La guerra in Yemen è iniziata nel 2014. Da allora si stima che siano morte almeno 20.000 persone. E quando dico persone intendo civili. Innocenti per antonomasia. Tra il 2015 e il 2021, l’aviazione saudita ha sostenuto almeno 10 raid aerei al giorno. Su mercati, campi profughi, banchetti di nozze, ospedali. Carestie ed epidemie hanno fatto il resto. Eco sui media? Zero. Nulla che stupisca. La verginità dell’indignazione è spesso ottenuta indulgendo in pratiche proibite.



Il problema è altro. Ovvero, cosa sta arrivando? A cosa dobbiamo prepararci? In Rete si leggono profezie apocalittiche legate a Wef di Davos in programma da oggi e a una nuova pandemia denominata X, già dipinta come il Fentanyl di tutti virus. Evitiamo di cadere nella trappola delle consorterie e delle logge, dei complotti e del reset messianico. Se vogliamo aver paura, basta dare un’occhiata a queste immagini.



 

 

Sono tutte prima pagine dei quotidiani nelle edicole ieri. Scaffali vuoti. Pnrr a rischio. E, soprattutto, l’Europa che in due settimane ha già piazzato il 6,5% di fabbisogno annuale del proprio debito sul mercato. Si corre a emettere, ora che il cielo è ancora rosa. Lo ripeto, cosa ci attende dietro l’angolo?

Che gli Houthi sarebbero diventati il nuovo Isis, Covid, Kim Jong-un e chi più vuole giocare al capro espiatorio, più ne metta, l’ho scritto in tempi non sospetti. Ma qui siamo già agli scaffali vuoti. Mentre la grande stampa, quella autoreferenziale del capitalismo di relazione, parla delle candidature alle Europee. Tema che appassiona solo chi teme di non avere un seggio. E i suoi parenti. Tira un’aria strana. Tira aria di smobilitazione. Chissà che il 25 gennaio, quando la Bce tornerà a riunirsi, qualcosa prenda forma. E qualche indizio decida di posizionarsi in modo da lasciar intravedere i contorni dell’immagine finale. Perché se negli Usa siamo all’equilibrismo monetario fra Btfp e reverse repo, in attesa dello showdown di marzo, qui siamo all’ordine sparso. Ben più pericoloso. Perché quando il numero uno dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, comincia a parlare di ritorno dell’inflazione, in caso la supply chain globale debba giocoforza circumnavigare l’Africa, si capisce che i timori non sono per gli scaffali vuoti o mezzi pieni ma di beni in aumento costante di prezzo. Il timore è per la polvere sotto il tappeto. Il timore è per quella corsa alle emissioni. Il timore è per quell’esplosione di AT1 che è seguita alla risoluzione felice del caso Credit Suisse. Se parte una correzione e i bond diventano equity, la palla di neve si tramuta in valanga in un attimo. E i problemi tornano a galla. Npl, crediti incagliati, crediti da Superbonus, Btp fuori dall’Isee fino a 50.000 euro senza ancora una norma ad hoc, Mps e sarchiapone del mitico terzo polo bancario. Magari, aumenti di capitale? Con una Bce in confusione totale. E le Europee a dettare l’agenda.



Cosa sta arrivando, cosa ci attende? Segnatevi la data del 19 gennaio. Forse, finalmente, a partire da quel giorno, si comincerà a capire qualcosa. Perché venerdì è l’expiration day delle opzioni per il mese in corso. E il grafico ci mostra come il gamma tilt sullo Standard&Poor’s 500 sia passato in negativo. A strapiombo. Come se qualcuno stesse preparandosi a un evento di credito. A major event.

Per gamma tilt, di fatto, si intende nulla più che una versione ponderata appunto al gamma del mercato della put/call ratio. Parlando come fossimo al bar, i Cta non solo si sono tramutati in net sellers di titoli, ma paiono intenzionati a non farsi trovare con la guardia abbassata dalla OpEx in arrivo.

Attenzione poi a questo secondo grafico e alla quantomeno irrituale e ipertrofica correlazione fra equities e bonds a partire dallo scorso agosto. Perché una volta che quella correlazione dovesse rompersi, stante rendimenti che comincino a scendere magari in un’anticipazione di recessione, i titoli azionari rischiano di vivere un pessimo quarto d’ora.

