Definire deludenti o interlocutorie le determinazioni prese dal Consiglio della Bce di ieri significa, né più né meno, non capire assolutamente nulla. Meglio essere chiari e netti fin da principio. Perché se c’è stato un board che ha inviato due segnali chiarissimi a governi e soggetti finanziari dell’eurozona è stato quello di ieri. Primo, le banche facciano la loro parte. O pagheranno le conseguenze. Secondo, l’Italia faccia bene i suoi conti. Ma bene davvero.



Partiamo dal primo dato. Il board dell’Eurotower ha infatti annunciato l’ennesimo acronimo destinato a entrare nelle nostre vite: Peltro (Pandemic Emergency Longer-Term Refinancing Operation), ovvero un nuovo programma di aste di rifinanziamento a lungo termine per il sistema bancario a partire da questo mese e fino al settembre 2021. Motivo della scelta? Semplice, stimolare sempre di più il meccanismo di trasmissione del credito da istituti bancari a imprese e famiglie in un’eurozona che sempre ieri ha visto precipitare il suo Pil al livello più basso da quando vengono tracciate le serie storiche, ovvero dal 1995, come mostra questo grafico.



Se si vuole sperare che la Fase 2 del post-lockdown possa rimettere minimamente in carreggiata la situazione, allora occorre che le banche garantiscano liquidità pressoché a pioggia ai soggetti produttivi e ai consumi. Esattamente come la Bce la garantisce a loro, visto che il costo a cui ci si potrà finanziare a quelle aste toccherà il minimo storico assoluto di un tasso del -1%. Insomma, game over. Adesso gli alibi sono davvero tutti terminati, perché a questa mossa della Bce va unita quella che l’altro giorno ha visto la Commissione europea varare un pacchetto di sostegno sempre al sistema bancario senza precedenti.



Tra le misure contemplate, infatti, compaiono la sospensione temporanea dell’applicazione degli standard internazionali di accounting, un trattamento più favorevole delle garanzie pubbliche, sospensione dell’applicazione dei cuscinetti prudenziali sulla ratio di leverage a bilancio e l’esclusione delle voci più gravose dalla stessa ratio di leverage. Manca giusto il bacino delle buonanotte e la caramella sul comodino. Diciamo che a questo punto, davvero non ci sono più scuse. Sempre che, fino a oggi, non si sia mentito più o meno spudoratamente sul proprio stato di salute.

Ci sono, infatti, rischiosi redde rationem potenziali all’orizzonte, come infatti ha sembrato confermare la virata al ribasso dell’EuroStoxx Banks dopo la pubblicazione del comunicato post-board della Bce. E, cosa più preoccupante, il tonfo del comparto bancario a Piazza Affari. Se infatti, a oggi, le banche europee paiono nelle condizioni per poter operare nel migliore dei modi possibili, dall’altro un simile panorama di sostegno porta con sé l’effetto collaterale di un effetto “cartina di tornasole”. Come reagirà, infatti, il mercato di fronte a un’eventuale prosecuzione di un atteggiamento troppo precauzionale da parte degli istituti di credito, sia a livello di partecipazione alle nuove aste di finanziamento Bce che di numeri nell’erogazione di prestiti a imprese e famiglie?

Il rischio è che prezzi immediatamente criticità finora tenute nascoste e portate a galla proprio dal supporto che Commissione Ue e Bce hanno offerto alle banche: come dire, certi bilanci imbellettati e certe detenzioni illiquide o a rischio ora non possono più essere nascosti con l’alibi socialmente edificante di atteggiamenti prudenziali, quasi da buon padre di famiglia, stante un’emergenza senza precedenti e un trattamento di favore altrettanto unico nel suo genere. Vuoi vedere che, paradossalmente, proprio nel momento di maggior aiuto formale nei loro confronti, alcuni giganti (o presunti tali) del credito sveleranno i loro piedi d’argilla?

E attenzione, un ragionamento simile lo sta facendo una persona che è conscia dell’importanza del sistema creditizio per un’economia florida e avanzata, non certo un populista che grida contro i banksters un giorno sì e l’altro pure per raccattare due like o vendere due libri. Ora, però, è tempo di essere seri, perché la situazione appare in tutta la sua drammaticità. Come dire che se fino a oggi sei rimasto in vita a dispetto dei santi e grazie a continui aumenti di capitale, aiuti di Stato, magheggi di vario genere (fra cui processi di razionalizzazione dei costi sostanziatisi in migliaia e migliaia di posti di lavoro bruciati), adesso si tira una bella riga per terra: chi sta in piedi con le proprie gambe lo faccia, chi non riesce venga acquisito, si fonda oppure vada in commissariamento. I tempi allegri del fare i banchieri con i soldi degli altri è finito. E a dirlo è un soggetto che certo non è tacciabile di pregiudizio anti-bancario come la Bce.

La quale, però, oggi sa che il discrimine è quello fra una recessione senza precedenti che può portare all’implosione stessa dell’eurozona e la tutela di rendite di posizione e di potere sedimentate negli anni: prepariamoci a un cambio di nomi e poltrone del gotha degli intoccabili, magari con la farsesca pantomima del “cavaliere bianco” ad annunciarne l’avvento. Perché qualche mostro sacro è destinato alla pensione anticipata.

