Domani la Bce comunicherà la sua decisione sui tassi di interesse. Di fatto, la vera prova del fuoco dopo il primo, timido e quasi unicamente simbolico taglio al costo del denaro. E con quale spirito la Banca centrale europea si appresta a questa mossa pre-pausa estiva?

Stando a un’indiscrezione non smentita di Bloomberg, l’Eurotower avrebbe deciso di rinviare la pubblicazione dei risultati della revisione condotta sui bilanci dei principali istituti bancari europei, al fine di valutare l’impatto dei leveraged loans. La ragione? I medesimi istituti valutati sarebbero contrari, poiché l’intera operazione sarebbe stata condotta con modalità e approccio che non ritengono equi. Insomma, gli alunni chiedono di rinviare la consegna dei compiti in classe, poiché a loro avviso troppo difficili. E la Bce, che fa?



Normalmente, tre le ipotesi. Primo, se tutto questo fosse falso, Francoforte smentirebbe Bloomberg. Secondo, direbbe alle banche che, se anche fosse accettabile la loro critica, questa avrebbe dovuta essere espressa prima e non a review fatta e alla vigilia della pubblicazione delle risultanze. Terzo, annullerebbe in toto questa sorta di due diligence sull’azzardo morale di quei prestiti a leva e la compirebbe di nuovo e con nuova metodologia, scusandosi. Apparentemente, invece, ecco la quarta ipotesi. Silenzio e rinvio. L’ennesimo calcione al barattolo. Ma su un argomento decisamente delicato. I Level 3, quegli anfratti del bilancio dove si nascondono swaps e derivati di vario genere, le diavolerie dell’ingegneristica finanziaria che trasformano follie in innocui contratti spalmati su scadenze così apparentemente lontane da non inquietare nessuno. Salvo poi scoprire come, a cadenze fisse e più ravvicinate di quanto si creda, su quell’immondizia occorra compiere roll-over.



Ora, quale credibilità può avere una Banca centrale che si comporta in questo modo? Zero. Ma soprattutto, quale credibilità può avere un mercato che non reagisce minimamente a un’indiscrezione simile? Perché il peso del comparto bancario sugli indici europei è ancora enorme. Qui non siamo negli Usa, non siamo ancora a un mercato equity che ruota totalmente attorno a tech e AI. Quindi, l’idea che la Bce stia pensando di rimandare la pubblicazione dei risultati di un esame del sangue sui bilanci degli istituti, oltretutto fortemente focalizzato su voci specifiche ed esiziali del risk management, avrebbe dovuto generare una qualche reazione? Nessuna. Tutti a pensare che Bloomberg menta o esageri, tanto da non meritare nemmeno la smentita di Francoforte?



Ora guardate questo grafico, il quale ci mostra il tema scelto per l’apertura di prima pagina dalla versione weekend del Financial Times.

A dieci giorni da uno stress test della Fed che ha visto tutti gli istituti promossi, l’America sconvolta da quanto accaduto a Butler deve fare i conti con un cortocircuito bancario che a livello di non-sense ha molto da condividere con l’Europa. Quelle medesime banche che i compitini assegnati da Jerome Powell hanno ritenuto abili e arruolate per sfidare la seconda metà dell’anno e l’impatto potenziale dei tassi e dell’inflazione, avvisano come dalla clientela a basso reddito arrivino sempre più allarmanti segnali di stress finanziario. Ops. Solo JP Morgan Chase e Wells Fargo parlano di 3,5 miliardi già oggi non recuperabili. Sofferenze e non incagli. Quelli che qui per anni abbiamo chiamato Npl. E che oggi in America vengono bollati come prestiti unrecoverable. Non recuperabili. Persi.

Perché Mr. Smith negli ultimi sei-otto mesi deve ciclicamente porsi di fronte a una scelta: o paga le bollette per avere la luce in casa oppure fa fronte alle scadenze con banche e finanziarie a cui si è rivolto, una volta terminati i soldi a pioggia del biennio pandemico. D’altronde, l’abuso di carta di credito, il girone infernale del Buy Now Pay Later e del credito al consumo per acquistare beni e servizi ha un limite di digeribilità. Persino negli Usa, il regno dell’indebitamento come way of life. Per cui, ogni tanto occorre riempire i conti correnti di stimmy money emergenziale, altrimenti si rischia un colossale buco nero dei consumi, un supermercato globale a cielo aperto che, di colpo, vede le corsie vuote e gli scaffali che restano pieni. Mentre i prezzi sulle etichette salgono e i quantitativi in scatole e bottiglie calano.

Shrinkflation, ricordate? Proprio quella che rende sempre più piccole le bottiglie di Pepsi, ad esempio. Ma quando – come accade Oltreoceano – il tuo Pil dipende al 70% dalla voce dei consumi personali, l’inflazione solo adesso magicamente ma ancora tiepidamente comincia a calare, mentre ogni 100 giorni il debito puntualmente sale di 1 trilione, lo scorso mese hai pagato 140 miliardi solo di interessi sul medesimo e il 5 novembre occorre mandare qualcuno a Pennsylvania Avenue, forse è giunta l’ora di un po’ di verità. Addirittura brutale. Perché tutta di colpo e tutta sparata in faccia. Come certi proiettili che mancano la mira per puro spirito del lanciatore di dadi.

In Europa si rinviano gli esiti, esattamente come fanno certi ipocondriaci che continuano a inventare scuse e impegni per non ritirare i referti e non scoprire la verità. Negli Usa, invece, le banche si portano avanti. E dopo aver ottenuto la ciclica, annuale promozione da sei politico dalla Fed, passati dieci giorni ammettono che sempre più americani non riescono a ridare quanto preso in prestito. Low-income. Basso reddito. Ma non fatevi ingannare. Non sono i poveri. Sono l’ex classe media proletarizzata dal post-Lehman e ringalluzzita unicamente dai sostegni a pioggia dei due anni di pandemia. I quali, oggi, sono terminati. Lasciando salari stagnanti, inflazione reale ancora altissima e in grado di erodere il potere d’acquisto, zero risparmi e indebitamento su carte alle stelle, oltretutto con i tassi sulle medesime in area 25%, il massimo record di sempre.

Quell’Europa deve far fronte a una politica che non c’è, di fatto alla prova del mercanteggiamento da suk del voto per la nuova Commissione. Ma quell’America sta dosando il residuo della sua coesione interna come fosse nitroglicerina.

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