Era l’unica notizia che valesse la pena dare. Stando all’Istat, i salari italiani fra il 2007 e il 2020 sono calati del 10%. Di fatto, nell’esatto arco temporale in cui grazie alla crisi Lehman e ai conseguenti cicli di Qe il mondo intero ha goduto di tassi a zero o sottozero e inflazione talmente inesistente da dover essere stimolata, i lavoratori italiani hanno vissuto in un regime di dinamica dei prezzi in implicito aumento. La realtà di questo Paese sta tutta qui. Perché se il freno al mercato del lavoro è la scarsa produttività, come ci dicono, demotivare strutturalmente i lavoratori con salari da fame rappresenta la dinamo del disastro. Ma si sa, la scusa è sempre pronta e sempre la stessa: l’eccessiva tassazione sul lavoro, il Godot del cuneo fiscale. Non c’è talk-show in cui imprenditore o sedicente tale non si batta il petto, dicendosi pronto a raddoppiare i salari il giorno dopo, se calassero drasticamente le tasse che deve pagarci sopra.



Balle. Fa comodo così. Perché altrimenti non si spiegherebbe come il cuneo fiscale si sia trasformato negli anni in una creatura mitologica del dibattito politico, esattamente come il Ponte sullo Stretto. Se tutti sono d’accordo nel ritenere quell’abuso di tassazione il fermo che blocca una potenziale esplosione in positivo della crescita, perché nessun Governo di nessun colore ci ha mai messo mano seriamente, preferendo optare sulle solite rottamazioni, decontribuzioni, sostegni e mancette di Stato? Perché conviene tenersi buoni gli imprenditori con regalie e, soprattutto, conviene tenere bassi i salari. Magari a colpi di immigrazione di massa. Di più, ancora più fondamentale è scatenare una guerra fra poveri che determini un tale Far West occupazionale da garantire un ulteriore, costante e strutturale dumping al ribasso. Chiunque si lamenti, viene messo alla porta. Perché c’è la fila di disperati pronti ad accettare persino condizioni peggiori, pur di cercare un barlume di sopravvivenza.



In compenso, alla luce di questa realtà incontrovertibile – al netto della certificazione Istat, bastava guardarsi in giro ed essere dotati del minimo sindacale di buona fede – si decide che il Reddito di cittadinanza non solo deve vedere le mensilità del 2023 decurtate nel numero, ma deve veder sparire anche l’aggettivo congrua rispetto alla natura della proposta di lavoro che risulterà vincolante al fine dell’erogazione del sussidio. Della serie, da oggi in poi devi per forza accettare qualsiasi proposta. Altrimenti, comunque sia rimani a piedi, perché il reddito ti viene tolto. Perché quel congrua significava una proposta in linea con il tuo curriculum, ma, soprattutto, entro 80 chilometri dalla residenza o comunque in una località raggiungibile con un viaggio su mezzi pubblici che non superasse i 100 minuti. Non sarebbe stato più onesto ammettere che servono i soldi per le coperture delle marchette gradite a imprenditori e commercianti e abolire sic et simpliciter il Reddito di cittadinanza dal 1 gennaio 2023? Tanto è lì che si vuole arrivare. Se sei di Napoli e ti offrono un lavoro a Rovereto, quante possibilità ci sono che tu prenda armi, famiglia e bagagli e ti trasferisca a 1.000 chilometri di distanza, dove un affitto costa tre volte tanto e la spesa per mangiare almeno il doppio?



Il problema è che una simile dinamica necessita di un’impalcatura sempre più complessa per non grippare. Certo, ormai è stata sdoganata la via americana alla miseria, ovvero l’abuso di carte di credito e finanziamenti personali. Ovvero, debito, debito, debito! D’altronde, se il primo a operare così è lo Stato, perché il cittadino dovrebbe vergognarsi o esimersi? Ma per quanto si potrà andare avanti? E non mi riferisco ai presunti rischi di violenze o tensioni sociali che si stanno sbandierando ad hoc da quando è stato annunciato l’intervento sul Reddito di cittadinanza, tanto per mettere le mani avanti su possibili intenti repressivi. Sto parlando del fatto che l’Italia – in quanto sistema – stia vivendo attaccata al respiratore della Bce, tolto il quale la ristrutturazione del debito è realtà acclarata. Senza che sul mercato sia accaduto nulla di eclatante, il rendimento del decennale benchmark italiano ha già superato di nuovo la soglia di allarme del 4,5%. E ripeto, al netto di nulla. Perché fidatevi, nessun operatore di mercato muove i suoi investimenti eventuali su Btp in base al rischio di esercizio provvisorio. Principalmente per una ragione, sconsolante: nessun operatore di mercato detiene più Btp. Lo fanno solo Bce, banche e assicurazioni italiane e risparmiatori retail. Gli altri soggetti mantengono a bilancio ciò che già detengono, in attesa di capire le mosse di Francoforte e regolarsi di conseguenza in base alla maturity.

Basta dare un’occhiata ai dati di Bankitalia: la richiesta estera di Btp è in calo perenne. Esattamente come i salari di questo Paese. Cosa dite, ci sarà forse una correlazione fra regime di Qe strutturale che ha permesso ai Governi di coltivare orticelli elettorali con i premi di rischio soppressi artificialmente e fuga degli investitori da un lato e stipendi in stagnazione dall’altro? Purtroppo sì. Ma vi avevano detto che il Qe non aveva costi, tantomeno sociali. Anzi, qualche genio dell’economia ribadiva sarcastico come l’inflazione a zero fosse la conferma diretta dell’inoffensività esiziale e ontologia di quel processo di manipolazione sistemica. Poi vi avevano detto che l’inflazione era transitoria, dovuta alla mitologica speculazione. Oggi siamo qui a cercare di capire come pagare i mutui e le bollette. Con salari che dal 2007 in poi non solo non hanno mai intravisto un aumento ma sono calati del 10%. E i profitti, invece? E i bonus? E i dividendi garantiti da una Borsa in perenne rialzo grazie alle Banche centrali che vietavano quasi per legge i cali degli indici, pronte com’era a intervenire?

Sicuri che una mossa come quella in atto sul Reddito di cittadinanza non si configuri davvero come un detonatore, questa volta reale? O forse lo scontro sociale è proprio ciò che si sta cercando, stante le casse vuote dello Stato e le false speranze affidate a giochi a somma zero come Pnrr e Recovery Fund? D’altronde, reprimere il caos è più facile che governare la pace apparente.

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