Questo articolo rappresenta la naturale prosecuzione di quello pubblicato ieri, nel quale davo conto di una bazzecola di notizia passata bellamente sotto silenzio: la Bce starebbe valutando la possibilità di condizioni penalizzanti in seno al piano di implementazione del programma di stimolo per i Paesi molto indebitati che proseguissero imperterriti nella loro scelta di non accedere agli aiuti Ue. Tradotto, addio deroga alla capital key negli acquisti obbligazionari. Ulteriore traduzione, fine della pacchia per il nostro spread. E, di conseguenza, debito. A meno di non attivare il Mes.



Ma quanto c’è di vero nella notizia pubblicata dalla Reuters, al netto del no comment del portavoce Bce che di per sé già parla la lingua della conferma implicita? Guardate questo grafico, il quale ci mostra come la scorsa settimana l’Eurotower abbia acquistato il controvalore minimo di securities dall’inizio del programma Pepp in marzo, scendendo nei cinque giorni conclusi il 30 ottobre sotto quota 11 miliardi settimanali. Come mai? E, soprattutto, cosa significa?



Partendo dal presupposto che l’attuale dotazione del Pepp è di 1.350 miliardi di euro, l’esaurimento di quella cifra entro il termine statutario del 30 giugno 2021 si raggiungerebbe con acquisti settimanali pari a 20,8 miliardi. Quasi il doppio di quanto acquistato la scorsa settimana: la Bce ha voluto mandare un messaggio? Se sì, quale?

Partiamo da un presupposto: tagliare di netto gli acquisti proprio nella settimana del board chiamato a tranquillizzare i mercati rispetto alla volontà di continuare nel supporto alle economie in vista di nuovi lockdown appare atteggiamento quantomeno ambiguo. Almeno, in punta di normalità. Ora, però, provate a inserire questo scenario in quello più ampio e prospettico delineato dalla Reuters rispetto alle nuove condizionalità che colpirebbero Spagna, Italia, Portogallo e Grecia a partire dal Consiglio del 10 dicembre, quando il mercato prezza un aumento di disponibilità del Pepp di altri 500 miliardi e arco temporale prolungato fino al 31 dicembre 2021. A Francoforte qualcuno ha voluto spoilerare quanto bolliva in pentola attraverso il più classico dei messaggi in codice?

E attenzione, perché in almeno un paio di occasioni la Bce ha comprato Btp con una certa lena la scorsa settimana, quindi l’Italia ha comunque beneficiato dello scudo permanente anti-spread, basti vedere gli andamenti del differenziale sul Bund in almeno un paio di aperture di contrattazioni. E anche qui, una spiegazione appare lucidamente disponibile. Basta dare un’occhiata al differenziale fra Btp italiani e Bonos spagnoli a 10 anni: sempre a favore di questi ultimi a livello di rendimenti offerti, ma con una restrizione netta e strutturale della forbice, almeno da un paio di settimane. La scorsa, però, più netta e costante. E qual è stato il Premier, borioso fino alla tracotanza, che non più tardi di 15 giorni fa ha avuto la faccia tosta di ammettere candidamente in conferenza stampa a palazzo Chigi che il suo Paese non accede ai fondi Ue, perché il debito comunque glielo finanzia la Bce con gli acquisti? Esatto, lo spagnolo Pedro Sánchez. E quale Paese ha fatto filtrare l’intenzione di prendere unicamente gli stanziamenti del Recovery fund a fondo perduto, rifiutando sdegnosamente i prestiti da rimborsare? La Spagna.

Ma non basta. Fino all’altro giorno avevate mai sentito parlare di emergenza o focolai Covid in Portogallo? Zero, un’isola felice assoluta. Di colpo, martedì scorso il Governo lusitano impone le prime restrizioni. E lo fa con atto decisamente sospetto. Ovvero, un ritorno a un lockdown parziale che riguarderà però il 70% della sua popolazione. Ad annunciarlo lo stesso premier di Lisbona, Antonio Costa, al termine di un Consiglio dei ministri straordinario dedicato alla crisi sanitaria: “È arrivato il momento in cui è necessario prendere misure più restrittive per avere il controllo su questa pandemia”, ha chiosato. O, forse, è arrivato il momento di mostrare un po’ di postura patibolare a Francoforte, in modo da pararsi le terga in vista di dicembre.

