Mentre al G7 i leader si preoccupano di tramutare l’Ucraina nella Svizzera post-sovietica e Joe Biden si lancia nell’imitazione del meme di John Travolta in Pulp fiction con Giorgia Meloni costretta al ruolo di badante, il mondo attorno a quell’eremo d’irrealtà continua a girare.
E lo fa in base a uno sgradevole colpo di coda dei sottostanti macro. Anzi, a dire il vero dei fondamentali. E l’Europa, in tal senso, è finalmente protagonista. Nemmeno a dirlo, in negativo.
Perché il senso stesso di questo articolo sta in questi due grafici, spietati nella loro chiarezza. E pubblicati i quali, potrei anche chiudere qui. Inutile persino commentare.
Il primo ci mostra il dato della produzione industriale dell’eurozona del mese di aprile su base annua e lo compara con il dato precedente e le attese del mercato. Come anticipato, ogni commento appare superfluo. Se non fosse che, in un contesto simile, l’Europa decida di entrare in modalità overdrive in quella che la Cina ha chiaramente definito una dichiarazione di guerra commerciale. Non a caso, la Germania ha tentato in tutti i modi di dissuadere i partner dal proseguire con la scelta di innalzare i dazi sulle auto elettriche del Dragone. Lungimirante o disperata? Poco importa, sicuramente la mossa di Berlino è rivelatrice. Perché con la Bce che gioca a rimpiattino con l’euro al solo scopo di permettere alla Fed di rimandare ogni suicida azzardo monetario a dopo il voto di novembre, un dato come questo deve mettere i brividi in vista dell’autunno. Siamo di fatto nel pieno di un processo terminale di de-industrializzazione e perdita totale di competitività.
E se ieri vi parlavo del paradossale allarme lanciato dalla stessa Bce riguardo il possibile downgrade dell’euro nella classifica delle valute di riserva globali, questa seconda secchiata di acqua gelata sembra spegnere ogni fuoco (fatuo) rispetto allo stato di salute dell’economia Ue. E attenzione, perché rispetto all’inverno, l’indice Zew tedesco cominciava a dare segnali di timida ripresa.
Cos’è accaduto, quindi, tra marzo e aprile? Semplice, Giappone e Ue hanno deciso di sacrificarsi per gli Usa. E, soprattutto, hanno scelto un approccio statunitense alle politiche statutarie di una Banca centrale. Non più stabilità dei prezzi e, di fatto, supervisione sul meccanismo di trasmissione del credito. Bensì, ruolo di bagnino dei mercati azionari. Appena la testa degli indici sta sotto il pelo dell’acqua qualche secondo più del dovuto, si interviene. L’economia reale? Il grafico parla chiaro. Chiarissimo, quantomeno per l’eurozona. Tagliare i tassi in quest’ottica e in seno a un percorso che, ex ante, la stessa Christine Lagarde ha immediatamente definito una tantum, a fronte di un costo del denaro destinato a rimanere su livelli record ancora a lungo, è unicamente controproducente. Serve solo alla Borsa per calciare in avanti il barattolo. Chi fa impresa, nemmeno se ne accorge. Anzi, paga lo scotto delle prezzature di mercato relative a questo bluff nemmeno mascherato. En plein air. Oltretutto nel pieno di un mezzo caos politico e in pieno andamento entropico da tutti contro tutti. Francia in testa. E si sa, quando Parigi si vede in pericolo, tendenzialmente non fa prigionieri.
Ora si aprirà la partita del Patto di stabilità. La quale verrà utilizzata come arsenale in cui rifornirsi in vista dello scontro finale. L’industria tedesca cosa chiederà alla Bundesbank? Nemmeno a dirlo, Olaf Scholz è talmente debole da non poter opporre nemmeno un no ai falchi. Emmanuel Macron, ormai, si gioca il tutto per tutto, conscio che alla fine ciò che conta davvero è arrivare ancora più o meno in sella all’appuntamento di novembre con le urne statunitensi. Dopodiché, si passerà all’incasso. O, quantomeno, si cercherà come un rabdomante le opportunità migliori fra le rovine di un’Europa economica che guarda al Dax e non al CapEx di Basf o Bayer.
Il secondo grafico, poi, è paradossalmente ancora più inquietante, poiché ci mostra l’esplosione dei costi per i noleggi delle imbarcazioni commerciali a livello globale. Siamo a 181% di aumento su base annua, stando al dato del 6 giugno, ultimo disponibile del tracciatore Wci. Pensate davvero che a fronte di un simile indicatore, l’inflazione avrà un trend al ribasso come incorporato nelle favole delle Banche centrali?
Certo, il rovescio della medaglia ci parla di un aumento che sottende attività di trasporto. Quindi, nessuno scenario recessivo. Ma resta il fatto che nessuno, quantomeno ufficialmente, aveva mai messo nemmeno in preventivo una contrazione dell’economia. Addirittura in America si parla di soft landing e la Bce e la Commissione Ue inorridiscono al solo pronunciare il termine recessione. Quindi, occorre restare focalizzati sul grande pivot cui ruota attorno tutta l’attività di politica monetaria: il contenimento dei prezzi. Davvero pensate che l’inflazione non avrà nulla a che fare con il trend rappresentato nel grafico? E poi, al netto di scenari di guerra ormai presenti in ogni parte del globo, quale evento geopolitico in progress può giustificare un pattern di prezzatura simile? Invasione di Taiwan e conseguente blocco delle rotte asiatiche? Offensiva in grande stile degli Houthi sui chokepoint del Mar Rosso? Gran colpo di scena nello scenario mediorientale con l’ingresso diretto dell’Iran?
Ecco signori, mentre tutto attorno a noi accade questo ed emergono spontanee queste domande, al G7 guardano i paracadutisti scendere dal cielo, tengono a bada Joe Biden in modalità infante che sfugge dal girello e ricoprono di denaro il proxy di ogni destabilizzazione macro degli equilibri sull’asse Ovest-Est. Devo commentare ulteriormente o vi siete fatti un’idea sufficientemente chiara del caos che si sta preparando a esplodere in vista dell’autunno e, casualmente, del voto per le presidenziali negli Usa?
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