La mia fiducia nel cosiddetto “popolo”, nella mitologica “società civile”, nella proverbiale “gente comune”, sinonimo di onestà e buon cuore, è da tempo ormai ai minimi storici. Per una ragione molto semplice: non puoi contestare il sistema, il modello di sviluppo, lo stile di vita e poi esserne parte integrante, meccanismo consapevole e attivo. Perché perdi di credibilità. E qui non siamo più nell’ottica del soggetto o della moltitudine di soggetti, siamo proprio al collateralismo di massa, siamo al fiancheggiamento puro e semplice. Per convenienza. Spesso, per inconsapevole o indotta convinzione. Non stupisce, quindi, come ciclicamente saltino fuori movimenti “spontanei” che con la scusa della messa in discussione della status quo, ne diventino in realtà il miglior alleato. E, in alcuni casi, addirittura ambiscano a subentrarne nel ruolo. Ma non in ottica di stravolgimento, rivoluzionaria, bensì di mera continuazione con altri mezzi e parole d’ordine, tanto per intorbidire le acque e garantire la sopravvivenza della specie, la perpetuazione dell’immutabile che si contesta a parole ma si anela nel privato.
Ha funzionato per oltre un anno con i gilet gialli francesi, principale bastione di supporto al traballante profilo politico di Emmanuel Macron. Ha funzionato ancora meglio con M5S in Italia, passato in tempo rapidissimo dalle piazze del Vaffa a Palazzo Chigi. E poi c’è il collateralismo della cosiddetta cittadinanza attiva, più o meno organizzata: si passa dalle Sardine di casa nostra fino agli scoppi d’ira violenta delle piazze statunitensi a seguito della morte di George Floyd, capaci di contenere al loro interno tutto e il contrario di tutto. E di passare dalle parole d’ordine delle Black Panthers al mero saccheggio di centri commerciali fino alla pulizia architettonica, allo sbianchettamento del passato attraverso l’abbattimento di statue, al photoshop iconoclasta della Storia.
Cosa accomuna questo guazzabuglio, questa entropia anarcoide e incoerente? Il non sfiorare nemmeno lontanamente i gangli del potere. Negli anni, quante di queste cosiddette rivoluzioni – per via parlamentare o di piazza – hanno sortito qualche effetto concreto, tangibile e reale, a meno che non si legga come evento spartiacque l’approdo di Luigi Di Maio alla Farnesina? Nessuno. I gilet gialli in Francia hanno ottenuto l’unico risultato concreto di spaventare la classe media, rinsaldando un Eliseo che godeva della stessa simpatia tributata dalle prostitute dell’East End a Jack lo Squartatore. Punto. Il resto è retorica pauperista da rivolta permanente, insurrezione da outlet, fra un capatina al bar e la speranzosa attesa di un miracolo, più o meno laico. Signori, siamo in balia di un esercito di rivoluzionari con in tasca la schedina del Superenalotto.
La riprova? Guardate questi due grafici, i quali ci raccontano la realtà meglio di mille parole. Il primo mostra come da marzo scorso le tre Banche centrali del cosiddetto G3 (Fed, Bce e Bank of Japan) abbiano iniettato nel sistema qualcosa come oltre 5 triliardi di dollari di liquidità, comprando sul mercato pressoché qualsiasi tipo di asset. Siamo alla nazionalizzazione del mercato passando per la porta sul retro dell’espansionismo monetario e della globalizzazione finanziaria: scusate, dove sarebbe il sistema liberista da abbattere e contro cui ciclicamente si scende in piazza? Dove intravedete il capitalismo, in quella figura?
Ve lo dico io dove, nel secondo grafico. Man Group si è presa la briga di creare un ipotetico portafoglio azionario composto da titoli definiti “spazzatura” e facenti capo a tutte le aziende statunitensi quotate che abbiano un valore del credit default swaps superiore a 1.000 punti base a fare data del 1 aprile scorso. Bene, guardate in contemporanea con l’entrata in campo all-in delle Banche centrali quale sia stata la performance azionaria di quelle zombie firms rispetto al resto del mercato azionario Usa, anch’esso in fase di rally (almeno per quanto riguarda il Nasdaq) dopo i tonfi di tre mesi fa che hanno spinto la Fed a operare in modalità forza quattro. Insomma, il trionfo dell’indebitamento e dell’omicidio su commissione della meritocrazia, del fair value. Scusate, dove intravedete principi di concorrenza e libero mercato in questa realtà?
Ed eccoci agli altri due grafici, meno intuitivi. Il primo ci mostra come con la primavera di quest’anno, sia letteralmente esploso il fenomeno del trading on-line fra operatori non professionisti: ovvero, gente comune che vuole speculare. Non a caso, il mantra – anche in base al tracciamento delle parole chiave nelle ricerche su Google – è quello del day-trading, l’operatività su base quotidiana, il mordi e fuggi. Speculazione, appunto. Quella che si ritiene responsabile di ogni nefandezza al mondo, dai bambini che muoiono di fame in Africa al precariato dei riders nelle nostre città (come se fossero i miliardari a ordinare su Glovo, facendo in modo che quel business si perpetui) e contro cui si protesta in piazza.
