Cui prodest dall’immane pagliacciata che si sta consumando dinanzi alla Corte del tribunale di Manhattan? Da cosa si intende distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica attraverso la conventio ad excludendum del reale orchestrata con gran dispiego di grancassa mediatica per un processo che, comunque andrà a finire, muoverà i primi passi ufficiali solo a inizio del 2024?
Il grafico ci viene parzialmente incontro. Nel mondo del buy the dip strutturale da Banca centrale, nell’universo contrarian del rally ciclico da liquidità emergenziale, chi sarà così impavido da prendere al volo il coltello in caduta degli assets legati agli immobili uso ufficio?
Perché stavolta, un paio di variabili non da poco mettono in dubbio la strategia del comprare a poco ciò che scotta, sfruttando le paure altrui: Covid e AI. Il mondo del lavoro tonerà lo stesso, si lascerà alle spalle smart working, tagli salva-bilancio che evitano aumenti di capitale o emissioni a costi elevati e, soprattutto, l’ormai incipiente rivoluzione dell’intelligenza artificiale? Insomma, stavolta il sotto-indice che traccia l’andamento delle proprietà uso ufficio – con la sua traiettoria da kamikaze rispetto all’insieme degli indici REIT, solitamente in re-couple – potrebbe davvero tramutarsi in un canarino nella miniera. Meglio che la gente si immagini Donald Trump in ceppi e con il bugliolo ai piedi del letto nella cella di isolamento, mentre invece attenderà il giudizio a Mar-a-Lago con tutti i lussi. Perché spaventare la gente con il film dedicato allo slow-moving train wreck del commercial real estate? E non solo negli Usa.
A Londra, nonostante il FTSE 100 in delirio e la sterlina in spolvero, la domanda di lease like-for-like oggi ha segnato un -5% con tassi di vacancy nel centro cittadino all’8,6%. E a Francoforte, DekaBank ha deciso di abbandonare il grattacielo Trianon come proprie sede, lasciando i proprietari dell’immobile – i sudcoreani di Igis e Hana – con un bel debito da ristrutturare. Il tutto solo 5 anni dopo l’acquisizione. Esiste forse un problemino globale legato al commercial real estate, alle dinamiche del mercato del lavoro e agli addentellati finanziari del comparto, lo stesso che nel 2007-2008 diede il calcio d’inizio alla grande crisi permanente?
E tanto per non farci mancare un altro bel proxy di crisi reale, dopo un 2022 passato in fase discendente, il prezzo delle auto usate negli Stati Uniti è tornato a salire. Dai 218,2 dollari di media di gennaio, la scorsa settimana l’ultima rilevazione dell’indice Manheim per il settore ha segnato 238,6 dollari, stando al dato del 15 marzo e come mostra il grafico.
E si sa, quando motori e mattoni cominciano a dare noie, generalmente i guai veri sono pronti per suonare il campanello di casa. Il rischio, questa volta, è non accorgersi del fatto che siano già seduti in salotto. Con le scarpe sporche di fango poggiate sul tavolino. D’altronde, quando si è troppo occupati a seguire lo psicodramma giudiziario di Donald Trump o le mutazioni canine di Elon Musk, può accadere.
Già, perché siamo oltre al reale. Siamo nel romanzesco. E nelle straordinarie pagine in cui Georges Simenon descrive l’ipocrisia e la miseria umana della piccola borghesia rurale belga, emerge quasi sempre un filo conduttore di quel silente degrado: in società è buona regola non porre domande. Per non avere risposte. O, forse, perché già le si conosce. Appare quindi decisamente fuori luogo e retorico chiedersi perché – nell’arco di 10 giorni – il salvataggio di sistema di Eurovita sia passato da 250-300 milioni a 2 miliardi. Perché tale è la cifra che un consorzio di banche starebbe per mettere sul tavolo per coprire i riscatti da qui al 30 giugno.
Qualcosa non torna. Perché, potenzialmente, il quadro che ne deriva rende la fuga dalla terza classe del Titanic una corsa campestre. Ma si sa, troppe domande sono sconvenienti. Perché, uscendo per un attimo dall’orticello di casa, chiedersi ad esempio una ragione plausibile che giustifichi appunto l’ennesima pagliacciata di Elon Musk, quel sostituire l’uccellino blu di Twitter con il cane di Dogecoin, spedendo la criptovaluta alle stelle. O forse una ragione c’è. Ed è il segreto di Pulcinella che tutti continuano a voler mantenere: Elon Musk rappresenta nel mondo finanziario ciò che proprio Donald Trump ha incarnato in politica. Lo strumento di dissimulazione di massa del Sistema per auto-conservarsi. E auto-perpetuarsi. Come il tycoon, pluri-fallito e per tutta la vita dipendente da quelle banche e quella Wall Street che voleva far piangere, ha garantito al Sistema tempo e fiato per riorganizzarsi dopo il 2008, così Elon Musk ha sdoganato l’insider trading e la turbativa di mercato come evoluzione social del capitalismo 2.0. Il tutto condito da ambientalismo chic, balle spaziali e liberazione della libertà di parole e di opinione dalle censure di un sedicente regime. Dissimulazione allo stato puro.
Cosa pensate che farà la Fed al Comitato monetario di maggio, in caso Twitter dovesse dar vita a un altro paio di alzate di ingegno simile e con il rischio legato al greggio che si staglia già oggi all’orizzonte? Altri 50 punti base di aumento, ipotecando una mai così benedetta recessione? Meno male che al mondo esiste JP Morgan, la Nutella del realismo, il corrispettivo del macellaio di paese nei romanzi di Simenon. Rozzo, ignorante, arrogante, sguaiato. Ma l’unico senza debiti. E in grado di comprare tutto. Cash. Ma, soprattutto, l’unico che in punta di grettezza può permettersi il lusso ancora maggiore di dire le cose come stanno e chiamale con il proprio nome.
Ecco quindi che questo grafico ci mostra plasticamente come – entro metà di quest’anno – i colossali extra-risparmi su cui gli americani si sono seduti per interi trimestri di pandemia, saranno svaniti. Puff. Il tutto alla luce di condizioni finanziarie e creditizie che la Fed ha già infilato nel tunnel della contrazione. Plafond più bassi, mutui più cari, prestiti che richiedono organi interni come garanzia, piccole e medie imprese senza liquidità. E carte di credito/debito che esploderanno letteralmente, magari anticipate da allarmanti aumenti delle previsioni di charge off delle compagnie emittenti.
Ora, al netto di tutto questo, come interpretare il fatto che martedì proprio il numero uno di JP Morgan, Jamie Dimon, abbia gelato l’entusiasmo generale, sentenziando come la crisi delle banche non è finita? Poco elegante porre domande, quando tutto è così chiaro di fronte ai nostri occhi. Non vi pare?
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