La mia lettura è quindi quella di chi è sempre convinto che persino la palla di neve più piccola e innocua, quando si stacca e comincia a rotolare, può potenzialmente tramutarsi in valanga. Quantomeno fino a quando non si ferma a metà cammino. Placida. Io accetto tutte le critiche. Anche quelle per partito preso o meramente ideologiche. Ma di fronte a un post come quello del numero uno di RWE, uno che di lavoro valuta come e quanto sia sostenibile questa benedetta transizione, vogliamo ancora dire che l’Europa (e l’Italia) non corrono alcun rischio di un nuovo 2022 redux, non fosse altro per il clima di escalation che si sta generando sul fronte ucraino?
Creare ansia non mi genera reddito. Né particolare piacere fisico o emotivo. Provare a dire la verità, sì. Perché contestualmente, in Germania la retorica continua a mietere vittime. Dopo Volkswagen, è stato il turno di Bosch. Componentistica per l’automotive. Che taglia 5.000 posti di lavoro. Di cui 3.800 in patria. E gli altri? Calcolando che fra Bosch Italia e le sue 18 controllate, il colosso teutonico garantisce occupazione a 6.000 lavoratori nel nostro Paese. Temo che siamo fra i papabili nel dover pagare dazio. Il tutto dopo i 2.000 tagli della turca Beko nei suoi 3 stabilimenti del Belpaese.
Davvero a fronte di una situazione come questa, nessuno si sente responsabilmente in dovere di chiedere al Governo quale sia la reale situazione del nostro approvvigionamento energetico, stante il peso della bolletta sui conti delle PMI? O ci interessa solo Stellantis, nel bene e nel male? Perché al netto degli ultimi quattro giorni, finora anche al Nord abbiamo vissuto una primavera anticipata come clima. Ma pare che il generale inverno stia per arrivare. E fino a marzo, toccherà farci i conti. In un contesto geopolitico che vede Mosca sparare missili ipersonici e rivedere per l’ennesima volta le regole d’ingaggio della sua dottrina nucleare.
A che punto è la situazione in Algeria? Quanto siamo dipendenti, realmente, dai flussi russi che Gazprom ha appena riattivato attraverso l’Austria, tanto per far capire chi ha la conduttura dalla parte della manopola? E quanto dal costosissimo LNG statunitense, stante un ministro competente in materia che Donald Trump ha scelto in barba ai più elementari vincoli del conflitto di interesse, poiché fondatore di un’azienda di fracking e ora azionista di una impegnata nel nucleare di nuova generazione. Io capisco che i mandati d’arresto del Tribunale farsa dell’Aja rappresentino un comodo argomento di discussione politica, poiché totalmente risk-free a livello di ricasco sugli umori del proprio elettorato. Ma ci rendiamo conto che in un contesto macro da recessione conclamata come quello che sta già vivendo l’Europa – il PMI tedesco e francese di cui vi ho parlato la scorsa settimana certificano il fatto oltre ogni ragionevole dubbio, dopo il rimbalzo da gatto morto estivo e post-Olimpiadi -, un Governo responsabile non può limitarsi a incasellare i fondi in Manovra per cercare di soddisfare mance e mancette di tutti i partiti e delle loro lobbies?
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