Sicuramente le banche europee si attendevano di più dalle aste di rifinanziamento Tltro di cui ieri il board della Bce ha annunciato i criteri di ammissione e partecipazione. Anzi, di meno. Nel senso che speravano di dover pagare ancora meno del nulla che l’Eurotower chiederà loro per rifinanziarsi a lungo termine, a partire da settembre. È bastata vedere la reazione dell’euro: dopo un iniziale tonfo, è rimbalzato verso l’alto. Ma signori, è inutile perdere tempo con i particolari. Esattamente come per la Fed, la partita è ampiamente aperta e punta dritta a un nuovo stimolo in grande stile. E sapete perché? Per tre motivi, i quali hanno poco a che fare con le dichiarazioni del presidente della Bce che potete leggere sui quotidiani o ascoltare al tg: la realtà sta tutta in due grafici e ancora di più in una terza immagine.



Il primo grafico ci mostra quale sia il reale stato del sistema bancario europeo, rispetto ai colossi d’Oltreoceano, attraverso il proxy di quella che un tempo era ritenuta l’istituzione del comparto. Già, Deutsche Bank non solo viaggia ormai sotto la soglia da allarme rosso di 6 euro per azione, ma, se posta in relazione con le big statunitensi, risulta una pulce di capitalizzazione che combatte contro gli elefanti. Davide contro Golia, usate pure la metafora che preferite. E attenzione, perché quell’immagine ha un senso ancora più profondo, visto che l’istituto tedesco non solo è l’unico europeo a operare con un trading desk di primo livello a Wall Street, ma, a fronte di un market cap poco al di sopra dei 13 miliardi (contro 22 miliardi netti di sola esposizione a derivati), vede proprio il ramo dell’investment banking Oltreoceano (soprattutto sui tassi) come unica voce che ancora mantiene minimamente a galla i conti, attraverso le commissioni su arbitraggio. Altrimenti, addio.



Il secondo grafico mostra l’abominio del nuovo sistema economico-monetario mondiale, il Frankenstein generato dalla crisi del 2008: lo stato patrimoniale della Bce, a Qe formalmente finito, è a ridosso del suo massimo record, attorno al 40% del Pil dell’eurozona. E, dopo tre anni di acquisti obbligazionari, sia sovrani che corporate e tassi schiantati, ecco il risultato a livello di prospettive inflazionistiche: un disastro.

Ma nel new normal che piace tanto a chi vuole vincere facile, ecco che risorge il vecchio mantra del bad news is good news: se l’inflazione è bassa, occorre magari stimolarla un po’. Insomma, porta aperta a nuovo stimolo. E roba seria, non quel pannicello caldo annunciato ieri da Mario Draghi per dovere di ufficialità. D’altronde, se la Fed che sovrintende un’economia che – stando alla narrativa – scoppia di salute, l’altro giorno ha visto il suo numero uno dichiararsi pronto a tagliare i tassi, volete che la Bce non possa spingersi oltre alle aste di rifinanziamento, stante lo zero virgola della crescita europea?



Che colossale pantomima, ve lo dico da trimestri interi che la famosa ripresa sostenuta e sostenibile non è mai esistita, se non nella visione distorta da caverna platonica del Qe a forza quattro. Ed eccoci al vero sale della questione, il quale si incrocia anche con la questione italiana della procedura d’infrazione sui nostri conti e con la nuova disputa con Bruxelles, ancorché con toni più soft del solito (almeno per ora).

Ciò che vedete, al netto delle cancellazioni e delle aggiunte, è la comparazione fra il comunicato del board della Bce di aprile con quello di ieri. Le parti evidenziate in giallo sono quelle che differiscono. Come vedete, il corpo maggiore è quello del punto 3, ovvero appunto i criteri attuativi e tecnici della aste Tltro. Ma ciò che conta davvero, la rivoluzione copernicana che è prodromo di quanto accadrà da qui a fine estate, sta nelle due parole sottolineate a metà del punto 1: Mario Draghi ha cambiato ancora e ufficialmente, ovvero con l’ok di tutto il board (falchi compresi, quindi anche la Bundesbank) la cosiddetta forward guidance della Banca centrale e ha fissato l’attuale livello di tassi a zero almeno fino a tutta la prima metà del 2020, non più fino alla fine del 2019.

