Chiaramente ci sono cose più importanti di cui occuparsi. L’affaire Piantedosi, ad esempio. O i guai di Fedez con gli anti-depressivi. Magari l’ultima geniale intuizione per sbloccare i crediti incagliati dei superbonus, accollandoli a Eni, Enel e Cdp. Ma da lunedì, l’Italia è senza numero uno della sua Agenzia di cyber-security. Roberto Baldoni, l’uomo scelto da Mario Draghi per guidare l’Acn, ha rimesso il mandato. Si dice in aperto contrasto con palazzo Chigi. Per quale ragione? Non si sa
E fin qui, nulla che stupisca. Anzi, il fatto che viga il minimo sindacale di riserbo su quanto accade dentro l’Agenzia più strategica in assoluto per l’intelligence 2.0 appare rassicurante. Ma si sa, i rumors circolano. Irrefrenabili. E pare che palazzo Chigi non abbia gradito gli ultimi down patiti da siti istituzionali per attacchi informatici. Ovviamente, paga il capo. Il quale, però, ha rimesso il mandato. Pur essendo l’uomo scelto da Mr. Whatever it takes. Il quale, a sua volta, nel frattempo è sparito non solo dalla scena, ma anche dai tweets nostalgici di Carlo Calenda. Come i veri player, non fa parlare di sé. Ma non manca molto al suo ritorno. E probabilmente, un uomo come Roberto Baldoni troverà una nuova collocazione in tempi record. Lontana dagli spoils system di casa nostra. E, magari, suggeriti da Bruxelles.
Sicuramente, ci sono cose più importanti di cui discutere. Ma stante la presentazione al mondo del nuovo ministro degli Esteri cinesi, i cui toni rispetto a rapporti con Usa e Russia smentiscono mesi di baggianate della stampa italiana sull’isolamento di Mosca e l’insofferenza di Pechino verso il Cremlino, forse non appare il momento migliore per giocare all’Ispettore Clouseau. L’intelligence non è più quella dei baffi finti, delle microspie e degli ombrelli spara-pallottole di James Bond. E il fatto che in questo Paese l’acronimo dell’Agenzia fino a ieri guidata da Baldoni fosse identico al ticker del titolo azionario di Accenture (Acn) abbia generato un geniale e profondo dibattito su come Mario Draghi avesse appaltato a un’azienda privata la cyber-security, dice molto. Fin troppo. Ci dice ad esempio del perché i nostri firewalls vengano bucati come palloncini da uno spillo. Ci dice perché la Russia ci abbia messo nel mirino, unico fra i Paesi europei che sostengono Kiev a beneficiare di attacchi ad personam ben poco rassicuranti per il futuro. Ci dice perché l’addio di Baldoni sia stato trattato come l’esonero dell’allenatore del Benevento dai media. D’altronde, ecco che fra i 9 membri dell’Agenzia siede Paolo Dal Cin, dal 1 maggio 2022 responsabile di Accenture Security a livello mondiale. Un dilettante, insomma.
Non basta. Nel documento di Strategia nazionale cyber pubblicato lo scorso sabato, ecco comparire – per errore, stante il fatto che l’unico ad accorgersene sia stato un ex consigliere comunale M5S di Siena? – il nome di una Security Consulting Consultant di Accenture. Mezza bufera, silenziata dai media. Poi, pochi giorni dopo, Baldoni se ne va. Rimette il mandato, levando dall’impiccio di un siluramento eccellente il Governo, già alle prese con l’affaire Cutro. Pare che dietro all’accaduto ci sia il potente segretario del Consiglio dei ministri, il fedelissimo Alfredo Mantovano. Il quale ieri è stato audito sul caso al Copasir, mentre sui giornali impazzavano altri rumors sul fatto che avrebbe già scelto il successore di Baldoni nella figura dell’ex prefetto di Roma, Bruno Frattasi. E in attesa che il Donzelli di turno ci faccia conoscere i particolari della ricostruzione di Mantovano di fronte all’organismo di controllo parlamentare del Servizi, una domanda sorge spontanea: cosa si agita nei gangli del Deep State all’amatriciana? Davvero esiste una credibile e affidabile alternativa di Stato agli skills dei professionisti esterni scelti da Mario Draghi? Ma, soprattutto, davvero rivendichiamo sovranità in materia di cyber-sicurezza, stante il livello di appiattimento ai desiderati della Nato raggiunto da questo Governo, primatista assoluto in postura da scendiletto atlantico? O forse c’è dell’altro?
