Uno dei mantra che ha accompagnato il farsesco passaggio parlamentare dei giorni scorsi è stata la necessità di garantire a Mario Draghi un mandato chiaro, forte e inequivocabile con cui recarsi al Consiglio europeo in corso da ieri a Bruxelles. Di fatto, la certificazione che tutta questa chiarezza attorno alle mosse a dir poco estreme dell’Italia sullo scacchiere bellico non sia affatto presente, quantomeno sul tema delicatissimo dell’invio di armi. Altrimenti, Mario Draghi avrebbe trattato questa scadenza come ha fatto con tutte le altre: con supremo sprezzo del Parlamento, da cui dice di non voler essere commissariato.
Forse il Quirinale sarebbe il caso che battesse un colpo. E inviasse un paio di libri a palazzo Chigi. Tanto per capirci, in Germania e negli Usa l’elenco degli armamenti inviati a Kiev su decisione dei relativi organi di rappresentanza del popolo è on-line e liberamente consultabile dai cittadini. Qui saltano a piè pari il Parlamento, passano unicamente dal Copasir e sono tutti secretati. Tutto bene? Come mai la Costituzione più bella del mondo può essere strutturalmente calpestata senza che nessun giurista, partigiano, intellettuale o attore engagé dica nulla?
Ma veniamo alle cose serie: per decidere su cosa Mario Draghi ha ottenuto il mandato pieno da Camera e Senato? Qual è l’agenda del vertice che sancisce la fine della presidenza francese di turno? L’Italia ha una priorità, assoluta: il tetto sul prezzo del gas. Perché l’IEA l’altro giorno è stata chiara: L’Europa si prepari allo stop totale di Gazprom il prossimo autunno. E di colpo, amici americani, africani di ogni latitudine e israeliani con il loro giacimento monstre si presentano alla realtà per quello che sono: chimere. Senza Mosca, saremo al freddo e con le fabbriche energivore ferme. Quantomeno a rotazione. In piena recessione, ormai conclamata.
E a che punto sono le trattative sul gas cap? Punto morto. E a meno di miracoli, difficilmente sbloccabili a nostro favore nel breve arco temporale di 48 ore di riunione che, con il passare dei giorni, ha visto l’agenda dei temi dilungarsi a dismisura. E, soprattutto, Ue e Nato imporre le loro priorità, in primis la corsia preferenziale per lo status di Paese candidato della stra-indebitata Ucraina. Il Consiglio europeo in corso rappresenta, di fatto, la mera fase preparatoria ai due veri appuntamenti pre-estivi: il G7 e il vertice dell’Alleanza Atlantica. I quali avranno due punti nodali: nuove sanzioni contro Mosca e inserimento di Russia e Cina in cima alla lista delle minacce alla sicurezza occidentale. Della serie, qualcuno non vuole la pace.
Perché cari lettori, ricordatevi sempre una cosa e utilizzatela come stella polare: quattro giorni dopo l’inizio dell’offensiva russa – 4 GIORNI – le due parti belligeranti erano già sedute a un tavolo per trattare. La classica guerra lampo stile Georgia. Qualche conflitto l’ho seguito e coperto in quasi 30 anni che faccio questo lavoro e mai mi era capitato di raccontare un tentativo di accordi di pace in tempi record come questi. Di colpo, però, quel tavolo è saltato. Anzi, l’Ucraina ha fatto saltare il tavolo. Su indicazione di chi? In base a quali promesse? In nome di quale do ut des il presidente Zelensky ha deciso dalla sera alla mattina di riporre nell’armadio la grisaglia e cominciare a sfoggiare abbigliamento mimetico e registrare efficacissimi video stile Blair Witch Project?
Ed ecco che l’Europa sembra pronta ancora una volta a sbattere i tacchi, salvo sperare che Germania e Ungheria evitino nuovamente la capitolazione servile totale. Settimo pacchetto di sanzioni da cominciare a preparare e lanciare in estate: almeno, così ha deciso Joe Biden, il quale vuole che le misure contro Mosca siano l’argomento centrale del G7 del 26-28 giugno. E cosa contempleranno, stavolta? Le matrioske? Le aringhe? O forse il gas, quando già oggi stiamo facendo i conti con uno steinbeckiano inverno del nostro scontento?
