Giornata elettorale oggi in Germania. Si vota infatti per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Essen e, soprattutto, per quello dei Parlamenti regionali di Renania-Palatinato e Baden-Württemberg. Quest’ultimo Land è quello che presenta la sfida maggiormente attesa e osservata in vista del voto legislativo del 26 settembre prossimo, visto che l’amministrazione uscente era retta da una coalizione nero-verde fra Cdu e Grünen, laboratorio a detta di molti di quello che potrebbe essere il prossimo assetto a livello nazionale. L’appuntamento è di quelli di importanza fondamentale a livello interno, tanto che Euronews per definirlo ha utilizzato la formula molto americana del Super-Sunday. E le variabili in campo sono molte, moltissime. 



In primis, la reazione in cabina dell’elettorato alla politica di contrasto della pandemia messa in campo dalla coalizione Cdu-Spd, al netto di un lockdown che soltanto dal 22 marzo comincerà a vedere la riapertura di alcuni esercizi, chiusi fin da prima di Natale. E se la polemica vaccinale appare decisamente ridimensionata rispetto a quanto accade ad esempio in Italia, nonostante il clamoroso fiasco europeo della gestione teutonica di Ursula von der Leyen, le elezioni di oggi avranno luogo con sullo sfondo lo scandalo finanziario legato a Greensill Capital, di cui vi ho parlato qualche giorno fa. Di fatto, un bruttissima gatta da pelare per la BaFin, l’ente regolatore dei mercati che si era appena – e a fatica – ripreso dal tracollo di Wirecard. 



C’è però un problema: quella che appariva unicamente una questione finanziaria legata alle cartolarizzazioni allegre delle fatture, utilizzate come motore della cosiddetta supply-chain finance, in Germania potrebbe tramutarsi in guai finanziari proprio per alcuni enti locali, esposti come migliaia di semplici cittadini ai buchi facenti capo al ramo bancario del fondo, la Greensill Bank. Dozzine di municipalità tedesche, infatti, hanno ceduto al fascino del brokeraggio e hanno parcheggiato milioni di euro presso i conti dell’istituto: ad esempio, Monheim on Rhein, città nell’area di Dusseldorf che ha depositato su quei conti qualcosa come 38 milioni di euro, quasi 1.000 euro per abitante. È andata meglio a Bad Duerrheim, il cui municipio ha affidato alle cure della banca “solo” 2 milioni di euro: «Ci aspettiamo il peggio, anche se continuiamo a sperare nel meglio», ha dichiarato alla Reuters un dirigente della municipalità, Alexander Stengelin. 



Sgradevole. Soprattutto in un momento di difficoltà economica legato alla pandemia, nonostante l’enorme scostamento di bilancio posto in essere dall’esecutivo anche per tutto l’anno in corso e che ha consentito una copertura ottimale dei fondi di ristoro e sostegno all’economia e alle famiglie. Ma la Germania, si sa, ha le sue ossessioni. Ad esempio, il fatto che per la prima volta dal 1979 la Bundesbank non abbia pagato un dividendo al Tesoro – a causa degli extra-accantonamenti precauzionali dovuti all’aumento dei tassi sul debito – non è andato giù. È parso un pessimo segnale, soprattutto se sospinto da una retorica anti-Bce che pervade sempre maggiormente ampi strati dei cristiano-sociali, soprattutto i bavaresi della Csu e non più solo Alternative fur Deutschland. 

Soprattutto alla luce di questo: l’ultimo dato disponibile rispetto alle aspettative inflazionistiche sul breakeven a 10 anni sono infatti salite all’1,19%, il massimo dal 2018 e in perfetto sincrono con l’aumento della massa monetaria M3 dell’eurozona, cresciuta del 12,5% su base annua a gennaio. A sua volta, il massimo dal 2007. 

E tutti sanno che l’inflazione per un tedesco rappresenta il corrispettivo della kriptonite per Superman o dell’aglio per Dracula. Weimar e il suo spettro, qualcosa di impresso nel dna. E attenzione, però, perché questi tre grafici mettono in prospettiva la situazione al di là delle ossessioni storiche, calandoci a forza nel presente. L’ultima sell-off obbigazionaria, infatti, oltre al rendimento del Bund ha fatto salire anche quello a 10 anni dei Pfandbriefe, i bond legati al mercato dei mutui. Di fatto, gli MBS tedeschi. 

Il 13 marzo scorso, per la prima volta dal giugno 2020, quello yield è tornato positivo, di fatto un proxy per maggiori costi legati al settore del real estate. Quale, quindi, il timore? Semplice, quello legato alla necessità di bloccare assolutamente quella dinamica rialzista. La ragione? Altrettanto semplice e chiaramente spiegata dal secondo e terzo grafico: un’impennata di quei tassi potrebbe punzecchiare pericolosamente la bolla immobiliare tedesca. Guarda caso, cresciuta anch’essa in tandem di re-couple pressoché perfetto con l’aumento dello stato patrimoniale della Bce attraverso i programmi di Qe ciclici. E ormai strutturali dal 2012. Insomma, l’inflazione minaccia di toccare conti correnti già messi a repentaglio non solo dai tassi negativi sui depositi decisi dall’Eurotower ma anche dall’ennesimo scandalo finanziario e, come se questo già non bastasse per far ricorrere il tedesco medio al Valium in dosi oceaniche, ora cominciano anche a stagliarsi all’orizzonte potenziali timori sulla casa. Il tutto, cosa peggiore, in qualche modo legato alle scelte della Bce. Le stesse che hanno costretto la Bundesbank a non pagare il dividendo allo Stato per la prima volta in 41 anni. 

Cosa dite, c’è abbastanza ciccia nel piatto per rendere l’appuntamento elettorale di oggi qualcosa da cui non si può prescindere? E attenzione, perché se tutte queste criticità potrebbero spiegare la tiepidezza di intervento di Christine Lagarde giovedì scorso, quasi una mossa preventiva per preservarsi dall’ira funesta di uno Jens Weidmann che ingoia bocconi amari ormai da otto mesi, da domani e per tre giorni si voterà in Olanda per le legislative anticipate. Di fatto, il braccio armato della Germania nella trattativa sul Recovery fund, il perno dei cosiddetti Paesi frugali, sceglie quale falco lo guiderà. Meglio tenere i fari puntati, perché sicuramente a palazzo Chigi lo faranno. 

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