Altro giorno, altro bagno di sangue dei rendimenti obbligazionari. Martedì, nel giorno del suo atteso board, la Banca centrale australiana ha visto il trentennale prezzare un rendimento ai massimi del 2007. E dopo il report Jolts, ecco che il Treasury decennale Usa è volato a 4,739%, mentre quello a 30 anni ha aggiornato i massimi anch’esso dal 2007, un sobrio 4,856%.



Profondo rosso. Aggravato dalla dinamica rappresentata nel grafico: su base storica, impennate simili nei rendimenti obbligazionari terminano sempre con una crisi finanziaria. Attenzione, crisi finanziaria. Non recessione.

Ogni crash, un nome. Ogni nome, un detonatore. Quale sarà il prossimo? Chi passerà alla storia come il responsabile del tonfo ciclico?



Ora date un’occhiata a quest’altro grafico. E se fosse China crisis? Ma non determinata dal rallentamento della crescita o dallo jo-jo del comparto immobiliare. Ovvero, una crisi non della Cina. Bensì generata da Pechino come arma finanziaria globale.

Mentre tutti erano occupati a contare le incursioni di caccia del Dragone nello spazio aereo di Taiwan, la Pboc vendeva debito Usa. Con il badile. Circa 300 miliardi di controvalore dal 2021 a oggi, di cui 40 solo da aprile scorso. Insomma, Pechino ha tramutato il proprio rallentamento economico e la conseguente minore disponibilità/volontà di usare dollari per comprare Treasury con una scelta strategica di deleverage dal debito “nemico”. Perfettamente sincronizzata con l’aumento a dismisura delle emissioni del Treasury statunitense. E se la Cina volesse inviare il seguente messaggio all’Occidente dopato da Qe: i tassi alti sono la nuova normalità, dite addio al denaro a costo zero. D’altronde, l’Occidente ha messo Pechino ai margini di Wto e consessi monetari internazionali per anni e anni proprio per la sua propensione a risolvere tutto con la stamperia della Banca centrale, la manipolazione dello yuan e con il debito. Xi Jinping ha deciso di utilizzare la Golden Week che si conclude nel fine settimana per dire al resto del mondo che il suo Re – formalmente liberale e liberista – è nudo (e anche un po’ comunista da free money, a voler essere molto chiari)?



Problema ulteriore, poi. Non solo la Cina sta vendendo Treasuries. Anche il Giappone. E l’Arabia Saudita. Insomma, la tempesta perfetta sembra decisamente stagliarsi all’orizzonte. Nel frattempo, l’Europa non trova di meglio da fare che stanziare altri 5 miliardi per le armi a Kiev. Pur ritrovandosi con una moneta unica in modalità Monopoli. E una Bce che sembra un ubriaco che si aggrappa ai lampioni per non cadere.

Pensate che troverete qualcosa di tutto questo sui giornali, nei siti o all’interno dei telegiornali della stampa autorevole? A occhio e croce saranno ancora troppo impegnati a ragguagliarvi sulle magnifiche sorti e progressive del Btp Valore giunto alla sua ultima giornata di emissione. Nel pieno di un tantrum dei rendimenti globali, praticamente una certificazione di azzardo che somiglia molto alla disperazione. Perché con 38,5 miliardi di deficit in tre anni, c’è poco da fare. E il problema principale è il silenzio tombale che ha segnato il via libera immediato da parte dell’Ue. Uno scostamento monstre verso cui Bruxelles non ha detto bah. Delle due, l’una. O l’Italia è davvero a un passo dall’avvitamento, quindi occorre evitare che l’elefante nella stanza dell’eurozona si imbizzarrisca come un cavallo ferito oppure le garanzie ottenute dall’Ue sono di quelle degne da far impallidire l’agenda Monti e quella Draghi messe insieme. Tertium non datur.

E c’è un motivo per cui Commissione e Bce appaiono silenti di fronte alle manovre da pachiderma in cristalleria del Mef con i conti pubblici. Perché ci sono spread e spread. Alcuni mostrano appeal mediatico. E politicamente strumentalizzabile. Altri, invece, restano placidi nel loro ambito di materia per addetti ai lavori. Salvo deflagrare. E diventare news, giocoforza. Ma trattandosi di aziende che tentano di rifinanziare il loro debito, forse sarebbe meglio prevenire. Soprattutto per le controparti.

HY-IG sembra la sigla di un modello di automobile. In realtà, è lo spread di rendimento tra bond high-yield e quelli investment grade. Oggi quello spread vede i bond junk pagare relativamente poco in differenziale sui loro colleghi più virtuosi: 270 punti base che rappresentano il livello pre-Covid.

C’è un problema, però: oggi abbiamo Fed Funds rate a oltre il doppio del 2019. Tradotto, insostenibilità. E bolla pronta a scoppiare. Cosa la mantiene ancora in stato di dilatazione controllata? Le poche emissioni di debito junk. Molte aziende con conti al limite della classificazione da zombie firms, infatti, devono ringraziare i loro consulenti finanziari. I quali, quasi certamente, hanno imposto rifinanziamenti quando i tassi erano a livello zero. O poco più. Vacche grasse pandemiche. Occorre quindi sperare in un nuovo Covid. O guerra. O Lehman. Perché per quanto si sia guadagnato tempo, se davvero i tassi resteranno “più alti, più a lungo”, appena il primo soggetto in apnea di finanziamenti metterà il naso fuori dalla porta e chiederà al mercato di farlo respirare, boom! E l’effetto domino, stante il leverage pubblico-privato mondiale nell’anno domini 2023, è garantito.

Fateci caso: emissioni di debito sovrano col badile, dai Treasuries Usa fertilizzati da mesi di Qt ai nostri variopinti Btp con cedola ormai giornaliera sotto forma di caffè pagato dal Mef. Ma nessun Lbo. E attenzione a guardare troppo il voluminoso dito statunitense, perché il rischio è quello di ignorare la Luna europea. Per quanto riguarda il Vecchio continente, la Bonanza di rifinanziamento comincerà nel 2025 e vivrà il suo picco nel 2026. Perché in tempi di cuccagna pandemica da tassi a zero si rifinanzia in massa. Ma a breve-medio termine. E stando a dati Bce, le aziende europee facenti capo a bond ad alto rendimento nella seconda metà di questa decade dovranno fare i conti con qualcosa come 430 miliardi di dollari di debito in scadenza.

Per ora, tutto bene. La gente si preoccupa di altro. Dei migranti, ad esempio. Proprio mentre il meteo sta per congelare il problema fino ad aprile, la classica vittoria elettorale di Pirro, a fronte di un disastro economico ormai pronto a tramutarsi in materia da commissariamento, più o meno palese. Il Circo Barnum del mercato è arrivato in città, lasciate entrare i clown! La politica, ormai, è ospite fisso.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI