Giro di boa per i listini finanziari. Ieri si è conclusa la prima parte dell’anno e, l’epilogo che accomuna gran parte dei principali mercati internazionali, evidenzia un risultato negativo: in molti casi, la portata delle perdite si caratterizza per l’ampio ammontare della doppia cifra finora conseguita. Effettivamente, la mattina di 24 ore fa, iniziava con un poco promettente “buongiorno finanziario”. Alle ore 08:00, infatti, attraverso i molti monitor sempre propensi a offrire potenziali gioie e dolori quotidiani, si poteva leggere: “Wall Street: ieri contrastata (Dj +0,26%), S&P 500 verso peggior primo semestre dal 1970“. Immediato, e ancora più scontato, il passaggio successivo: un veloce click sul mouse e l’intera notizia prendeva forma. «Oggi si chiuderà il primo semestre del 2022: lo S&P 500 sta perdendo, dall’inizio dell’anno, circa il 20% e potrebbe archiviare i primi sei mesi come i peggiori dal 1970, quando perse il 21,01%» (fonte Radiocor). 



Purtroppo, quest’ultima ipotesi, era nell’aria. La giornata è iniziata (e non da poco) e, con il trascorrere dei minuti, la consueta morning routine (oggi anche i boomer la chiamano così) intercetta – tra i moltissimi input visivi – un altro flash sul monitor. Un altro titolo: “Borsa: Europa verso avvio in rosso, pesano timori su crescita e inflazione”. Un’altra immediata reazione come poco prima. Stesso, medesimo, rituale. Click sul mouse e lettura rapida dell’intero contenuto: «non arriva aiuto neppure da Wall Street, dove i future, ancora poco mossi, sono in discesa e, soprattutto, l’S&P 500 va verso il peggior primo semestre dal 1970 e il Nasdaq cede il 20% negli ultimi tre mesi, il dato peggiore dal 2008». È trascorso poco tempo: poco più di una ventina (paradossale similitudine con il citato ammontare delle perdite) di minuti. Sono le ore 08:23. Oggi sarà una giornata difficile. Nulla di buono all’orizzonte. 



E proprio quest’ultimo richiamo allo storico anno 2008 ci impone – l’obbligo – di dover scorrere i grafici presenti davanti al nostro sguardo: un portare indietro le lancette di un orologio finanziario mai fermo e che mai si fermerà. 

Subito il riferimento è al principale indice azionario statunitense S&P 500 che, oggetto di questa incuriosita ricerca, fa affiorare una ben nota (almeno tra i più visionari addetti ai lavori) scoperta: il parallelismo grafico tra i primi mesi del 2008 e quanto fino a oggi accaduto. L’accostamento è eloquente. 

Tralasciando questa rappresentazione. a quattordici anni dall’importante crisi degli anni 2008 le attuali condizioni economiche e finanziarie a livello mondiale sono decisamente mutate. A molti aspetti positivi vengono contrapposti altrettanti fattori negativi: inutile elencare i singoli vantaggi e svantaggi, poiché, in entrambi i casi, i riscontri sarebbero innumerevoli. Quello che, invece, suscita interesse e preoccupazione sono i recenti dati economici. La loro diffusione viene per lo più commentata facendo ricorso alla più lontana storia finanziaria. Con il susseguirsi delle rilevazioni nel corso di queste settimane (ormai divenute mesi) si continua a leggere di “nuovi minimi storici” (per esempio, fiducia dei consumatori), di inaspettati livelli ed errate valutazioni (per esempio, inflazione), di pessimismo in chiave futura e molto altro ancora al pari di una siffatta tortura della goccia cinese che, goccia dopo goccia, dato dopo dato, vede una fronte sempre più corrucciata tra chi (inerme) osserva. 



Il 2022 sarà un nuovo 2008? Troppo pessimismo? Perché sì o perché no? Lasciamo a voi le argomentazioni a supporto di ciascuna ipotesi. Il dato, oggettivo, rimane. La curva dei prezzi (2008) che abbiamo riportato non può mutare: è storia. Quella attuale (2022), invece, vorremo che volgesse in direzione di nuovi lidi: lontana rispetto al suo storico passato. È nell’interesse di tutti.

Dal punto di vista tecnico/operativo, al fine di evitare un’eccessiva drammatizzazione per lo scovato parallelismo grafico 2008-2022, abbiamo preferito escludere ogni dettaglio sul raffronto temporale (rif. minimi e massimi di periodo): riteniamo sufficiente e immediato il solo aspetto visivo. Viceversa, sul fronte finanziario/economico, le variabili in gioco per il prossimo futuro, purtroppo, appaiono alquanto compromesse. 

Ore 13:00. Altro flash. Altro titolo. “Borsa: Giornata da dimenticare per Milano, in forte calo -2,56% alle 13.00″. Questa volta, però, la voglia di approfondire è nulla. Guardiamo oltre aspettando la chiusura dei mercati. Nel frattempo, inaspettatamente, si beneficia di un’impensabile pausa: lo sguardo volge al silenzioso, disponibile, e sempre presente taccuino. Viene aperto, sfogliato, e poco prima di giungere all’ultima pagina l’attenzione trova rifugio in un foglio piegato. Una breve nota a mano contraddistinta da una sottolineatura decisa, marcata e ripetuta cita: “da trascrivere!”. 

Immediata la lettura del testo contenuto in questo piccolo rettangolo bianco: «Mi viene sempre in mente un proverbio africano che veniva citato a metà degli anni ’80 quando ero alla Banca Mondiale diceva ‘Quando gli elefanti lottano è l’erba che soffre’, e quindi se i Paesi si sentono erba soffrono ed è difficile chiedere loro di prendere parte (cit. Giugno 2022 – Mario Draghi conferenza stampa G7 di Elmau)».

Da quel momento in poi, l’unico elemento che caratterizzerà le successive ore, sarà quello di una frase che rimbomba nella mente: “Quando i mercati lottano è l’investitore che soffre“, “è l’investitore che soffre“, “Quando i mercati lottano è l’investitore che soffre“. Tarda serata. Mercati chiusi. Ormai lontano dai monitor, ormai lontano dalle tastiere, ma, nella testa, quella frase risuona ancora: “Quando i mercati lottano …“.

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