D’altronde, se chiudi tutto o quasi, passi immediatamente dalla parte della ragione. E soltanto un covo di senza cuore come la Bundesbank o i Paesi frugali può pensare di tagliare i trattamenti di favore verso chi sta combattendo la pandemia, non vi pare? Non so voi, ma il panorama tratteggiato dalla Reuters trova sempre più conferme, ancorché indirette. E sapete chi altro ha scoperto, magicamente, l’esistenza del Covid sempre il 3 novembre? Quella simpatica canaglia di Recep Erdogan, il quale dalla sera alla mattina ha ordinato la chiusura alle 10 di sera per bar, ristoranti, parrucchieri, piscine e altri luoghi pubblici in tutto il Paese, come misura di contrasto alla seconda ondata.

Scusate, avete mai sentito nominare la Turchia come focolaio? Io, mai. Nemmeno una volta, quantomeno dalla scorsa estate. Altra oasi, esattamente come il Portogallo. Stranamente, la decisione del Sultano è stata contemporanea con quanto mostrato da questo grafico: la discesa senza precedenti storici della lira turca – sovranissima e svalutabile – sotto quota 10 nel cambio con l’euro. Combinazione, scatta il semi-lockdown anche in Turchia.

Perché per quanto tu possa avere in tasca una moneta il cui valore reale è pari a quello della carta igienica, se non esci di casa e non spendi denaro – se non per lo stretto indispensabile -, l’effetto proxy immediato è meno diretto e impattante. Insomma, ci metti un po’ di più a renderti conto del disastro che sta stagliandosi all’orizzonte. Nel frattempo, il Governo può montare una bella retorica contro i nemici esterni che attaccano l’economia o mancano di rispetto a Maometto oppure ancora cercare gloria nel Caucaso, tanto per distrarre un’opinione pubblica in versione cane di Pavlov dalla deriva venezuelana dell’inflazione e delle scelte suicide della Banca centrale. Ovviamente, trattasi unicamente delle solite coincidenze fortuite.

Ora, per concludere e tirare i fili, guardate questi due grafici finali: il primo ci mostra il livello di esposizione dei vari sistemi bancari europei alla Turchia e ai suoi guai sui conti pubblici. Guarda caso, in cima alla lista torna la Spagna. Ampiamente al primo posto, come potrete notare. Poi, banche francesi e italiane. Ma è il secondo grafico a darci il senso generale di quanto stia accedendo in questi giorni e ore, nel silenzio ovattato del lockdown light: rispetto alle loro controparti statunitensi, infatti, le banche sistemiche dell’eurozona si sono fatte trovare con la guardia a dir poco abbassata dalla seconda ondata di pandemia a livello di accantonamenti precauzionali su perdite a bilancio. Il dato relativo al terzo trimestre di quest’anno è sconfortante, praticamente il corrispettivo di andare incontro a Mike Tyson con le mani in tasca.

E ora, cosa si rischia? Semplice, un disastro sistemico. Perché il ritorno dei lockdown, intuitivamente, porta con sé la prospettiva di crescita delle sofferenze e degli incagli. Ma questo nel mondo normale, qui siamo nel meraviglioso mondo delle Banche centrali. Quindi, paradossalmente, proprio il lockdown risulta la scorciatoia perfetta per evitare altri guai: se chiudo tutto, in anticipo e con grande drammatizzazione dei toni, immediatamente metto i regolatori sul chi va là. Non a caso, l’ultimo board Bce si è sostanziato in un centrifugato di promesse di intervento da parte di Christine Lagarde. Ecco quindi che l’ipotesi di nuova aste Tltro per il finanziamento a lungo termine diviene realtà, oltretutto con condizioni ulteriormente favorevoli per le banche, stante la rinnovata emergenza.

L’alibi? Mantenere attivo il meccanismo di trasmissione del credito nel momento in cui questo serve di più. La realtà? Tamponare previsioni totalmente errate e squilibri di bilancio per eccesso di acquisti obbligazionari sovrani o dipendenza da trading desk ed evitare fusioni emergenziali, aumenti di capitale a rischio della ghirba o – extrema ratio – insolvenze e salvataggi. Uno scenario perfetto. A cui, però, pare che qualcuno abbia posto un limite. Quello raccontato dalla Reuters nella sua ricostruzione non smentita dalla Bce. Ovvero, si prosegue con il respiratore artificiale del Pepp e delle aste Tltro, ma saltano fuori le condizionalità per chi senza quel supporto finirebbe all’inferno nell’arco di dieci giorni. Esattamente ciò che vi avevo prospettato la scorsa settimana.

Mi sbaglio? Probabile. Per scoprirlo, d’altronde, manca poco. Il 10 dicembre arriverà prima del previsto, magari sotto forma di Consiglio direttivo d’emergenza. Come lasciato intendere dalla stessa Christine Lagarde la scorsa settimana. Anche in questo caso, casualità. E coincidenza.