Signori, guardate questi due grafici e, per favore, rendetevi conto del suicidio assistito (da Washington) di cui siamo protagonisti. La Russia ha già trovato nuovi clienti non occidentali e non Nato a cui vendere il proprio petrolio sanzionato: già oggi e in misura tale da continuare a vedere le proprie entrate fiscali energetiche mantenere la bilancia commerciale in super-attivo. Se ne frega delle nostre sanzioni farsa, perché solo Cina e India stanno tranquillamente rendendole inutili. E questo mentre noi ancora siamo nell’interregno dello stop solo al trasporto via pipeline e non via mare, quindi ancora in regime di acquisti garantiti fino al 31 dicembre almeno. Quindi siate coscienti del fatto che, se fra Consiglio europeo, G7 e vertice Nato la stampa vi venderà la decisione di fermare da subito e tout court tutto l’import petrolifero occidentale come l’arma letale, ebbene per Mosca già oggi quella mossa equivale al solletico. O poco più.
Il secondo grafico, poi, rappresenta l’immagine stessa dell’ipocrisia: ci mostra come Mosca spenda 840 milioni di dollari al giorno per finanziare l’operazione in Ucraina. Bene, al netto delle sanzioni e dei proclami, l’export energetico garantisce a Mosca quella cifra e anche 90 milioni di dollari al giorno in più. Nei primi 100 giorni di guerra, solo l’Italia ha garantito alla Russia tramite le proprie importazioni di fonti fossili qualcosa come 7,8 miliardi di dollari. Ma di cosa stiamo parlando? Ma davvero ci riteniamo nelle condizioni di poter proseguire ancora molto con questa sceneggiata o con quella, ancor più pericolosa, dell’affrancamento indolore dal gas russo? Siamo con mezza Italia alla rovina per la siccità e con le bollette alle stelle, stante il prezzo del gas che non si schioda da area 130 euro per megawatt/ora e vogliamo ancora giocare alle sanzioni? A fronte di un Governo con caricaturale postura da falco in ambito europeo, tanto per guadagnarsi qualche mostrina ma che per il caro-bollette e le varie emergenze economiche è riuscito a stanziare poco meno di 4 miliardi, praticamente il nulla.
E sapete perché? In ossequio all’altra, enorme panzana che ci hanno venduto finora: il Pnrr che ci avrebbe tramutato nella nuova Svizzera. Quei fondi sono vincolati e tutti da restituire, quindi non rappresentano un bancomat da schierare a difesa dell’economia in momenti di contingenza drammatica come questa. Perché condizionati da promesse fatte in sede europea, quindi ogni scostamento o utilizzo va motivato e gestito in seno a un percorso prefissato di riforme e stanziamento. Altro che 209 miliardi del Recovery Fund, altro che occasione storica: il Pnrr altro non è che un conto corrente co-intestato, tanto liquido quanto vincolato, poiché per prelevare o fare bonifici dobbiamo obbligatoriamente ottenere la firma del secondo intestatario. L’Europa.
Signori, siamo messi malissimo. Qui o succede qualcosa di drastico nel Paese che costringe il Governo a smetterla di perseguire agende eterodirette o prepariamoci davvero a un autunno che tramuterà quelli degli anni Settanta in serene passeggiate in centro per lo shopping. Garantito. Perché nel frattempo, sempre ieri si è aperto il 14° Forum dei Brics, i Paesi emergenti. Su quale agenda? Aumento massimo della cooperazione economica intra-blocco, spostando il baricentro commerciale verso Est e lasciando all’Occidente derivati e porcherie finanziarie assortite. E, soprattutto, creazione di un paniere valutario misto da contrapporre a dollaro ed euro da Qe perenne, il tutto con forte probabilità di backing con le materie prime, dal petrolio al gas, dal carbone all’oro alle terre rare.
Il mondo sta vivendo una rivoluzione. E noi siamo dalla parte sbagliata della barricata, quella dell’oltranzismo cieco e per conto terzi.
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