Ci siamo ormai, al punto critico della situazione. E siamo al punto critico di scoprire il segreto di Pulcinella, ossia la presunta transitorietà dell’inflazione, cioè il ritornello ripetuto senza posa dai signori delle principali Banche centrali.
Poveretti, sono costretti a ripeterlo per giustificare la propria inazione. Infatti, in teoria per contrastare l’inflazione dovrebbero alzare i tassi. Ma i bilanci delle banche sono fragili, cioè non sono mai uscite dalla crisi perché in questi anni non hanno fatto nulla per uscire dalla crisi, per cambiare le regole della finanza speculativa, cioè per mettere dei paletti alla speculazione.
Il cuore del problema è questo: l’esplosione della crisi è dovuta a due fattori. Il primo è la mancanza di regole o meglio l’abolizione delle regole che c’erano, in particolare quella che impediva alle banche commerciali di fare speculazione (abolita nel 1999, con singolare sincronia in tutti i Paesi occidentali). La seconda è stata la benzina che ha fatto correre il mercato della speculazione finanziaria, cioè l’enorme liquidità generata dalle Banche centrali dal 1999 in poi, quella che ha fatto crescere in modo abnorme le borse di tutto il mondo fino al marzo 2000, quando è iniziata la prima crisi.
E cos’hanno fatto le Banche centrali per fronteggiare la caduta delle borse negli anni 2000-2003? Hanno stampato ancora più denaro, che però non è finito nell’economia reale (avremmo visto una forte inflazione), ma di nuovo nei mercati finanziari, provocando la fine della caduta e la fortissima ripresa 2003-2007. Ma il valore non si crea stampando moneta, lo capisce anche la casalinga di Voghera. Se stampi troppo denaro, finirai per rovinare prima la finanza e poi l’economia, cosa puntualmente avvenuta nel 2007-2010, con una nuova crisi che ha colpito prima i mercati finanziari (ricordate i mutui subprime?) e poi i debiti degli Stati, per finire nell’economia reale (gli Stati indebitati hanno tagliato le spese e hanno fatto crollare il Pil, chi più chi meno).
E come hanno affrontato questa nuova crisi le Banche centrali? Come al solito, col solito fallimentare sistema: stampando più denaro. Ma questo non fa altro che risolvere il problema temporaneamente e spostarlo nel futuro, perché prima o poi i nodi vengono al pettine e il denaro stampato senza regole diventa sempre più insignificante, come valore e come strumento di regolazione dell’economia.
E se il denaro perde valore, allora i beni salgono di prezzo e si scatena l’inflazione cattiva, quella che dipende dalla scarsità di beni e non dalla crescita economica (in quel caso l’inflazione sarebbe un problema minore, quando non del tutto trascurabile). Nel caso di inflazione da crescita economica, essa potrebbe essere contrastata da un aumento dei tassi: si avrebbe una minore crescita, ma vi sarebbe comunque un certo margine di intervento.
Invece ora la situazione è drammatica poiché se manca, per esempio, il gas naturale e questo sale di prezzo, la relativa inflazione non può essere tenuta sotto controllo con la stampa di moneta, per il banale motivo che essa non genera gas. In altre parole, le Banche centrali potranno continuare a stampare moneta per salvare le banche e impedire il crollo dei mercati finanziari, ma non potranno nulla contro l’inflazione nell’economia reale. Hanno tentato in tutti i modi di nascondere il problema, dicendo che l’inflazione era temporanea. Ora hanno iniziato a dire che si prevede durerà più a lungo di quanto previsto inizialmente, ma rimane temporanea. La banale verità è che invece l’inflazione è fuori controllo, non riescono e non possono controllarla. Per ora è a un livello importante e non distruttivo, ma se dovesse crescere ancora le Banche centrali non potranno farci nulla, semplicemente perché hanno già sparato tutte le cartucce.
Il recente valore positivo dell’indice Nonfarm Payrolls (salariati del settore non agricolo) non deve trarre in inganno. Si tratta dell’unico valore positivo nel mezzo di una tempesta di dati negativi. Un valore positivo che comunque nasconde un problema; molte aziende nel mondo occidentale non trovano personale qualificato da assumere: sia per il calo delle nascite che ha colpito nei decenni scorsi tutti i Paesi occidentali; sia per il livello degli stipendi, ormai indecentemente bassi. Uno dei paradossi del libero mercato è proprio questo: svalorizza il lavoro al punto tale che lavorare non conviene più. Del resto, perché massacrarsi di lavoro per fare la fame? Tanto vale fare la fame senza stancarsi.
Anche in Italia sono tante le imprese che non trovano personale qualificato. Non si sono rese conto che l’offerta economica è troppo bassa (per mettere su casa, per mantenere una famiglia, per poter progettare il futuro) e i professionisti migliori, quando possono, vanno all’estero. Lo Stato non ha investito su famiglie e scuola, le imprese lo stesso e oggi mancano le persone che potevano nascere da quelle famiglie e potevano essere istruite da quelle scuole.
Nella mia zona c’è un esempio di quanto sta accadendo: l’ospedale Castelli Romani ben presto si troverà in grosse difficoltà perché sei medici lasceranno il Pronto soccorso e altri medici non se ne trovano. Ma non si tratta di un problema locale, è un problema nazionale. Salvatore Manca, presidente della Simey, Società Italiana della Medicina di Emergenza-Urgenza, ha spiegato che “la carenza d’organico riguarda indistintamente le strutture di tutta Italia. Già oggi nei Pronto soccorso mancano 2.000 medici: andando avanti a questo ritmo nel 2025 si rischia di non poter più accogliere i pazienti e di avere pronto soccorso deserti”. I medici ci sarebbero pure, ma finiscono per essere pagati meno degli altri per fare un servizio estremamente stressante: un medico di Pronto soccorso arriva a fare fino a 300 ore al mese (quasi il doppio di un qualsiasi altro lavoratore che lavora 40 ore la settimana).
Pronto soccorso deserti non per mancanza di malati, ma per mancanza di medici. E cosa fa il Governo di fronte a questo disastro incombente? Ha previsto tagli alla sanità per altri sei miliardi nei prossimi due anni. E sono vent’anni che continuano con i tagli alla sanità. Se anche si iniziasse ora a investire (in sostegni alle famiglie per aumentare la natalità e poi nelle scuole e nelle università per evitare la dispersione scolastica e per favorire l’istruzione e la specializzazione), probabilmente ne vedremo gli effetti tra vent’anni. Ormai è tardi per evitare il disastro. Domattina la Bce potrà stampare un fiume di denaro, ma non può creare dal nulla nuovi medici.
E questo perverso meccanismo non riguarda solo qualche settore, ma tutta l’economia. E l’economia globalizzata si sta bloccando. L’indice che misura il traffico delle merci internazionali è il Baltic Dry Index e il seguente grafico mostra con chiarezza cosa sta accadendo.
Il commercio mondiale si sta bloccando, perché trasportare non conviene più, dato il costo dei container andato alle stelle. I prezzi salgono e gli stipendi no, quindi la gente rimane a casa o cerca un lavoro diverso e l’economia studiata a tavolino rimane spiazzata.
Capite perché il mio non è pessimismo ma solo sano realismo? Certo, prima o poi le cose andranno meglio, su questo ci metto la mano sul fuoco. Il rischio concreto però è che prima di andare meglio le cose andranno molto, ma molto peggio.
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