I risultati del terzo trimestre di Jp Morgan, comunicati ieri, hanno battuto le stime degli analisti ad appena un paio di settimane dai problemi sul mercato interbancario americano; problemi così seri da “costringere” la Federal Reserve a correre ai ripari facendo ripartire il Quantitative easing. Nello stesso giorno in cui il Fondo monetario internazionale taglia le stime di crescita con l’accetta, per esempio nel caso tedesco, la borsa americana festeggia con un entusiasmo che non si vedeva da settimane.
Torniamo per un attimo a Jp Morgan. Quando ancora ci si interrogava sulle ragioni dei problemi sul mercato interbancario cercando di capire cosa causasse un fenomeno apparentemente inspiegabile, si ipotizzava che i problemi di “liquidità” potessero essere al centro del sistema finanziario americano e non solo a latere in qualche pur importantissima istituzione straniera. A inizio ottobre era stata Reuters a mettere in relazione il bilancio della banca americana con i problemi sui “repo” che hanno costretto la Fed a tornare a mettere liquidità sul mercato d’urgenza. Mettere in relazione Jp Morgan a quanto visto sul mercato interbancario non è un’associazione banale, dato che la banca è la più grande per dimensione di bilancio tra quelle americane con attivi che sono quasi il doppio di quelli di Deutsche Bank. Oggi di tutto questo non sembra essere rimasta traccia con i “risultati trimestrali”; eppure quello che è trapelato sulla superficie dei mercati passato per un attimo anche sui grandi organi di informazione è uno squarcio su quale sia lo stato di salute del sistema finanziario a dieci anni dal fallimento di Lehman.
Oggi la Federal Reserve sembra impegnata ad attutire gli effetti del rallentamento globale, con un’azione che i mercati sembrano apprezzare, ma con esiti che per il momento non sono noti. Rimane sul tavolo la questione di un sistema che da dieci anni ha tassi sbriciolati e che non sembra neanche lontanamente vicino a una completa guarigione. In compenso si addensano le nubi del rallentamento economico, delle tensioni geopolitiche, e, per l’Europa, di un nuovo competitor appena fuori dai suoi confini settentrionali oltre che di un assetto che vive della cannibalizzazione dei suoi partner più deboli. Le contraddizioni della situazione attuale, l’assenza di un modello che riesca a ridare una crescita sostenibile non sono un mistero inconoscibile; i campanelli d’allarme che alla fine hanno fatto ripartire il Quantitative easing sono stati abbastanza forti.
Segnaliamo che da almeno un anno il fenomeno del “trading azionario” regalato alla clientela retail in America con l’azzeramento delle commissioni si moltiplica. Si paga per avere i flussi dei “piccoli risparmiatori” sui mercati. In Europa ci accingiamo ad assistere a tassi negativi sui depositi di dimensioni medio-grandi. Tutto è funzionale a evitare che il sistema sperimenti vuoti d’aria che, in questa fase, sarebbero pericolosissimi. “Questa fase” per la verità comincia a essere abbastanza lunga e senza una soluzione all’orizzonte. Mentre si ricompongono gli equilibri globali assistiamo a tutto questo e rimaniamo con moltissime domande e pochissime certezze “finanziarie”.