E se la narrativa del soft landing servisse soltanto a nascondere la realtà del Minsky moment? Nessuno parla più di banche. Tutto risolto. Uno spavento e via di rally da sollievo. Ma i dati dicono altro. Prendiamo ad esempio l’acronimo più temuto da chi non ha smesso di mappare il mercato: H.4.1. Ovvero, il bilancio della Fed. In tutte le sue voci. Fino a oggi, interessavano soltanto due dinamiche: aumento e diminuzione degli assets in detenzione con riferimento a Qe e Qt.



Poco più che un esercizio di stile. Oggi, invece, sono altre le voci che devono destare attenzione. In primis, gli outflows. E nel report appena pubblicato abbiamo scoperto come la scorsa settimana i principali beneficiari della crisi bancaria, i Money Market Funds (Mmf), hanno patito una fuga di investimenti pari a 68 miliardi di dollari, il massimo dal luglio 2020 e, soprattutto, dopo 380 miliardi di inflows nelle 5 settimane precedenti. Buone notizie per le banche e i loro depositi, insomma.



Non esattamente. Per due motivi. Primo, questo è il periodo dell’anno in cui statutariamente si registrano outflows dai Mmf, poiché le corporations prelevano per pagare le tasse. Oggettivamente, il controvalore di quest’anno è più alto dei 41,6 miliardi dello scorso anno o dei 19,6 del 2021 o persino dei 42,3 del 2019, ma il netting da aggiustamento stagionale del dato pare di per sé sufficiente a ridimensionare gli entusiasmi per una normalizzazione a tempo di record. Secondo e più importante, ce lo mostra il grafico. In contemporanea con gli outflows dai Mmf, si è registrato un aumento dell’utilizzo delle facilities di finanziamento bancario della Fed. Nella fattispecie, 144 miliardi contro i 139 della settimana precedente.



Non solo un continuum enorme rispetto alla media pre-Svb di 4,5 miliardi, ma anche un segnale psicologico di dipendenza da liquidità scontata: appunto, lo stigma di un possibile Minsky Moment. In the making. Se non già in progress. La crisi bancaria non è finita. Di fatto, è solo sparita dai quotidiani e dai siti di notizie, poiché la Borsa ha deciso di innescare l’ennesimo rally da discesa in campo emergenziale delle Banche centrali. Saranno le prossime settimane a dirci qualcosa di più. Ad esempio, quanto i Mmf patiranno ancora di outflows reali e non riconducibili a scadenze fiscali. E, soprattutto, quanto le banche avranno ancora bisogno di Mamma Fed per poter navigare in acque relativamente tranquille.

Perché signori, giova ricordare come nel giorno del suo collasso Svb potesse contare sull’investment grade da parte di tutte le società di rating. Di più, il consensus degli analisti garantiva un price target medio al suo titolo di 243,79 dollari. Insomma, nessuno aveva visto gonfiarsi lo tsunami. O, forse, nessuno ha urlato in direzione della spiaggia. Se non quando l’onda era ormai arrivata sulla battigia con il suo carico di bank-run. Molto mediatiche. E perfette per garantire un alibi di forza maggiore alla Fed per mettere mano al bilancio. Alla faccia del Qt.

Ma cosa può andare storto, cosa può nuovamente operare da detonatore? Apparentemente, finora abbiamo assistito a scossoni classificabili come roba da poco. Ma quando un colosso come Brookfield fa default su un mutuo da 161,4 milioni di dollari, come accaduto tre giorni fa, qualche dubbio sulla reale tenuta del castello di carta Cre (Commercial Real Estate) dovrebbe sorgere. Non fosse altro perché quel mutuo fa riferimento a unità uso ufficio non in una sperduta località del Wyoming. Bensì a Washington DC. E se questo grafico mostra come il tracciamento della Kastle Systems, il gold-standard del livello di occupazione degli immobili, ci rimandi a una capitale che somiglia più a un capoluogo di provincia, occorre ricordare che se nei prossimi 5 anni le maturities di debito legate al Cre ammonteranno a 2,5 trilioni di dollari. Di cui 400 miliardi a scadenza da qui al 31 dicembre.

E stando a dati di JP Morgan, le banche locali negli Usa pesano per un terrificante 70% dell’outstanding di prestiti del comparto Cre, come mostra questo altro grafico.

Questo escludendo unità multifamiliari, terreni agricoli e prestiti legati a costruzioni. E se Brookfield ha già dato vita a uno special servicer che lavori a un accordo di pre-negoziato, ecco che poco fa dalla California è giunta la notizia che in soli 12 giorni sono andati esauriti i 300 milioni di dollari che lo Stato aveva a disposizione per il programma di sostegno agli acquirenti a basso reddito e noto come California Dream for All. Dal 7 aprile, la mancanza di fondi ha portato al blocco dello schema di finanziamento. In attesa di nuovo finanziamento statale o federale. Chi poteva prevederlo, d’altronde? La narrativa finora è sempre stata quella di un’America che avrebbe scollinato la crisi in scioltezza. Soft landing.

E tanto per offrire un quadro ancora più di insieme, la seconda immagine utilizzata come commento ci mostra come un altro proxy di recessione stia lampeggiando in assetto di pre-allarme rosso. Con il tasso medio sulle auto usate al massimo dal 2009, un sobrio 7,39%, ecco che US Auto Sales, il dealer della Georgia leader nel settore auto-subprime, ha temporaneamente chiuso dozzine di punti operativi nel Paese. Insomma, si può continuare – ovviamente – a utilizzare il servizio per i pagamenti delle rate, ma per ora la dealership è sospesa. Come dire, evitiamo di aggiungere criticità future a quelle presenti.

Il problema? Semplice. Per finanziarsi, storicamente US Auto Sales fa ricorso al mercato obbligazionario, impacchettando prestiti legati alle vendite di automobili con rating Fico da incubo ed emettendoli a tassi di sicuro interesse. L’ultimo bond da 233 milioni di dollari, però, è stato piazzato a giugno dell’anno scorso. Come spesso accade, il credito è canarino nella miniera di crisi sottostante ben prima delle equities. E ora? Il fatto che Capital One Financial Corporation abbia deciso di uscire del tutto dal business del prestito verso la dealership automotive forse offre qualche suggerimento al riguardo?

La recessione è certa. E il problema grave, al netto dei tassi e dell’inflazione, è che sarà differente da tutte quella vissute fino a oggi.

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