Non so voi, ma io sono un po’ preoccupato. Da almeno una settimana, l’Ucraina è come sparita dai radar. Apparentemente, la guerra è finita. Nemmeno un fiato. Due gli eventi che hanno portato a un calo tombale del silenzio sull’argomento principe di ogni momento di stasi politica.
Primo, il via libera all’ennesimo pacchetto-regalo per Kiev da 50 miliardi di dollari. Chiaramente, 35 da parte dell’Europa. Il resto dagli Usa. Chiaramente, i soldi europei già stanziati. Quelli Usa promessi, ma in stand-by causa elezioni incombenti. Domanda: se dovesse vincere Donald Trump, pensate che verranno sbloccati?
Secondo evento, il fallimento totale del tentativo di golpe in Georgia. Dove la presidentessa della Repubblica ha deciso unilateralmente di non riconoscere la vittoria elettorale del partito filo-russo e, udite udite, ha sobillato la cittadinanza affinché desse vita a proteste di piazza. Insomma, Maidan 2.0. A meno di sorprese, per ora a Tbilisi regna una pax sovietica invidiabile. Qualcuno deve aver capito che, in caso di modello ucraino, Mosca avrebbe mosso le truppe. Immediatamente. E tramutato l’Abkhazia nel suo giardino di casa con vista sulla Turchia. Poi dicono che dal summit dei Brics siano arrivate solo parole. Il fatto che Israele abbia di fatto telegrafato ogni singolo missile sparato sull’Iran, non vi dice niente al riguardo e sul grado di moral suasion che la Cina ha segretamente reso nota a difesa del suo alleato commerciale?
Eh già, perché date un’occhiata a questa grafica: cos’hanno ottenuto le sanzioni imposte dall’Amministrazione Biden verso il petrolio d Teheran? La garanzia per quest’ultima di un unico cliente che stabilizzasse le sue entrate fiscali da greggio.
Nel 2017, la Cina comprava il 26% del petrolio iraniano. Lo scorso anno quella percentuale è salita al 91%. E pensate che Pechino avrebbe permesso a Tel Aviv di distruggere le infrastrutture energetiche degli ayatollah senza aprire bocca?
Ma attenzione, il meglio deve ancora venire. Ce lo raccontano questi tre grafici, dai quali evinciamo come un altro Paese che avrebbe dovuto essere messo in ginocchio e spedito in default dalle sanzioni occidentali, in realtà non sia mai stato così economicamente sano. La Russia, appunto.
In compenso e contemporaneamente, Volkswagen chiude le fabbriche in Germania. Con un prezzo del barile a 68 dollari di media ponderata, le riserve estere della Russia sono praticamente al massimo storico. Ripeto, il tutto con un prezzo del petrolio che, grazie ai giochetti dei futures, rimane compresso nonostante guerre in ogni angolo di mondo. Vogliamo parlare del debito estero russo, in grandissima parte denominato in dollari? Ai minimi da 12 anni. Anche qui, la chiave del ricatto finanziario e sanzionatorio rischia non solo di avere vita breve, ma anche di essere denominata da un alto tasso di autolesionismo per chi la esercita. Infine, ecco che la produzione di componenti d’arma strategici russi dall’ottobre del 2022 è salita in una forbice che va da 2x fino a 6x per certe categorie. Ovvero, da quando il segretario al Commercio Usa, Gina Raimondo, disse al Congresso statunitense che i russi erano messi talmente male a livello di componentistica da dover prendere i semiconduttori per le loro armi da lavastoviglie e frigoriferi in disuso. Ricordate? Faceva il paio con l’altra idiozia in base alla quale l’esercito russo combattesse in prima linea con le vanghe e i manici di piccone. In effetti, quei numeri parlano chiaro rispetto a un’industria bellica di Mosca in piena crisi, vero?
E il famoso default, quello che sarebbe stato generato dal combinato congiunto di sanzioni commerciali e finanziarie, queste ultime incarnate dall’innesco delle clausole di credit default swap sui bond denominati i dollari (quelli che fanno da sottostante al debito estero ridicolo di cui abbiamo appena parlato) e dall’esclusione delle banche russe dal sistema Swift? Non solo il default è stato rimandato, esattamente come quello di Evergrande, mentre qui nell’Occidente dei furbi Credit Suisse saltava per aria in un weekend e Silicon Valley Bank in una notte. Ma non più tardi del 28 ottobre scorso, la Banca centrale russa ha alzato il tasso principale di 200 punti base per contrastare un riacutizzarsi inflattivo a causa di eccessiva crescita. Eh già, mentre gli Usa tagliano i tassi e vedono esplodere i rendimenti obbligazionari (vedi articolo di ieri) e la Bce taglia tanto per fare qualcosa, quasi ignorasse il rimbalzo dei prezzi già in atto (vedasi il dato choc giunto ieri dall’Olanda), Mosca alzava il costo del denaro benchmark al 21%, più di quanto fatto nel post-Covid. Il quale, giova ricordarlo, in Russia è stato pressoché assente. Quantomeno se comparato alla strage macro-economica compiuta in Europa.
La Russia di Vladimir Putin è il migliore dei mondi e modelli possibili? No. Ma le nostre sanzioni l’hanno rafforzata. E indebolito noi europei come mai prima. Unendo i puntini, si ottiene la risposta. Che può essere sgradevole, lo ammetto. Perché certifica che siamo degli idioti. E che quanto stiamo per pagare, platealmente rappresentato dai numeri tedeschi di queste settimane, è tutto e soltanto frutto di un miope politica di asservimento agli interessi Usa. I quali, dal 6 novembre, potrebbero cambiare. La Russia è pronta. L’Europa, invece, pare in rampa di lancio solo per il giro di centrifuga industriale finale. Quello che ci strizzerà del tutto. E che ieri, non a caso, ha visto l’Ue inviare una delegazione di sherpa a Pechino per cercare di risolvere bonariamente la questione dei dazi sulle auto elettriche cinesi.
La realtà è questa. E parla fin troppo chiaro.
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