Per l’establishment, il doppio turno alla francese equivale a un derby per Simone Inzaghi. Vittoria garantita. Ed Emmanuel Macron sapeva benissimo che l’ennesima accozzaglia antifascista avrebbe perfettamente risposto alle sue esigenze. Che, credetemi, certo non collimavano con l’urgenza di fermare una potenziale Vichy 2.0. Ciò che serviva era l’utile idiota di sinistra che gestisse la macelleria sociale resa necessaria da due anni di spesa e indebitamento folle post-Covid. E sostanziatisi pochi giorni fa in una procedura d’infrazione Ue. 



Tradotto, Jean-Luc Mélenchon è l’uomo giusto per imporre lacrime e sangue ai francesi. Quando poi nemmeno il rito laico dell’antifascismo sarà più sufficiente a placare la rabbia, allora nasceranno i Gilet di qualche colore da attribuire alla destabilizzazione russa. E si tornerà alle urne. O si darà vita a un rimpastone centrista di governo, rigidamente precluso alle ali estreme. E l’inquilino dell’Eliseo tornerà in scena con l’allure di una verginella, la Giovanna d’Arco che salva la Republique dagli amici del Cremlino e Hamas. Perché Jean-Luc Mélenchon tale è, tanto per parlare chiaro. Ma non ditelo a quelli di Pd e La Repubblica.



Ora, parliamo di cose serie. Ovvero, parliamo di questo.

Questo grafico è il grafico. Perché mostra il livello di diritti acquisiti pensionistici non finanziati dell’Eurozona e dell’Efta. Tradotto, quanto sia alto l’Everest previdenziale europeo senza copertura. Le aree blu rappresentano invece i piani pensionistici privati o con copertura garantita. Per alcuni Paesi europei, Italia e Francia in testa, quell’ammontare a babbo morto equivale a una forbice che varia dal 300% al 500% rispetto al Pil. Capite da soli che di fronte a un default in attesa di compiersi come questo, deficit al 7% rappresentino barzellette. Infatti, può tranquillamente gestirli in un professionista del settore come Jean-Luc Mélenchon. E per il resto, come si fa? Una colossale Fornero. Ecco cosa ci attende.



Davvero credevate che i vari cicli di Qe, il Whatever it takes di Mister Euro, fossero serviti a tamponare emergenzialmente e temporaneamente situazioni contingenti di crisi, come quella del debito del 2011 o la pandemia? No. Il Qe serve ad evitare che questo colossale paradosso esploda. E l’immigrazione di massa, quella plasticamente rappresentata dalla folla festante in Place de la Republique con bandiere algerine e palestinesi a festeggiare la vittoria del Fronte Popolare, a cosa serve, se non garantire un’aura di sostenibilità a quel moloch demografico? E i continui richiami alla denatalità, a cosa servono? Signori, tolta qualche eccezione nordeuropea, il sistema di welfare universalistico europeo è un colossale schema Ponzi che attende solo la prima tessera del domino a cadere. Poi sarà tutto conseguente. Automatico. E inarrestabile. Piaccia o non piaccia, la crisi del 2011 è stata generata a tavolino semplicemente per rimandare il redde rationem dell’Inps, il quale sarebbe a sua volta divenuto detonatore per l’intero Continente. O quasi.

D’altronde, parlano i fatti. Quale è stato il provvedimento-bandiera del Governo Monti? La Legge Fornero. Immediata. Bagnata da lacrime in favore di telecamera. E fatta passare fra mille distinguo e duemila mal di pancia a colpi di rischiamo il default. Quando Jean-Luc Mélenchon e soci avranno generato sufficientemente danni, la stessa dinamica riporterà la Francia alle urne. Garantito. Ora però guardate queste due immagini, le quali ci mostrano quale sia la situazione della produzione industriale della Germania come fotografata dall’ultima lettura, fresca di pubblicazione solo venerdì scorso.

Dopo un primo, timido segnale di ripresa, a maggio il dato è tornato a calare. Si parla di -2,5% su base mensile a fronte di un +0,1% del mese precedente e attese per un +0,2%. Su base annua, addirittura -6,7% contro il precedente -3,66%. E attese per un -4,3%. E il secondo grafico ci mostra come, dal picco pre-crisi ucraina (2021), la produzione tedesca misurata attraverso l’indice di nuovi ordinativi segni -25%. Di fatto, l’Ue è solo il danno collaterale e sacrificabile della guerra Usa contro la Russia. E la Cina. E quando operi in certi modi, devi fare delle scelte. Nel 2011, la situazione era ancora calda dal fallimento Lehman e la Fed era agli inizi della grande manipolazione delle Banche centrali, quindi era sufficiente la piccola e gestibile Grecia per incorniciare l’intero piano di primo reset da austerity sociale. Oggi invece la stamperia globale sta terminando le munizioni nel suo arsenale. Quindi occorre mettere nel mirino gli elefanti. Francia e Italia. E la Germania lo sa. Non a caso, in sede Ue ha cominciato a cautelarsi da nuove iniziative di condivisione del debito e indebitamento monetaristico via Bce. Come vi ho raccontato diffusamente la scorsa settimana. Ora tocca entrare nel vivo. E il caos politico francese ne è la riprova.

E l’Italia? Vi dice niente il fatto che in un caldo venerdì di luglio (lo scorso) e debitamente dopo il voto per le Europee, l’Eurostat abbia dichiarato i crediti 2024 del Superbonus come non pagabili? Insomma, l’istituto europeo di statistica ritiene che i crediti maturati dopo l’adozione della riforma convertita in legge a maggio, debbano essere registrati nei conti pubblici come credito d’imposta non pagabile nel 2024. Dal 2020 al 2023, invece, classificazione come credito di imposta dovuto. Di fatto, l’Europa ha garantito al Mef il massimo cui poteva aspirare: spalmare l’impatto del Superbonus sull’indebitamento relativo al 2024 sugli anni successivi. E in quale finestra di disperata corsa contro il tempo va a inserirsi questa mossa? Quella che nel corso dell’incontro organizzato dall’Anci, sempre venerdì scorso, ha visto la presentazione dei dati dell’Ispettorato generale per il Pnrr del Mef. E in base ai quali, la spesa legata al Piano nazionale di ripresa e resilienza sia ferma a 49,5 miliardi. Solo 3,9 miliardi in più rispetto alla fine 2023. E non basta. Quasi 30 miliardi sono legati ai crediti di imposta automatici per i bonus edilizi e gli incentivi alle imprese. Ops, cortocircuito da mega-manovra correttiva all’orizzonte? Gli investimenti pubblici veri e propri, insomma, restano inchiodati a quota 20 miliardi.

Signori, è game over.

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