Non so se ve ne rendete conto, ma vi stanno prendendo per i fondelli. Pesantemente. Per quale ragione, infatti, la Fed ha deciso di tagliare di 50 punti base il costo del denaro, annunciando altri 50 punti da qui a fine anno? Per il dato occupazionale di agosto, più del debole del previsto. Una singola lettura è stata sufficiente a cancellare mesi e mesi di retorica sul soft landing dell’economia a stelle e strisce.



E già qui, sarebbe il caso di riflettere. Ma ora date un’occhiata a questi due grafici, relativi a dati macro pubblicati rispettivamente lunedì e martedì scorso. Ovvero, subito prima dell’annuncio della Fed.

Ora capite perché Jerome Powell ha cominciato la conferenza stampa confermando come US economy is in good shape? Il primo grafico è relativo all’Empire Fed Index, l’indice manifatturiero dell’area di New York. Viene comparato con l’ISM manifatturiero generale, quello a livello nazionale. Il primo è blu scuro. E vira nettamente verso l’alto, di fatto preannunciando un balzo dell’attività generale (linea azzurra). Insomma, la manifattura Usa vede rosa. Molto rosa. Il giorno dopo ecco arrivare il dato della Fed di Atlanta, il GDPNow, il tracciatore in tempo reale del Pil statunitense. In questo caso, relativo al terzo trimestre. Crescita al 3%. Soltanto il 9 settembre era al 2,5%. Ora, vi pare normale che la Banca centrale degli Stati Uniti tagli il costo del denaro di 50 punti base e preannunci altrettanto allentamento entro due mesi, quando i mercati azionari sono al massimo storico e l’economia pare volare? Io capisco che il Qe abbia stravolto le categorie economiche novecentesche, ma qui siamo alla follia.



O forse no. Forse, quel taglio serve a fare in modo che una o più istituzioni finanziarie non implodano. Perché lo scossone del 5 agosto è passato in fretta. Ma le ragioni che lo hanno generato sono ancora tutte lì. E infatti, date un’occhiata quest’altro grafico: questa è la reazione del cambio dollaro/yen nella mattinata di ieri.

Chi ha tagliato i tassi, la Fedo la Bank of Japan? Forse la domanda da porsi è un’altra: chi sta tenendo in ostaggio il mercato più indebitato ed esposto al leverage sulla controparte di sempre, la Fed o la Bank of Japan con i suoi carry trades pronti alla seconda ondata di smobilizzo? Forse per capire cosa sta accadendo davvero conviene seguire i movimenti di un proxy serio. L’oro. E non tanto la reazione pavloviana registrata subito dopo l’annuncio della Fed, un nuovo record storico a 2.597 dollari l’oncia che, di per sé, già dice molto. Bensì a livello di blocchi.



Ha infatti suscitato poco scalpore la notizia in base alla quale la Banca centrale saudita, fra inizio 2022 e il primo trimestre di quest’anno, ha segretamente acquistato dalla Svizzera circa 160 tonnellate di oro fisico. Eppure avrebbe dovuto. Per almeno due motivi. Primo, questa dinamica ha contribuito al rally del lingotto. Secondo e più simbolicamente importante, il Regno che ha sancito la nascita del petrodollaro e l’affermazione globale del suo ruolo benchmark, decide di optare per la soluzione preferita dai Brics. E dagli scettici dello status quo e della sua auto-perpetuazione. In ultima istanza, persino da Zio Paperone. Non a caso, Ryad è ormai parte integrante del progetto a guida cinese del riequilibrio e riassetto dei poteri globali.

Ed eccoci al grafico rivelatore. E alla Cina, appunto.

Perché Pechino pare intenzionata a spingere le valutazioni all’oncia verso quota 3.000 dollari? Forse perché in questo modo si manda un chiaro segnale di minaccia – oltretutto non esplicitabile dalla controparte – a quelle bullion banks Usa che siedono su centinaia di miliardi di derivati aurei, a fronte di materiale fisico incapace di incontrare la domanda di carta? O forse la Cina sa qualcosa sull’escalation fra Russia e Nato che tutti gli altri ancora ignorano? O, magari, solo fingono di ignorare. Perché al netto della farsa iraniana di fronte alla sempre più smaccata campagna di provocazione israeliana e della pantomima Houthi, Mosca stavolta sembra aver preso l’aratro per tracciare il solco della red line: i missili a lungo raggio a Kiev equivalgono all’Alleanza in guerra. Direttamente. Articolo V pronto a scattare al primo obiettivo colpito o anche solo messo nel mirino in Europa o nel Baltico. Chissà.

In compenso, a mio avviso quell’esplosione parabolica del trading aureo in Cina è decisamente correlata a un altro trend registrato subito prima della decisione della Fed. Per la prima volta in assoluto, il rendimento del bond sovrano a lungo termine cinese (50 anni) è sceso al di sotto di quello giapponese (in questo caso, 40 anni come benchmark): vuoi dire che la tanto vituperata Cina, il magazzino di chincaglieria a cielo aperto per molti occidentali rimasti ancora agli anni Novanta, ora viene percepita come economia più solida e profittevole su cui investire, rispetto a quella tutto export e manipolazione monetaria del Giappone? O siamo al paradosso della giapponesizzazione dell’economia cinese con costi e protezioni minori?

Certo, alla base di tutto c’è un ruolo fondamentale della Banca centrale e del suo impulso creditizio. Quei rendimenti non sarebbero un trade-off sul concetto di risk/return. Semplicemente, un Monopoli più credibile di quello ormai privato di ogni credibilità ai quattro angoli del globo apparecchiato da Tokyo. Ma siamo davvero certi? La famosa bolla immobiliare che doveva far saltare l’intero castello della Xinomics, per ora rimane sotto controllo. Quel rendimento cosa ci dice, un altro 30% di calo dei prezzi immobiliari alle viste? O forse, un mondo che sotto la superficie, sta davvero ruotando asse?

La Fed sta giocando per altri. Per Kamala Harris, certo. Ma anche per un Sistema moribondo che cerca di attaccarsi con le unghie e con i denti a un monopolio del mondo che, ormai, pare avere gli anni contati. Gli anni, lo ripeto. Non più i decenni.

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