L’ultima volta che ho dato un’occhiata al Move erano le 6:00 di ieri mattina. Segnava 131,7. In contemporanea, il tasso fisso a 30 anni (benchmark del mercato immobiliare statunitense) sfondava quota 7,37%. Solo un mese prima era al 6,70%. E questo nonostante un crollo delle valutazioni del petrolio, normalmente in stretta correlazione con l’andamento dei rendimenti obbligazionari.



Ma cos’è il Move? Prima di tutto è l’acronimo di Merrill Option Volatility Estimate. Poi è il misuratore della volatilità implicita su opzioni obbligazionarie a 30 giorni sulla curva che va da 2 a 30 anni. Di fatto, il Vix delle obbligazioni. Misura la paura, intesa come volatilità attesa. Bene, 131,7 rappresenta il massimo da un anno a questa parte. E quasi il massimo storico.



In contemporanea, nelle contrattazioni notturne, l’oro sfondava l’ennesimo record e raggiungeva i 2.791,8 dollari l’oncia. Tutto assolutamente conseguente a un taglio dei tassi di 50 punti base avvenuto solo un mese fa. Nulla di strano, no?

I libri di economia certamente confermeranno la linearità di quanto sta accadendo. Ora vi invito a dare un’occhiata al calendario che attende il mercato obbligazionario Usa nei prossimi 10 giorni.

Nemmeno a dirlo, in bocca al lupo a chi di voi opera o investe in quel settore. Tanto più che fra il 5 e il 7 novembre avremo il voto per le presidenziali e il Comitato monetario della Fed, quest’ultimo spostato eccezionalmente al giovedì proprio per la concomitanza con le urne. Ora, siccome il tempismo è tutto nel meraviglioso mondo della finanza, attenzione a ciò che stanno telegrafandoci in questi giorni e ore questi due grafici.



Il primo ci mostra una realtà quantomeno inquietante. Il Tesoro Usa oggi sta emettono più nuove notes e nuovi Treasuries che durante il picco del ciclo di aste del periodo pandemico. Alla faccia del soft landing, quei continui record di stock debitorio che aumenta di 1 trilione ogni 100 giorni cominciano a mostrare i piedi che escono dalla coperta. O, se preferite, la polvere dello schema Ponzi per finanziare deficit ingestibili comincia a saltare fuori dal tappeto. Persino senza doverlo scuotere.

Signori, se tutto va benissimo come ci narrano da mesi, perché gli Usa stanno indebitandosi sul mercato come dei pazzi e il Tesoro sta per rendere note necessità di finanziamento che nei prossimi sei mesi sono stimate per altri 1,3 trilioni di dollari? Il meraviglioso mondo di quell’Amelie che si chiama debito pubblico che non esiste. Più che altro che, avanti di questo passo, non verrà mai rimborsato. Se non in parte. Stiamo vivendo in un Sistema prodromico all’idea che acquistare obbligazioni statunitensi equivalga ad accettare un haircut ex ante. Un po’ poco confacente come struttura di asset con un bene rifugio per antonomasia, con un flight to safety, voi cosa ne pensate?

In contemporanea, la scorsa settimana i fondi aurei hanno segnato oltre 3 miliardi di dollari di inflows, il secondo controvalore in assoluto. Il triplo della media delle ultime settimane. Quindi, già con il prezzo dell’oncia stabilmente su livelli da record. Da mesi. Nessun buy the dip. Nessuna scommessa. Nessun azzardo su percezioni di rischio geopolitico. La guerra c’è già. Praticamente ovunque. Tutti vogliono oro. Adesso. Tanto che il suo market cap oggi è al massimo storico di 18,4 trilioni di dollari. Di cui il 12,1% in mano alle Banche centrali, il massimo da 30 anni. Le stesse Banche centrali che sottoscrivono implicitamente il debito emesso con il ciclostile dal Tesoro e stampano in contemporanea carta da parati sotto forma di facilities emergenziali per mantenere in piedi il carrozzone bancario. L’oro ha segnato +33% da inizio anno ed è in dirittura d’arrivo per centrare la sua migliore annata dal 1979. Cosa dite, c’è qualche correlazione un po’ più seria di quella fra tassi tagliati e rendimenti alle stelle, in questa corsa all’hard asset e bene rifugio davvero per antonomasia a fronte di emissioni obbligazionarie da clima di piena emergenza, mentre la narrativa parla di soft landing e di una Wall Street da record che anche martedì ha visto il Nasdaq sfondare un altro record?

Sapete quale rischio sottende, a livello concreto e pragmatico, una dinamica di rendimenti in continuo aumento come quella che stiamo vivendo? Ce la mostra questo grafico finale.

In attesa di un calo dei rendimenti che sarebbe dovuto emergere dalla decisione della Fed di tagliare i tassi, le banche Usa hanno ricomprato Treasuries e Mbs. Col badile. Appunto perché prezzavano un loro aumento di valore, contestuale al calo dei rendimenti. Ora tutta la loro scommessa sta andando in direzione opposta. Un’altra volta. E questo accade in un contesto che, come spesso ho ricordato nei miei articoli, vede il medesimo sistema bancario Usa seduto su 517 miliardi di unrealized losses, 7 volte tanto rispetto a quanto registrato nel 2008. Ora, se si continua sulla china attuale, il valore di quel collaterale sotto forma di bond crollerà ulteriormente. Facendo crescere ancora quelle unrealized losses. A quel punto, mantenerle a bilancio senza contabilizzazione come perdita sarà impossibile. E scatterà l’effetto domino. Come lo scorso marzo. Ma, potenzialmente, avendo come protagonisti principali istituti ben più sistemici di Silicon Valley Bank o Signature Bank. Capito perché il Move sta anticipando tempesta? Ma la grancassa elettorale copre tutto. E se questa non basta, l’ennesimo giro di schema Ponzi attorno al totem dell’AI garantisce al Nasdaq titoli roboanti su giornali e siti.

In ultima istanza, c’è sempre la guerra. Poi, dalla mattina del 6 novembre, tutti le tessere del mosaico potranno andare al loro posto. E il mio timore è che la figura che andrà a comporsi sarà tutt’altro che gradevole.

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