Come al solito, certe notizie fanno clamore. Altre, invece, si limitano al ruolo di comprimario. Ma il timing, spesso, tradisce. E il fatto che pochi minuti dopo l’annuncio della prevista pausa nel rialzo dei tassi decisa dalla Fed e prima che Jerome Powell prendesse la parola, sia apparso questo riempitivo mediatico sulla Cnbc rappresenta un sospetto di quelli forti.



Ma nemmeno il tempo di leggerne il contenuto che il numero uno della Banca centrale, di fatto, preannuncia nuovi ritocchi all’insù. Armageddon! Balle. E lo dimostrano questi due grafici.

Il primo ci mostra come, sempre nella giornata di mercoledì, il debito totale degli Stati Uniti abbia superato per la prima volta in assoluto quota 33 trilioni di dollari. E cosa ancora più allarmante, 1 di quei trilioni è stato aggiunto solo negli ultimi tre mesi. Tre mesi. Il secondo grafico, poi, è decisamente istruttivo sul grado di credibilità della Fed rispetto a nuovi rialzi. Non solo la ratio netta fra GDP e GDI (Gross Domestic Income) parla la lingua di una crescita statunitense in traiettoria di tonfo, ma, cosa ancora più interessante, il dato ufficiale atteso per la prossima settimana annuncia fin da ora una drastica (quanto benedetta) revisione al ribasso.



Davvero la Fed potrà continuare a volare come un falco verso un orizzonte simile? No. Ed ecco che allora la verità arriva sotto forma di annuncio ufficiale della autorità. Da lunedì prossimo, ogni famiglia americana potrà richiedere i quattro test Covid gratuiti previsti dal programma lanciato nel gennaio 2022 e sospeso il 1 giugno dello stesso anno. La ragione? Semplice: i contagi stanno salendo troppo negli Usa. Si comincia sempre così, in maniera precauzionale. E non troppo invasiva. Cosa potrebbe avvenire dopo, in caso l’epidemia aumentasse di viralità, è tutto da capire.

Mascherine? Nuova campagna vaccinale? Qualche chiusura mirata? D’altronde, stante tutta l’industria automobilistica di Detroit con le braccia incrociate e i lavoratori proprio del comparto sanitario pronti a seguirne l’esempio nel più grande sciopero nazionale di sempre, qualcosa lascia intendere che l’incastro delle tessere di questo puzzle diverrebbe perfetto. Magari è solo precauzione. D’altronde, quando la First Lady è reclusa alla Casa Bianca con il Covid, l’attenzione tende a esondare dai limiti della normalità. Ma quei dati macro e quell’esplosione senza precedenti del debito, lasciano davvero troppe briciole di pane dietro ai loro passi.



Sarà per questo che gli hedge funds continuano a scommettere short contro i titoli energetici, nonostante un petrolio in fibrillazione? Per una volta la smart money si dimostrerà davvero tale, leggendo tra le righe di una narrativa che ormai sta insieme solo con la colla dell’auto-convincimento forzato?

Oltretutto, da venerdì scorso siamo in finestra di blackout aperta per quanto riguarda i buybacks azionari. E proprio nella mattinata di ieri, il decennale giapponese è salito allo 0,74% di rendimento. Il massimo dal 2013. Nonostante la politica di controllo sulla curva in vigore da parte della Bank of Japan. E quando il tuo ministro delle Finanze, il sempre più emaciato Giancarlo Giorgetti, vede scendere la sabbia nella clessidra così velocemente da essere costretto ad ammettere di fregarsene del giudizio della Commissione europea sulla Manovra, visto che il suo problema vero è quello di vendere ogni mattina il debito pubblico, capite da soli che quel balzo del rendimento giapponese fa paura. O, almeno, dovrebbe farne. Se poi La Repubblica arriva a titolare Meloni ora scopre la sindrome da spread: “Sembra il 2011 con Berlusconi”, allora spero che – almeno voi, cari lettori – ammettiate che l’unico che ci aveva capito qualcosa da queste parti è stato il sottoscritto con il suo striminzito diplomino di liceo scientifico.

Per carità, nessuna necessità di pacche sulle spalle o pubbliche attestazioni di stima. Il mio ego è piccolissimo. Ci sta comodo in un monolocale. Ciò che conta è che la finiate di farvi prendere in giro da chi continua a incolpare la Bce per gli interessi crescenti sul debito, quando il problema è proprio quel debito. E chi lo ha fatto crescere senza sosta dagli anni Ottanta in poi. Ma, soprattutto, diffidate dalle ricette magiche per il Pil. E preparatevi a una crisi di quelle strutturali. A meno che, in silenzio, Roma non stia già trattando con Bruxelles. Ipotesi che non escludo affatto a priori. A quel punto, torneranno le rondini mediatiche e governative dell’ottimismo. Spariranno quei titoli su La Repubblica. Ma saranno solo la punta dell’iceberg che si mostra per tranquillizzare, perché sotto il pelo dell’acqua avranno dato in garanzia l’ultima argenteria di Stato impegnabile. La vostra. Tre, due, uno…

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