Avete notato come nessuno più si tagli le ciocche dei capelli in solidarietà con le proteste in Iran? E come, soprattutto, di colpo queste siano scomparse dai media che per giorni le avevano coperte con enorme trasporto? Forse sono cessate? O forse il fatto che Teheran si sia bellamente disinteressata del rischio insito nell’invio dei droni kamikaze alle Russia in un clima di condanna internazionale simile, ha fatto perdere a quella ennesima campagna per i diritti civili la sua ragion d’essere? Anche perché quei droni stanno cambiando il volto della guerra: combinati a missili a medio raggio stanno martellando da giorni le infrastrutture strategiche ucraine, tanto che 1,5 milioni di persone sono senza luce e le autorità di Kiev hanno cominciato i razionamenti. E non basta. Dal 17 ottobre, la Guardia rivoluzionaria iraniana sta tenendo la più grande esercitazione militare di sempre nella regione di Aras, al confine con l’Azerbajian, denominata Mighty Iran. E se la stessa Teheran non ha escluso un monito preventivo verso Baku rispetto alle minacce indirizzate all’Armenia come motivazione per queste manovre, la realtà è diversa. E ben più seria.
Dopo l’incontro fra Raisi e Aliyev ad Astana, un portavoce del Presidente iraniano ha reso noto che l’Iran non accetta alcuna presenza militare europea nell’area, qualsiasi sia la copertura o il mandato sotto cui si presenta. Riferimento alla missione di monitoraggio cominciata la scorsa settimana in Armenia da parte di una modesta delegazione di 40 persone con un mandato di due mesi. Ma l’Osce ha rincarato la dose, avvisando dell’arrivo di una nuova delegazione tra il 21 e il 27 ottobre. Assessment mission, missione di valutazione. Ma Raisi è stato chiaro: nessuna interferenza lungo tratta storica di transito fra Iran e Armenia. E il benvenuto di Teheran agli osservatori europei è stato di quelli che non necessitano biglietti di accompagnamento. Quantomeno, se uno è intelligente e sveglio.
Stiamo giocando con il fuoco. A livello globale. E sempre più ad ampio spettro. Non a caso, domenica il ministro delle Difesa russo, Serghei Shoigu, ha avuto colloqui con i suoi omologhi statunitense, britannico, francese e turco per metterli in guardia dall’intenzione ucraina, vista la mala parata, di dar vita a un’operazione di false flag con una bomba sporca nell’area di Kherson, al fine di costringere i Paesi Nato a un intervento diretto contro la Russia. Ovviamente, le controparti hanno bollato la messa in guardia come provocazioni e falsità. Ma da Parigi è giunto anche altro. Ovvero, un allarme rispetto al fatto che la crisi stia spingendosi verso un’escalation incontrollabile. Contemporaneamente, da Roma dove era ospite della Comunità di Sant’Egidio, Emmanuel Macron dichiarava che la pace è possibile ma dipende da una decisione in merito degli ucraini. Nel frattempo, la 101ma Divisione dell’esercito Usa è pronta a intervenire dalla Romania, dove si trova a ridosso del confine ucraino a seguito della sua preoccupante dislocazione decisa da Washington. Si tratta della prima volta dalla Seconda guerra mondiale. Siamo pronti a difendere ogni singolo pollice del suolo Nato, ha dichiarato alla CBS il generale di brigata, John Lubas. E il corrispondente embedded dell’emittente Usa, Charlie D’Agata, nel suo servizio ha sottolineato come le Screaming Eagles siano totalmente pronte ed equipaggiate per varcare il confine ed entrare in territorio ucraino in qualsiasi momento.