Gamma tilt? Insomma, cosa sta succedendo? Nulla più che una disperata opera di quotidiano bilanciamento degli squilibri, un’operazione di assestamento e messa in sicurezza temporanea in vista del big time del mese di marzo fra azzeramento del reverse repo, chiusura del Btfp, taglio dei tassi Usa e fine del Qt. Tutto in 31 giorni. Per allora, occorre sgonfiare le bolle più dilatate. E, soprattutto, posizionarsi. Continuare a ballare. Ma avvicinandosi sempre di più e a passo di danza sempre più spedito verso l’uscita di sicurezza. Senza dare nell’occhio. Perché chi spinge il maniglione antipanico è salvo. Chi gli sta dietro, forse. Ma le retrovie sono destinate a un effetto calca che, in un mondo di algoritmi, difficilmente lascerà tempo di reazione. Poi tutto si placherà in pochi giorni. Perché la Banche centrali non attendono altro. Forse, addirittura, stanno creandone i presupposti. Ma l’altare votivo richiede un sacrificio. Come accadde con Archegos. Come accadde con i fondi pensione Uk. Come accadde con Svb. Come accadde con Credit Suisse. Accidenti, quanti come accadde. Tre su quattro avvenuti nel 2023. Eppure, il mercato appare placido. Pessima aria, quando la quiete è troppa come in questi giorni. Una quiete parossistica. Che puzza di presagio.

Il gamma tilt che incombe sulla scadenza di venerdì? O forse siamo alla vigilia di una crisi dei fondi pensione americani, tanto per confermare le premesse di un 2024 intenzionato a non farsi mancare nulla? Il CalSTRS altro non è che il California State Teachers’ Retirement System, appunto il fondo pensione degli insegnanti della California. Il secondo del Paese per dimensione. E sul finire della scorsa settimana è emerso un documento relativo al cambio di politica interna, il quale – se approvato – renderebbe possibile ampliare il leverage sull’indebitamento fino al 10% del valore del portfolio. A sua volta, un moloch da 318 miliardi. La ragione che sottende la proposta? Operare on a temporary basis to fulfill cash flow needs in circumstances, when it is disadvantageous to sell assets.

Insomma, due considerazioni. Primo, il CalSTRS starebbe cercando 30 miliardi in liquidità. E intenderebbe operare a leva, al fine di evitare una svendita degli assets in detenzione per finanziare le necessità di cash flow. Secondo, il secondo fondo pensione Usa sta trasformandosi in hedge fund. E ora tocca trovare la modalità più indolore possibile per comunicarlo a chi versa i contributi, sperando solo in una vecchiaia serena. Il fatto che, stranamente, il CfO dopo la pubblicazione della notizia abbia annunciato le sue dimissioni, vi tranquillizza? Ma non basta. Perché già lo scorso aprile il fondo rese nota la volontà di programmare un write-down del valore del suo portfolio real estate da 52 miliardi, in ossequio a un approccio cautelativo rispetto al rapido aumento dei tassi. Il problema? Stando al Financial Times, il real estate pesa per circa 17% degli assets di CalSTRS. E dopo un decennio di returns a doppia cifra, ora rischia di tramutarsi in una fiaccola che ti rimane in mano. Bruciandoti fino al polso. Perché quando si parla di quelle cifre, stante il tasso di delinquences nel comparto Cre e il primo, eclatante default su Cmbs in cui è appena incorso Blackstone, trattasi di fiaccola. E non di cerino.

Ora, uniamo i puntini. Chi ha pagato e ancora sta pagando l’esposizione al settore del real estate commerciale? Le banche regionali Usa. Le stesse che dal marzo scorso sopravvivono solo grazie al Btfp, il fondo di sostegno della Fed che ha appena toccato i 148 miliardi settimanali di utilizzo e che, formalmente, chiuderà il prossimo 11 marzo. Se per caso la mossa da hedge fund di CalSTRS fosse dovuta proprio a un’emergenza legata alla crisi Cre, cosa accadrebbe se il secondo fondo pensione del Paese patisse perdite miliardarie? O, peggio, vedesse il Consiglio bocciare il ricorso al leverage, aprendo interrogativi su tenuta e accountability?

Certo, parlare di strumento intermittente per l’indebitamento a leva può apparire molto tranquillizzante. Ma la seconda parte del concetto, quella dell’alternativa a questa scelta che si sostanzierebbe con quasi certezza in un’obbligata svendita degli assets in detenzione, apre scenari inquietanti. Perché le macerie del precedente legato ai fondi pensione Uk ancora fumano. Pensate che a dieci mesi dalle elezioni, Joe Biden permetta una cosa simile? Qualcun altro pagherà. Qualcun altro finirà sull’altare votivo. Ora rileggete i titoli di quelle prime pagine. E fate due più due.

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