Secondo messaggio, quello che a mio avviso è direttamente indirizzato all’Italia. La Bce si è detta pronta ad ampliare ulteriormente il controvalore e (la durata) del programma di acquisti legato all’emergenza pandemia (Pepp) anche oltre i 750 miliardi originari e la data del 31 dicembre 2020 e di variarne anche la composizione, se necessario. Messaggio rassicurante, ancorché ampiamente prezzato da giorni. Proprio per questo, molti osservatori si attendevano un primo aumento da subito, ancorché magari solo simbolico nell’ammontare.

Perché la Bce si è astenuta dal farlo? Opposizione interna dei cosiddetti “falchi”? Può essere, al netto di un allargamento della platea di collaterale accettato anche ai bond spazzatura che Germania e Olanda ancora faticano a ingurgitare del tutto. Ma soprattutto per ciò che ci mostra questo grafico, su elaborazione proprio del centro studi della Bce e basato su scenari ipotetici di sviluppo temporale del programma Pepp in base al valore di titoli acquisti a livello settimanale.

Come si nota, la linea rossa di quello che viene definito “ritmo alto” porta come controvalore quotidiano 7 miliardi, quindi praticamente il volume di acquisti della settimana conclusasi il 15 aprile scorso. Continuando con quella dinamica di ammontare, però, i 750 miliardi stanziati per il Pepp non durerebbero fino a fine anno, bensì fino a metà ottobre. Per garantire una schermatura agli spread più sensibili almeno fino a metà dicembre, il ritmo di acquisti dovrebbe scendere a circa 4 miliardi al giorno o un totale di 83 miliardi al mese. Insomma, meno volume di fuoco per il bazooka. E, quindi, minor intensità di difesa per il firewall della Bce, lo stesso che sta letteralmente mantenendo artificialmente compresso e sotto controllo il nostro spread.

Quali i rischi? Stante la risorgente questione delle sofferenze bancarie e del loro potenziale di criticità a causa del lockdown da pandemia che porterà con sé un inevitabile aumento delle criticità di bilancio e dei fallimenti corporate, difficilmente Paesi come Spagna e Grecia accetteranno che la deviazione della capital key negli acquisti pro quota di debito sovrano da parte delle Banche centrali nazionali su mandato dell’Eurotower veda ancora per molto l’Italia a circa il 32% del totale, come accaduto fino a oggi. Soprattutto, se calcoliamo che Roma partiva dal 17%, sua quota statutaria nel precedente ciclo di Qe, quello lanciato e gestito da Mario Draghi.

E signori, senza scomodare il ridicolo downgrade a orologeria operato da Fitch (altro segnale in codice, soprattutto perché sostanziatosi la sera prima di un’asta di Btp decennali) sul nostro rating sovrano, questo ultimo grafico ci mostra chiaramente e plasticamente quale effetto-schermo gli acquisti della Bce stiano garantendo ai nostri costi di servizio del debito. E a quelli di finanziamento sul mercato, ancora oggi in un’area dell’1,85%. La quale appare alta sul lungo termine, ma più che accettabile nel brevissimo, al netto di un ambiente finanziario europeo (e globale) di allentamento monetario, normativo (sospensione del patto di Stabilità) e regolamentare (liberi tutti per il sistema bancario, almeno dai vincoli più stringenti di accountability).

Ma a dispetto di quanto sperino certi economisti molto in voga e molto social, questo regime di new normal non solo non è normale, ma non potrà nemmeno durare per sempre. Magari la Bce riuscirà a strappare alla Bundesbank l’ok per un aumento di altri 500 miliardi, stante i dati macro tedeschi sempre più preoccupanti (l’ultimo, quello della disoccupazione), ma resta il fatto che la sostenibilità della nostra ratio debito/Pil – attesa a fine anno oltre il 153%, stando ai calcoli più ottimisti di calo del prodotto interno lordo – non può basarsi di default sul fatto che a calmierare i costi e acquistare i Btp in automatico ci sia sempre Francoforte. Non funziona così, l’irresponsabilità al potere del far pagare ad altri i propri debiti spacciata per lotta all’austerity e riconquista della sovranità ormai ha i giorni contati. Esattamente come gli alibi per le banche, intente a utilizzare soldi a costo zero e con fini emergenziali per rimettere a posto i propri buchi di bilancio, figli di gestioni dissennate e investimenti esotici.

Perché tra poco, giorno più o meno, si rialzeranno molte saracinesche di negozi, fabbriche e magazzini. E allora sarà la realtà macro a fare prepotentemente irruzione sulla scena. Cacciando a calci le panzane assistenzialiste di chi odia l’Europa ma vuol farsi mantenere dalla Bce, così come le farraginosità burocratiche di chi tutto prende e poco concede, leggi quelle banche che si finanziano a costo zero e senza garanzie, ma chiedono anche gli esami del sangue e delle urine a chi ha bisogno di liquidità per provare a ripartire.

Stavolta, siamo davvero al redde rationem. E la Bce, con il suo comunicato solo apparentemente temporeggiante e interlocutorio, lo ha certificato. Forte e chiaro.