Cosa ci dice questo? Due cose. Primo, la situazione non è grave, è gravissima. E in fase di accelerazione verso il basso. Secondo, di fatto il prossimo board della Bce – quello che subentrerà dopo l’addio autunnale di Draghi – sarà vincolato per i primi otto mesi almeno della sua operatività dalle decisioni ipotecate dall’attuale Consiglio: insomma, Mario Draghi guiderà implicitamente la Bce fino a giugno 2020. E lo farà, cosa ancora più importante, anche a livello di reinvestimento titoli in detenzione, ovvero ciò che sta permettendo all’Italia di beneficiare di uno spread relativamente basso e stabile, a dispetto di una situazione politica a dir poco traballante e frammentata, conti pubblici in peggioramento e ricette economiche del Governo da manicomio.

E signori, quel comunicato parla chiaro, nonostante la formula usata non sia sottolineata in giallo: at least, quella è la chiave. I tassi non solo resteranno a questo livello per altri sei mesi, rispetto a quanto comunicato solo ad aprile, ma lo faranno “almeno” fino ad allora: quindi, la presidenza Draghi in modalità ombra potrebbe proseguire oltre, a detta del board. Magari, per tutto il 2020. Ormai siamo come il Giappone, a livello di politiche monetarie. Manca il lato degli acquisti, almeno per ora. Ma tranquilli, arriverà anche quello. E relativamente in fretta. E saranno le banche a costringere Mario Draghi a forzare ancora la mano, visto che la un tempo rigorosissima Bundesbank ormai sembra la Banca centrale greca di fine anni Novanta.

Sapete infatti chi si è rivelato il partecipante al mercato più deluso dalle decisioni della Bce, lasciando intendere che si aspettava molto di più a livello di stimolo? Christoph Rieger, strategist di punta di Commerzbank, a detta del quale “le aste Tltro 3 si riveleranno meno generose della precedente ondata di prestiti a basso costo per le banche… quanto abbiamo appena appreso (dal comunicato della Bce, ndr) non è certo il Big Bang su cui abbiamo speculato per giorni. L’estensione della forward guidance, di fatto, non è altro che una nota a margine, visto quanto il mercato sta già prezzando”.

Insomma, Commerzbank si lamenta per la poca espansività dell’azione della Bce: il mondo al contrario, signori miei. E in questa condizione generale, l’Italia si trova ad affrontare lo snodo della potenziale procedura d’infrazione sui conti. La quale, se diverrà operativa, porterà con sé tre potenziali conseguenze. Primo, una multa. Di cui di fatto non frega nulla a nessuno, perché nessuno l’ha mai pagata. Secondo, mancato accesso ai finanziamenti della Bei. E questo è già un problema. Terzo, mancato accesso agli acquisti obbligazionari della Bce. I quali, se fossero diretti, presupporrebbero la ripartenza del Qe in grande stile. Mentre se si sostanziassero in un ridimensionamento del reinvestimento dei nostri Btp in detenzione da Francoforte, quello che fino a oggi ci ha letteralmente tenuto a galla, ci spedirebbero diretti in ristrutturazione del debito.

E attenzione a quanto scritto ieri da Moody’s nella sua nota: Deteriorating market sentiment is more likely to be effective in pressuring government to adjust policy. Ovvero, una bella previsione-minaccia alla Oettinger: ci penserà il mercato a riportare tutti a più miti consigli. E, proprio in quel momento, probabilmente nel bel mezzo di un’estate da pelle d’oca, Mario Draghi avrà il suo alibi per ripartire con gli acquisti. Esattamente come Jerome Powell ha avuto il suo con l’escalation controllata della disputa commerciale Usa-Cina.

Tranquilli, andrà molto peggio. Ma poi, forse, andrà meglio. Come dice il detto americano, no pain no gain. Ci aspetta davvero una sorta di rivoluzione in guanti di velluto. Preparatevi.