Una cosa è certa: il momento è di una delicatezza senza precedenti. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant, ci ricorda la saggezza dei Padri. In questo caso. Publio Cornelio Tacito. E viene davvero da citarlo, quando si scopre che Volkswagen – molto probabilmente in accordo con il Governo tedesco per mettere ulteriore pressione alla suicida agenda verde Ue – starebbe priorizzando un progetto di fabbrica per batterie dell’auto elettrica negli Usa rispetto all’Europa, poiché ingolosita dagli incentivi dell’Amministrazione Biden. In attesa che Bruxelles batta un colpo, fra una sanzione alla Russia e l’altra, prendiamo atto della deindustrializzazione che avanza. Ma è il quadro di insieme che, giorno dopo giorno, svela desolante l’insipienza totale (o il palese favoreggiamento di agende terze) di Bruxelles di fronte alle sfide globali. Ucraina in testa.
La stampa Usa ha scoperto il segreto di Pulcinella, tramutandolo magicamente in verità accettabile: il sabotaggio a Nord Stream è stato compiuto da un gruppo pro-Kiev. Ma, attenzione, il Presidente Zelensky ne era all’oscuro. Come dicono a Roma, peggio me sento. Perché significa che come Europa – e come Italia in prima linea, tanto da essere divenuti nemico numero uno di Mosca nel Vecchio Continente – stiamo fornendo armi letali per miliardi di euro a una nazione guidata da un uomo che si può tranquillamente non coinvolgere in un attacco contro un’infrastruttura strategica di valore globale. E con mezza tonnellata di esplosivo al plastico saltata fuori dal nulla e piazzata con precisione chirurgica da Navy Seal. Ovviamente, a Kiev sapevano tutto. E tutti. Ma se la versione di Zio Sam fosse vera, ci sarebbe da tremare. Davvero. Per una ragione chiara. A fronte della grancassa di disinformazione messa in campo dopo l’attacco, da subito definito un auto-sabotaggio russo finalizzato alla ricerca di casus belli, tutti si sarebbero aspettati una reazione isterica del Cremlino alle ammissioni Usa. Invece, silenzio totale. Come rispetto alle idiozie circolanti su presunti assalti condotti dai soldati russi con le pale di uso agricolo, poiché ormai sprovvisti di armi e munizioni.
Signori, la realtà – sul campo ma soprattutto sui tavoli diplomatici – è altra da quella finora spacciata a reti unificate dalla stampa filo-Kiev. Pensate davvero che i russi combattano con le pale, quando il giorno prima hanno utilizzato la nuova super-bomba da mezza tonnellata? E da 24 ore a questa parte, il gioco è davvero cambiato a livello di regole. Perché Pechino ha sentenziato come, da ora in poi, gloves off. Via i guantoni, si combatte a mani nude. Come in strada e non come sul ring. Il discorso del nuovo ministro degli Esteri cinese non è stato il solito esercizio di retorica ideologica tardo-novecentesca. Ha rappresentato una lista della spesa di minacce esplicite. Tanto da spingere Washington a reagire con un insolitamente pragmatico giuramento sulla propria non volontà di mutare lo status di Taiwan. Un atto umiliante, quest’ultimo. Perché in perfetta contemporanea con la gragnuola di messe in guardia e red lines fatta piovere dalla Cina sul mondo, sulla tratta Taipei-Washington era in atto un disperato filo diretto diplomatico tra la Presidente, Tsai Ing-wen e lo Speaker della Camera Usa, Kevin McCarthy, al fine di spostare in fretta e furia in California il loro meeting, in un primo momento organizzato proprio a Taiwan.
Ci faremo male signori, meglio saperlo. Perché la Cina sta con la Russia. E la Russia uscirà vincitrice dalla guerra. Sarà per questa clamorosa posizione di fuorigioco politico che si sta compiendo il tragico errore di utilizzare l’Agenza di cyber-security come fosse una bandierina?
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