Questo per farvi capire cosa ci stia accadendo attorno. Tutto emerso plasticamente nelle ultime 48 ore. Durante le quali abbiamo sentito parlare diffusamente e quasi unicamente del cambio di scarpe di Giorgia Meloni o di come Mario Draghi sappia lasciare la scena con classe. Tutt’intorno, un clima di corsa nei rifugi. Con un attore in più sulla scena, l’Iran. Pronto a qualsiasi ipotesi per difendere e riaffermare la sua presenza su quella che è storicamente la Heartland, la terra di mezzo fra Europa e Asia che nessuna talassocrazia può conquistare. E uno Xi Jinping in versione maoista e con il Politburo normalizzato dopo una vera e propria notte dei lunghi coltelli che ha visto estromesso persino il Governatore della Banca centrale.
La cosa grave è quando allo Sviluppo economico decidi di mettere l’ex capo del Copasir, ovvero non un tecnico della materia ma un commissario politico con un unico mandato: bloccare qualsiasi collaborazione con la Cina che possa promanare dal memorandum firmato dal governo Conte 1. Su mandato Nato. Il tutto mentre la Germania sta pensando di vendere alla cinese e controllata statale Cosco Shipping addirittura il terminal portuale di Amburgo. E, soprattutto, alla viglia del viaggio che Olaf Scholz farà in Cina il mese prossimo, primo leader straniero a recarsi in visita ufficiale dallo scoppio della pandemia. Insieme a lui, una delegazione oceanica e di profilo craxiano dell’intero gotha dell’industria tedesca. Amministratore delegato di Volkswagen in testa.
I sovranisti stanno altrove, insomma. Stanno a Berlino oppure a Parigi, dove risiede un Presidente che nella conferenza stampa post-Consiglio Ue ha attaccato il doppio standard utilizzato dagli Usa verso gli alleati, sia a livello energetico che commerciale. Qui siamo alla normalizzazione atlantista assoluta, una provincia dell’Impero che obbedisce a menadito. Roba da far impallidire un monocolore DC degli anni di piombo, altro che il pericolo degli amici di Putin che vanno al potere. Stando a quanto riportato da La Repubblica, infatti, Giorgia Meloni avrebbe promesso la marcia su Gazprom.
Anche in questo caso, la lezione offerta dallo Spoon River di leader occidentali caduti in disgrazia dopo l’incauto Assad must go non è servita a nulla. Ma la cosa davvero pericolosa è questa: nella prima intervista da ministro della Difesa, ecco che Guido Crosetto evoca la destabilizzazione russa delle piazze.
Insomma, se per caso i cittadini o le imprese a cui staccano luce e gas dalla sera alla mattina protesteranno, ecco pronta la criminalizzazione politica e anti-atlantica: sono burattini manovrati da Putin. Peggio: Le piazze arrabbiate non fanno male ai governi. Ma alle nazioni. Pericoloso. Pericolosissimo come esordio e come impostazione preventiva. Soprattutto perché non ho mai fatto mistero della stima che avevo per Guido Crosetto, di cui vi invito a leggere i tweets dei mesi scorsi sulla guerra. E poi a leggere questa intervista a dir poco distopica. Ho scritto avevo stima. E lo confermo. Avevo. Perché quando sei stato senior advisor di Leonardo, presidente di Orizzonte Sistemi Navali – società statale del settore delle navi da guerra – e al vertice dell’Aiad, la Federazione confindustriale delle aziende italiane dell’aerospazio e della difesa, il problema non è dimettersi dalle cariche private per fare il ministro in assenza di conflitto di interessi. Il problema è proprio accettare di fare il ministro. Perché diventi automaticamente il titolare del dicastero del warfare e non della Difesa. E anche l’ordine pubblico interno – quello turbato dalle piazze arrabbiate – genera domanda per il settore. Soprattutto in un contesto globale simile.
Se il mondo sta scherzando con il fuoco, le prime mosse di questo Governo in politica estera equivalgono al lancio di cerini accanto a una pompa di benzina. E ricordiamoci che anche gli afghani erano certi che gli Usa non gli avrebbero mai fatto mancare la loro protezione.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.