Difficile trovare una fonte più ufficiale. Stando a dati appena pubblicati dalla Fdic statunitense, il numero delle delinquencies bancarie vola. E a farla da padrone questa volta non sono banche regionali come quelle entrate nel tritacarne dopo il crash di Silicon Valley Bank.
La linea verde di questo grafico rappresenta istituti con assets superiori a 250 miliardi di dollari. Insomma, i cani grossi.
E non basta. Dopo l’ultimo aggiornamento della sua Problem Bank List, la medesima Fdic vede oggi 66 istituti di credito d’Oltreoceano a potenziale rischio di insolvenza. Come mai nessuno ne parla?
In realtà, non è proprio così. La Fed di New York, infatti, ha lanciato l’allarme attraverso un working paper nel quale ammette l’utilizzo di massa di una pratica antica come il mondo. Ma, apparentemente, sempre efficace. Cioè, le banche Usa stanno nascondendo il rischio potenziale legato al real estate semplicemente prolungando artificialmente la durata di quei prestiti. Ovvero, calciando la lattina in avanti. Ciò che aveva scadenza 2024 e si paleserebbe come perdita a bilancio da contabilizzare viene magicamente riclassificato con maturity 2026 o 2027. Materiale degno della disperazione più basica.
In compenso, particolarmente interessante si dimostra una teoria alternativa al riguardo. Ovvero, il dito puntato da alcuni verso la tipologia particolare di assets che starebbe generando questo mal di pancia sempre meno occultabile. MCA. Cartolarizzati. Ovvero, Merchant Cash Advance. Un tipo di business loan che prevede un singolo pagamento effettuato in un determinato momento, piuttosto che un numero di ratei più piccoli e frequenti. E in questo caso, venduto come A/R asset. Ovvero, denaro ancora da ricevere in cambio di prestazioni o servizi già erogati a un cliente. Insomma, cash contabilizzato ma non in realtà incassato. Un tempo c’era il pagherò, ora il riceverò. E poi, una volta messo sul tavolo questo insieme eterogeneo di ingredienti, cosa otteniamo? Una bella metà dell’insieme di paccottiglia in sofferenza farebbe capo sotto forma di prestito a insospettabili entità legate a siti di e-commerce. Che verrebbero venduti alle banche non appena generati. Proprio come asset da taglio da mischiare con debito su carte di credito con vari livelli di rating. Un’enorme salsiccia finanziaria.
Ring any bells?, vi ricorda qualcosa che non andò a finire particolarmente bene? Parafrasando Il ragazzo della via Gluck, là dove c’erano mutui immobiliari, oggi c’è il credito al consumo. Perché una volta impacchettati, ecco che le Big Four si prestano all’atto di trasformazione finale: il baco diventa CDO. E attenzione, in quanto contabilizzato come asset e non liability, apparentemente il bilancio appare pulito come Mira l’Olandesina dello spot del sapone da bucato. Ma quando uno sa dove guardare, all’atto di presentazione del bilancio trimestrale, ecco che le credit losses saltano fuori. Capito perché oggi le unrealized losses su cui siede il sistema bancario statunitense sono 7 volte quelle presenti prima dello scoppio del caso Lehman Brothers, qualcosa come 515 miliardi di dollari?
Insomma, siamo nuovamente nel 2007 senza essercene accorti e con qualche trilione di indebitamento in più? Oltretutto, a fronte di una Fed che ha tagliato i tassi di 50 punti base in un colpo solo, ma che si ritrova oggi con il Treasury decennale (il termometro benchmark dell’intero Sistema) che ha sfondato nuovamente e ampiamente non solo 4% di rendimento ma anche il trend di resistenza. Sarà per questo che Warren Buffett ha deciso di scaricare la sua detenzione di Bank of America?
Una cosa è certa. Il Btfp, il Fondo salva-banche, non ha mai smesso di funzionare. Altro che Discount Window ampliata nella platea di soggetti accreditati. Apparentemente, ora potrebbe però non essere più sufficiente. Guardate questo grafico, il quale ci mostra plasticamente i livelli di utilizzo di tutte le facilities di sostegno bancario e creditizio statunitensi nell’arco temporale dal gennaio 2019 al luglio di quest’anno.
Il Btfp doveva essere chiuso lo scorso marzo. Invece, due voci la fanno da padrone nel mantenere artificialmente solvibile l’enorme schema Ponzi che regge il gioco dei bilanci: il Fondo salva-banche, appunto, e una fantomatica voce che risponde a Other Credit Extensions. Senza contare il reverse repo che sta raggiungendo a larghe falcate la quota di 200 miliardi di utilizzo. A quel punto, scatta l’allarme rosso sulle riserve. Un qualcosa che potrebbe rendere il gioco del dèjà vu ancora più interessante, poiché dopo il 2007 potremmo rivedere un redux anche della crisi repo del settembre 2019.
Solo nella giornata di ieri e in virtù di un debito ormai insostenibile in controvalore e trend di crescita, il Tesoro Usa ha emesso Bills a quattro settimane per 95 miliardi di dollari. E basta dare un’occhiata al calendario delle emissioni da qui al 31 dicembre per capire che le banche dovranno utilizzare le loro risorse per sostenere il Leviatano federale e non per operare arbitraggio risk-free alla Fed di New York attraverso i depositi overnight.
Insomma, pare davvero che sia arrivato il ciclico momento in cui si debba scegliere fra botte piena e moglie ubriaca. Capito perché i discorsi attorno a un nuovo sistema finanziario che giungono dal vertice di Brics di Kazan andrebbero presi molto seriamente? Quantomeno, altrettanto seriamente di quanto stia accadendo in seno al Deep State.
L’attacco all’azienda aerospaziale turca in straordinaria contemporaneità con l’arrivo di Recep Erdogan in Russia e il colloquio di Antony Blinken con Mohamed bin Salman a Ryad parla sufficientemente chiaro. Sapete come si chiama il sobborgo di Ankara in cui ha sede la Tusas? Kazan. C’è della poesia nella destabilizzazione. O, quantomeno, una certa classe. Non ne convenite?
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