Ecco spiegata la fretta di José Garcia Cantera nel rassicurare tutti sulla tenuta Oltreoceano del proprio istituto, quasi la fuga di depositi in Spagna fosse una criticità di poco conto: si teme il contagio, alla faccia della crisi bancaria risolta. Nulla è risolto. Finora è stato solo tamponato, prima utilizzando una spugna di dimensioni mastodontiche e poi avendo cura di controllare che la perdita rimanesse entro ambiti gestibili. E non desse vita a infiltrazioni. Quei dati di Frb, però, parlano chiaro: è servito un diluvio di denaro immediato per evitare un epilogo stile Credit Suisse. Ovvero, 24 ore per decidere tra vita e morte. Quante altre Frb circolano a bilancio libero negli Usa, speranzose di arrivare sane e salve a sera, ma consce del rischio che corrono ogni mattina?
E quale livello di rischio stiamo fingendo di ignorare in Europa, presi come siamo a ritenere che i continui salvataggi come quello di marzo possano proseguire senza presentare un conto strutturale al sistema? Quanto tempo abbiamo prima che qualcosa vada fuori controllo, questa volta sotto forma di depositi in fuga e non nel sottobosco quasi massonico dei Level3 e delle esposizioni esotiche ad AT1? Giova ricordare che il 70% dei 2,5 trilioni di debito legato al comparto Cre statunitense fa capo a banche medio-piccole come Frb. E che di quella cifra da capogiro, 400 miliardi andranno a scadenza entro il 31 dicembre.
Terzo atto della tragedia. Nella giornata del 25 aprile, dopo il -23% delle contrattazioni after-hours, il titolo di First Republic Bank, proprio alla luce dei dati comunicati con la trimestrale e relativi agli outflows e conseguenti prestiti per non affondare nel primo trimestre, arrivava a perdere fino al 43%. La ragione? Semplice, la stessa che rischia di diventare improvviso leit motiv della crisi in gestazione in Europa e con epicentro dei nuvoloni sul nostro Paese, dopo che la Spagna avrà operato da detonatore: non esistono pasti gratis. Se non per i soliti noti, ovviamente. Ed ecco che Frb starebbe giocoforza valutando – il verbo utilizzato nel comunicato è molto più tranquillizzante e chic, exploring – il disinvestimento di qualcosa come un controvalore compreso fra 50 e 100 miliardi di dollari in securities a lungo termine e mutui come parte di un piano di salvataggio più ampio. Tradotto, i 100 miliardi ottenuti da Fed, Fhlb e JP Morgan e che hanno evitato una seconda Svb vanno ripagati. Come? Una bella fire sale in stile Lehman Brothers per ridurre il mismatch fra assets in detenzione e liabilities.
Detto fatto, i potenziali compratori, fra cui ovviamente le grandi banche che ancora si rotolano sulle riserve in eccesso come fossero materassi ad acqua, potrebbero ricevere warrants o titoli privilegiati come incentivo per acquistare assets al di sopra del loro valore di mercato. Insomma, la crisi bancaria è talmente risolta da essersi tramutata in un suk. Perché alla luce di quanto emerso finora (e non smentito), Frb oggi venderebbe addirittura 173 miliardi di prestiti alla pari, ripagherebbe la Fed e otterrebbe di fatto la copertura di garanzia su tutti i depositi. Tradotto? Un acquirente che abbia un bilancio al minimo sindacale di accettabilità, se ne frega degli incentivi: raccatta tutto, attendendo che l’acqua arrivi alla gola e rivenderà i prestiti re-backed al prossimo boom del mercato immobiliare.
Questo non è capitalismo, né libero mercato. Questa è la conferma di un sistema che ormai non conosce più alcun tipo di fair value o price discovery: è tutto e soltanto manipolazione da denaro con il ciclostile. Quando le Banche centrali devono giocoforza mettersi in pausa, ci si gode la partita di giro generata proprio dagli eccessi di liquidità sedimentati. E questo grafico ci conferma il quadro: assicurarsi sul default del debito statunitense oggi costa più che durante la crisi del 2008. Per l’esattezza, servono 9.600 dollari all’anno per assicurare 1 milione di dollari in Treasuries.
Cosa sta succedendo? Semplicemente, l’America sta cominciando a porsi di fronte al grande conundrum dei nostri tempi: puntellare l’economia o salvare lo status del Treasury? Non è un caso che questa crisi bancaria sia arrivata ora, a metà strada fra un Qt del bilancio Fed e il debt ceiling del Tesoro: occorre generare grande confusione, se si vuole ottenere un po’ di chiarezza. Ma la confusione è come una rissa: può essere sedata, finire in fretta, portare finalmente a una tregua. Ma qualcuno il naso rotto se lo ritroverà sicuramente. E c’è da sperare che sia solo il naso. Indovinate chi è il principale indiziato per un maxillo-facciale dello spread?
Ecco cosa è accaduto più o meno sotto al pelo dell’acqua del mercato fra il 24 e il 25 aprile, mentre eravamo impegnati a scannarci sul ruolo di Claretta Petacci. La crisi bancaria di marzo non era stata risolta? Il mercato azionario non sta festeggiando da cinque settimane con un rally insperato? La realtà è questa. Chi mi legge, lo sapeva già. Gli altri, adesso, fingeranno di averla tenuta nascosta solo per non rovinarvi l’arrivo della primavera. Ma in realtà, l’hanno presa in faccia come un tir che non rispetta lo stop. Perché una cosa è parlare di economia e finanza, un’altra invece è lisciare il pelo alla politica e ai suoi riti che necessitano bugie e omissioni.
(2- fine)
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