Se il Nord rallenta, crolla il Paese. Gravissimo se la Lega non ne parla. Così parlò invece Attilio Fontana, Governatore della Lombardia. Un profilo politico e umano che necessita di notevole fantasia e inventiva per essere definito eversivo o estremista. Ma non basta. Evocando il bene comune del siamo tutti sulla stessa barca, il numero uno del Pirellone chiede un cambio di passo alla Segreteria del (fu) Carroccio, proprio nelle ore immediatamente successive all’elezione di Massimiliano Romeo alla guida della casamadre, la Lega Lombarda. Il Presidente prepara il grande salto verso il nuovo soggetto guidato da Paolo Grimoldi, quel “Patto per il Nord” che ha già staccato la tessera di Presidente ad honorem per Umberto Bossi e annoverato fra le sue fila un profilo storico come quello di Mario Borghezio? La questione forse è più pratica che politica. Per una volta, almeno.
Prendiamo due esempi di queste ore. Il Tenda bis non aprirà entro fine anno. Dalla Conferenza intergovernativa Italia-Francia chiamata a dare il suo parere sull’entrata in funzione della nuova galleria internazionale sopra Limone Piemonte è giunta fumata nera. Nonostante l’Anas fosse pronta ad aprire la nuova galleria – seppur in modalità di cantiere – già il prossimo 30 dicembre, la controparte francese ha ribadito la sua indisponibilità. Eventualmente, si potrà parlare di apertura solo quando il cantiere sarà ultimato (all’appello mancano ancora circa 200 metri), messo in sicurezza e collaudato. Nella migliore e più ottimistica delle ipotesi, quindi, tutto rinviato a primavera/estate 2025.
Ma qui non parliamo di una collezione di moda che rischia di invecchiare precocemente nei magazzini. Si parla di viabilità lungo un’arteria fondamentale per il Nord. E proprio in tal senso fa tenerezza, se non suscitasse un briciolo di indignazione, la tardiva presa d’atto del viceministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi, a detta del quale esisterebbe un’oggettiva difficoltà nel parlare con la controparte transalpina: A questo punto, se non si fidano di noi, il ripristino del vecchio tunnel (il cui costo si aggira sui 130 milioni, di cui il 58% in capo all’Italia e il rimanente 42% alla Francia) se lo facciano i francesi, noi non lo facciamo più. Decisamente la risposta costruttiva che ci si aspetterebbe da chi è pagato per risolvere i problemi di chi produce, lavora e necessita di circolare liberamente in Italia. E in Europa. Ma si sa, inseguire rendering ad alto impatto elettorale, mediatico e social, magari nei dintorni dello Stretto, costa tempo e fatica. E come nella miglior tradizione, spuntano le misure emergenziali. Ovvero, soluzione-tampone nei collegamenti fra Cuneo e Ventimiglia (8 coppie di treni lungo la tratta), servizio di sole navette fra Limone e Tenda e uno stanziamento per il 2025 di un milione di euro da parte della Regione Piemonte come compensazione per i disagi della chiusura. Una misura con effetto cratere, fanno notare gli addetti ai lavori. Ovvero, più sei vicino al danno, più hai diritto agli aiuti. Insomma, quasi quasi c’è da sperare di essere limitrofi all’epicentro della disgrazia.
Con questi presupposti, difficile dare torto alle preoccupazioni di Attilio Fontana. Ma attenzione, perché i guai per il Nord che produce e circola (o, almeno, vorrebbe circolare) non sono finiti. Anzi. Come denunciato dal Consigliere delegato della Camera di Commercio Italo-Germanica, Jörg Buck, lo scorso 2 dicembre al convegno organizzato dalla IHK Nürnberg für Mittelfranken a Norimberga, dal 1 gennaio 2025 entrerà in vigore la circolazione a una sola corsia sul ponte Luegbrücke – in Tirolo – sull’autostrada austriaca A13. Di fatto, la prosecuzione dell’italiana A12. La misura è stata varata dall’Austria a fine giugno 2024 e ha suscitato nuove preoccupazioni nel panorama dell’economia e della politica sia italiano, sia tedesco. Insomma, il Brennero arteria commerciale fondamentale per l’interscambio Italia-Germania subirà un nuovo contraccolpo. Da quel valico, tanto per capirci, passano le merci che arrivano e vanno in Baviera, Lander che da solo vale 30 miliardi di interscambio fra i due Paesi, oltre il 18% del totale stando a dati Destatis.
Reazioni del Governo? Apparentemente, zero. Della Lega che un tempo presidiava il territorio e le istanze delle imprese? Zero. Al netto delle recriminazioni tardive, quelle a latte ormai versato. Qui non stiamo parlando di questioni legate all’iperuranio della finanza, ai meandri dei derivati e degli swaps. Parliamo di carne e sangue di un sistema produttivo che, quando la Bce avrà staccato la spina del reinvestimento titoli a partire da fine dicembre, torneranno a essere sottostante e collaterale del nostro debito pubblico. Quello da rifinanziare e collocare in asta. Quello che farà riferimento e Pil e deficit e non più al quantitativo di carta su cui l’Eurotower opererà roll over per garantirci lo scudo anti-spread ancora attivo.
E attenzione. Perché il 31 dicembre scade il contratto di transito del gas russo verso l’Europa Centrale via Ucraina. E sapete cos’ha deciso, in barba ai Parlamenti dei vari Paesi, la Commissione europea? Che non intende forzare la mano per un rinnovo e che accetta l’aut aut di Kiev, pronta a negoziare nuove tratte a una sola condizione irrinunciabile: il Paese di partenza dei flussi non dovrà essere la Russia. La regione centro-europea potrebbe soffrire un danno economico significativo nel futuro prossimo… La sola Slovacchia dovrebbe affrontare un costo di circa 220 milioni di euro per acquistare e far transitare il gas da un’altra fonte… L’interruzione delle forniture di gas naturale attraverso l’Ucraina si tramuterà naturalmente in un incremento dei prezzi sul mercato. Inoltre, se l’inverno dovesse rivelarsi particolarmente rigido, la situazione potrebbe determinare carenze di gas e problemi con le forniture in tutta Europa, ha dichiarato Vojtech Ferencz, Ceo della utility slovacca SPP, prima firmataria di una lettera alla Commissione, affinché quest’ultima non dia luce verde alla scadenza del contratto con Gazprom. Il tutto con bollette già oggi in area 2022 a livello di costi e con proiezioni di Facile.it riportate ieri dal Corriere della Sera in base alle quali l’aggravio per le famiglie italiane nel 2025 sarà nell’ordine del 30%.
Capito perché, di colpo, Attilio Fontana in nome del Pil lombardo a cui fa riferimento, ha deciso di alzare la voce e rispolverare addirittura il desueto termine Padania? Capito perché l’Autonomia rischia di esplodere, trattandola come si sta facendo in queste ore?
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