Qual è l’evento di credito in agguato, a fronte di un Vix, l’indicatore della volatilità di mercato, il cosiddetto indice della paura, che venerdì ha aggiornato i nuovi minimi a 4 anni, come mostra il grafico?

Dove si nasconde? In una selva di swaps, forse? Le correlazioni storiche non sono la Bibbia. Sono dei riferimenti. Per settare i valori di VaR cui fanno riferimento gli assets iscritti a bilancio, si utilizzano gli andamenti storici, applicando variazioni che si ritengono precauzionali (o meno) rispetto al sentiment di mercato attuale. Ma anche futuro.



Certo, poi subentra l’azzardo. E allora, ad esempio, se si tratta di mutui, il leverage diventa come la bottiglia per l’alcolizzato. E ti ritrovi senza sapere come nel 2007. E oggi?

Oggi il problema è amplificato. E terribilmente strutturale. Perché interi modelli di VaR sono settati su un’unica variabile, la cui natura con il passare dei trimestri è mutata in certezza: la liquidità a pioggia e a costo zero delle Banche centrali. Chiunque può finanziarsi e rifinanziarsi. Chiunque.



Ecco allora che il reverse repo della Fed venerdì cala a 865,9 miliardi, 66 miliardi in meno dall’asta precedente. Solo il 30 dicembre del 2022, il suo utilizzo fu di 2,554 trilioni.

Perché questo è importante? Ovviamente, perché quella liquidità in meno parcheggiata (e ben remunerata) overnight alla Fed di New York ci dice come il mercato cominci a temere proprio un evento improvviso che rende necessaria disponibilità immediata per coprire posizioni di controparte o collaterale. Ma c’è di più. E ce lo mostra quest’altro grafico.

La scorsa settimana, la facility di finanziamento bancario della Fed – quella temporanea ed emergenziale, resa necessaria dal fallimento di Svb lo scorso marzo – ha visto aumentare nuovamente il controvalore del suo utilizzo. Nuovo record assoluto, oltre 114 miliardi. Alla settimana. Dopo che, esattamente come il reverse repo era rimasto sopra al trilione, per mesi non ci si era scollati dai 109 miliardi. Di fatto, il costo ormai fisso per i contribuenti del mantenimento in vita del sistema bancario regionale Usa. Tolto il quale, rischia di saltare il banco. Bene, ora quei 109 miliardi non bastano più.



Certo, si va verso fine anno. Ma se il trend al rialzo diverrà a sua volta strutturale, ecco che ci troveremo a fare i conti con un’altra realtà. Esattamente come la facility di reverse repo ha silenziosamente perso col tempo il suo carattere di temporaneità, il Btfp non potrà cessare di esistere l’11 marzo del 2024. Garantito. Perché se già da settimane quella facility rappresentava l’unica ragione che evitava al sistema bancario regionale di implodere, ecco che un suo eventuale trend di continua e ulteriore crescita nell’utilizzo invece che di inizio di roll-over rischia di gridare davvero al mercato come il Re sia nudo.

E quest’altro grafico ci mostra come, al netto di una smart money che sta vendendo silenziosamente il rally in atto e retail trading che lo sta comprando (come nel 2021), il cosiddetto mercato appaia in palese fase di guardia abbassata, Solo cieli azzurri all’orizzonte, placidi laghi alpini. Nessuno porta con sé l’ombrello. Nessuno compra protezione downside, perché nessuno teme sell-off. Un classico. Come Casablanca. O Titanic.

Se volete conoscere il prosieguo, restate sintonizzati. Ma oggi come non mai, attenzione alle fonti a cui fate affidamento per informarmi. Attenti alla propaganda. Alle grancasse. E alle narrative che diventano realtà. Perché ci sono momenti in cui sarebbe giusto fermarsi. Se si ha una coscienza. E un minimo di deontologia. Per questo, eviterò di ragguagliarvi sugli sviluppi del presunto affaire Ubs scatenatosi fra siti e blog nel corso del weekend. Sappiate solo che la questione è impazzata. E sono volate stime catastrofistiche su immaginari swaps da trilioni su Amc Entertaiment in scadenza il 15 dicembre. Balle. Chiuso l’argomento.

Resta però un’intervista del Ceo di Ubs. Nella quale il manager del gruppo svizzero, divenuto terzo al mondo nel wealth management dopo l’acquisizione di Credit Suisse, salta fuori dal nulla – come un Crosetto qualunque in vena di scoop golpistici – rendendo noto che, in caso di più che improbabile crisi della sua banca, sarebbe preferibile essere salvati da un gruppo privato che dalla Stato. Quantomeno irrituale, non pensate? E che impone quindi di porsi e porre una domanda: è più grave che circolino notizie più o meno impazzite o che il new normal di mercato le renda magari non vere ma almeno verosimili per quasi 48 ore e dopo minacce di denunce da parte di Ubs per un falso avviso di blocco dei depositi creato con l’AI? D’altronde, Lehman Brothers era sanissima solo a luglio 2008. E proprio Credit Suisse millantava solidità a una settimana dal weekend del suo default. La stessa Ubs ha dovuto decidere il da farsi con le autorità elvetiche in quattro giorni. Una due diligence a prova di bomba in quelle condizioni è difficile. E quando devi districarti in una foresta di derivati, quasi impossibile. Poi quell’intervista del Ceo, oggettivamente sibillina. E ora?

Venerdì il Vix ha toccato il minimo da quattro anni e tutti viaggiano senza casco e cintura di sicurezza contro eventuali crash. Il Nirvana. Quindi, benvenuti nella danger zone. Non a caso, sabato Il Sole 24 Ore apriva la sua edizione annunciando Borse mondiali a un passo dai massimi record. Con il mondo ormai in recessione. E la Cina che, casualmente, si trova a fare i conti con un’ennesima epidemia influenzale misteriosa. Tutt’intorno, caos bellico accessorio. E pronto a ogni evenienza. Stretto di Hormuz chiuso in testa. Ipotesi quest’ultima che, se unita al possibile lockdown cinese, accelererebbe la recessione globale in maniera impressionante.

Guardate quest’altro grafico: le opzioni put sul petrolio hanno appena infranto il nuovo record, tutti scommettono sul crollo del prezzo del greggio.

Recessione? Fallimento del ricatto Opec alla riunione di dopodomani? Cosa schiaccerà al ribasso il prezzo del barile, mentre gli Usa comprano per riempire le riserve? Contestualmente, da inizio ottobre si registra uno tsunami di dimissioni di Ceo e Cfo. E in Europa? L’Italia ha presentato una Manovra con 16 miliardi su 24 in deficit. E l’Ue l’ha, di fatto, promossa. Bundesbank muta. Poi l’Italia ha presentato un nuovo piano per il Pnrr. E l’Europa l’ha approvato. Aumentando gli stanziamenti. E la Bundesbank muta. Poi, la Bundesbank ha parlato. Annunciando rischi di insolvenza su assets sopravvalutati per banche, casse di risparmio e assicurazioni tedesche.

Unite i puntini? Serve forse il sì italiano al Mes per salvare il sistema creditizio tedesco? Qualcosa sta per succedere. Questa è l’unica certezza.

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