Déjà vu. Con il passare delle ore, la situazione politica del Paese sembra un mosaico le cui tessere cominciano a combaciare alla perfezione. Il ministro dell’Interno pare avere politicamente i giorni contati. Non tanto e non solo per la richiesta di dimissioni avanzata da una già attivissima Elly Schlein, quanto per la decisione di Sergio Mattarella di recarsi sul luogo del tragico naufragio.
Come dire, occorre mettere una toppa istituzionale alla situazione. Pessimo segnale per un Governo che si trova senza leader, attualmente occupata in India. Paese che, notoriamente, mal concilia la propria posizione sulla Russia con quella di palazzo Chigi. Voto dell’altro giorno Onu in testa. E senza parlare del piglio con cui è stata gestita la questione Ucraina al G20 di Bangalore e gli auspici di freddezza con cui Anthony Blinken ha già cassato quello dei ministri degli Esteri.
Ma segnale ancora più significativo, due portavoce si sono dimessi nell’arco di un giorno. Quelli dei ministri Valditara e Sangiuliano. Per chi conosce il sottobosco romano, un segnale di avvicinamento preventivo alle scialuppe di salvataggio ancora più significativo della mossa ufficiale del Quirinale. Lo stesso ministro Lollobrigida, fedelissimo e cognato di Giorgia Meloni, ha detto chiaramente che sull’accaduto di Crotone occorre fare chiarezza. Come dire, servirà una testa da far rotolare in favore di telecamere. Non a caso, il ministro Piantedosi ha preannunciato di volersi fare carico per eventuali responsabilità. L’alternativa, infatti, sarebbe Matteo Salvini. Tradotto, crisi di governo.
A stretto giro di posta, poi, la bomba; Giuseppe Conte, Roberto Speranza, Attilio Fontana, Giulio Gallera e l’intero Cts indagati nell’inchiesta sulle morti per Covid della procura di Bergamo. Nel mirino, la mancata proclamazione della zona rossa. E i conseguenti decessi. Un terremoto. A impatto mediatico e sociale pressoché incalcolabile. Come il danno che rischiano di subire politicamente M5S e i cespugli a sinistra del Pd. Il tutto mentre il Parlamento si appresta a varare la Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza pandemica. Tutto nell’arco di tre giorni.
Sullo sfondo, un Paese che si avvicina al primo vero test di affidabilità creditizia post-Bce con l’emissione del Btp Italia prevista dal 6 all’8 marzo. Mentre l’inflazione, la stessa che quella carta si ripromette di schermare per quel pubblico retail divenuto esiziale, torna ad alzare la testa. In Francia, in Spagna e anche in Germania. Forse riprogrammando Suburra, RaiMovie ci aveva proprio azzeccato un paio di settimane fa. Per quanto tutto possa ancora ricomporsi, apparentemente sembra infatti partito un conto alla rovescia verso un drastico quanto inatteso reset politico. Nel Governo come all’opposizione.
Infine, a palazzo Chigi arriva un giornalista navigato e di grande conoscenza economico-finanziaria come Mario Sechi nel ruolo di capo ufficio stampa. Qualcuno, molto probabilmente al Mef, sa che nelle prossime settimane il rischio principale è quello di un prepotente ritorno dello spread. E serve qualcuno in grado di gestire la situazione. Tutt’intorno, il 1992. Reloaded. Ancorché in sedicesimi, occorre ammetterlo. Non fosse altro per il profilo politico dei protagonisti. E il poco rimasto da razziare del sistema Italia.
Non ci credete? Guardate questi grafici, di fatto la conferma di una nuova crisi del debito sovrano europeo in lievitazione. I decennali benchmark salgono. Di tutti. E se la Bce continuerà ad alzare i tassi, come pare garantito, qualcuno farà scattare l’allarme rosso. Ovvero, o noi o la Spagna diventeremo l’agnello sacrificale.
E attenzione ulteriore. Perché in circolazione c’è un po’ troppo entusiasmo rispetto alla ripresa economica della Cina, di fatto letta come driver globale e antidoto alla recessione. E se fosse un contango da Qe? Certo, Hong Kong che chiude a 4% dopo il dato di espansione dell’attività manifatturiera cinese più rapido dal 2012 sembra confermare come il Dragone sia finalmente pronto a ripartire e operare da booster. D’altronde, la fine delle restrizioni da Covid pare parlare questa lingua. Attenzione però agli effetti collaterali. E ai potenziali bluff sistemici.
Se, infatti, appena diffuso il dato, le aspettative inflazionistiche tedesche a 10 anni sono volate al 2,56%, massimo dal maggio dello scorso anno, ecco come la cartina ci mostri il numero di containers fermi al largo delle coste cinesi, una variabile che può prestarsi a diverse interpretazioni.
Certo, l’attività in grande stile è appena ripresa. Certo, gli ordinativi di nuovi containers hanno generato, oltre a un crollo delle tariffe, anche un’aspettativa di maggiore offerta che potrebbe giustificare qualche assembramento di navi da trasporto vuote e ancorate. E se invece la ripresa cinese fosse meno sostenuta di quanto crediamo? O, peggio ancora, se Pechino stesse giocando una carta geo-economica nuova? Le sanzioni cui starebbero lavorando gli Usa, unite al bando su TikTok che sta unendo in un fronte comune Usa, Canada e Ue, paiono tasselli di un mosaico che intende ampliare la lista degli attori del conflitto ucraino. In questo caso, puntando dritti all’apparente regia, quantomeno dopo la presentazione del piano di pace e le chiare aperture diplomatiche di Pechino verso Mosca e Minsk. D’altronde, il Covid ci ha insegnato come la realtà possa tranquillamente essere piegata alle emergenze e alle esigenze, più o meno reali. E con essa, i dati macro e le conseguenti scelte di politica monetaria.
Insomma, se quei containers vuoti e parcheggiati al largo fossero l’arma a salve di una sparatoria simulata, ma con conseguenze decisamente concrete? Che tipo di shock investirebbe le Banche centrali occidentali e le aspettative inflazionistiche, se la Cina tra un mese ribaltasse il quadro e dichiarasse implicitamente aperta la recessione? Cosa accadde quando, non più tardi di un mese e mezzo fa, Pechino richiuse tutto, preannunciando un nuovo, draconiano round di lockdown per l’ennesima variante (poi rivelatasi un raffreddore)? La Fed cominciò a parlare di rallentamento nel processo di rialzo dei tassi, il famoso pivot che ha generato rialzi azionari e garantito benzina al motore di buybacks e short squeezes. Se ora accadesse lo stesso, smontando le speranze di ripartenza ma anche i timori di un’esportazione di inflazione verso il mondo, come confermato immediatamente dal proxy tedesco? Sarà la Cina a inviare lo shock verso una prima ipotesi di taglio dei tassi?
Una cosa appare certa, fin da ora. Anzi, due. Piaccia o meno, Pechino è sempre più market-maker che market-mover. Detiene il banco. E si sa, il banco tendenzialmente vince sempre. Secondo, se questa strategia si rivelasse reale, aumenta a dismisura il rischio di policy error. Bce in testa. Come ci insegna il precedente di Jean-Claude Trichet. Come dimostrano quei grafici sui rendimenti benchmark sovrani europei. E l’aria da 1992 che tira in casa nostra.
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