E quale dubbio temporale ci instilla immediatamente questa figura? Quello che potrebbe non essere casuale l’esplosione del fenomeno in contemporaneità con il lockdown negli Usa. Ovvero, chiusi in casa forzatamente ci si rompe le scatole e quindi si tenta almeno di guadagnare qualcosa? No. Non proprio, almeno. La questione seria è un’altra: la follia collettiva, non a caso ribattezzata retail frenzy, è esplosa in contemporanea con l’arrivo sui conti correnti di qualche decina di milioni di americani sopra i 18 anni dei 1.000 dollari propagandistici che il Tesoro ha elargito immediatamente dopo le chiusure di massa nei grandi centri urbani. L’esperimento faustiano dell’helicopter money, la de-responsabilizzazione sussidiata della cittadinanza come nuova forma di controllo e schiavitù. L’ennesima, enorme partita di giro. Perché se alla fine quei soldi che tutti invocano come necessari per tirare la fine del mese e far mangiare i figli affamati dalla crisi finiscono invece, in un modo o nell’altro, nelle casse del casinò di Wall Street, tutto torna. e nulla cambia.
Qui il dato preoccupante non è finanziario, è politico: come può essere credibile una cosiddetta società civile che viene rappresentata da un’ampia minoranza di persone che vive l’ambivalenza schizofrenica di essere in piazza ad abbattere statue e tentare di ammazzare poliziotti o davanti al pc, in camera da letto, a speculare su titoli di aziende indebitate e che per questo offrono margini enormi? È la duplice faccia della stessa medaglia, l’Unione Sovietica del consumismo delle briciole che cadono dal tavolo. Ciò che la gente vuole: vivere di rendita e, contestualmente, contestare chi lo fa. Ma semplicemente perché guadagna di più e questo non appare equo.
Non si vuole un mondo che smetta di investire il futuro delle gente in titoli azionari di aziende che truccano i conti o inquinano o vendono armi o farmaci con effetti collaterali devastanti, si vuole un modello che garantisca ville in Florida per tutti, tanto per citare il Bud Fox di Wall Street, stando di fronte allo schermo di un notebook in pantofole. Durante il mitico smart working.
Ed eccoci, quindi, alla riprova offertaci dal quarto grafico. Cos’è, prima di tutto, Robintrack? E un sito che traccia i movimenti degli investitori retail che operano su conti titoli aperti sulla principale piattaforma di negoziazione on-line degli Usa, ovvero Robinhood. Come vedete, dopo il picco di euforia borsistica delle scorse settimane, il numero di ricerche di Robintrack su Google sta precipitando. Ovvero, sempre meno gente è interessata a vedere – tramite quel proxy – quali siano i titoli maggiormente appetiti dalla platea degli investitori retail, quelli che hanno preso metaforicamente a schiaffi i professionisti in grisaglia e bretelle di Wall Street negli ultimi tre mesi, a livello di profitti.
E sapete quando è cominciata la discesa? Quando il titolo di Hertz, il gigante dell’autonoleggio in attesa della concessione del Chapter 11 dal tribunale, ha visto il proprio titolo sfondare la quota di 5,60 dollari, più che raddoppiando il valore in meno di tre giorni e raggiungendo così una capitalizzazione implicita di 900 milioni di dollari. A quel punto, stranamente, l’interesse è scemato. Insomma, quando il pesce pilota è parso arrivato alla fine del suo viaggio speculativo, tutti sono scappati. E parliamo di investitori retail, non di traders professionisti.
A vostro modo di vedere, dove si informa gente così? Ovviamente, sui siti Internet o guardando in tv le trasmissioni di Cnbc o Bloomberg Tv. E chi decide quali notizie dare e quali no, su quei canali? Lo stesso sistema che si contesta nelle piazze, basato sulla fiducia cieca nella Wall Street manipolata dalla Fed. Vi rendete conto che siamo dentro il più grande periodo di distopia collettiva mai vissuto, quasi un esperimento sociale a livello planetario? Vi rendere conto che, già oggi, viviamo nella completa e totale negazione del principio liberale di concorrenza, price discovery a livello di premio richiesto e offerto e, soprattutto, rischio d’impresa e di investimento? E chi pensate che sia il beneficiario terminale e pressoché assoluto di questa logica neo-luddista, di questa natura bipolare che si è inoculata quasi artificialmente nelle opinioni pubbliche? L’agente immobiliare che gioca a fare Gordon Gekko su Robinhood durante il lockdown, forse?
Volete davvero mettere in discussione il sistema? Fate tre cose, se volete un consiglio. Primo, smettete di parlare con accezione negativa di “liberismo selvaggio”, perché non esiste. Il cancro è il monetarismo centralizzato, mi pare che le prove al riguardo non manchino. Secondo, mettete i libri di Keynes al loro posto, ovvero sotto la gamba traballante del tavolo. E provate a leggere Von Hayek. Terzo, se volete contestare il sistema, andate metaforicamente a protestare sotto le sedi di Fed, Bce e Bank of Japan. Non a razziare sneakers da 500 dollari in un grande magazzino della Fifth Avenue o a trattare titoli decotti di Hertz per comprare la motocicletta nuova, uguale a quella che guida George Clooney sulle strade di Laglio. Altrimenti, siete parte del sistema. E, quindi, del problema.