Scusate, avete avuto più notizie del golpe da film di Ugo Tognazzi in Corea del Sud? Apparentemente, siamo precipitati in pieno nella barzelletta.
Dopo il voto per l’impeachment del presidente Yoon Suk Yeol di sole due settimane fa, ieri il Partito democratico ha indetto un voto di sfiducia anche per il suo successore, il Presidente facente funzioni Han Duck-soo. Approvato dalla maggioranza parlamentare. Fuori due, come se l’impeachment di un Capo di Stato fosse una multa per eccesso di velocità.
La ragione ufficiale? Non avrebbe nominato immediatamente tre nuovi giudici della Corte Costituzionale. La ragione ufficiosa e reale? In primis, l’indice composito che monitora il sentiment dei consumatori è crollato di 12,3 punti a 88,4, ben al di sotto della soglia di 100 che divide ottimismo da pessimismo, stando a dati ufficiali resi noti quattro giorni fa dalla Bank of Korea.
Seconda, la mostra questo grafico: lo won coreano è crollato ai minimi sul dollaro dalla Grande crisi finanziaria nel giorno di Natale. Questo nonostante la medesima Bank of Korea stia sostenendo valuta e mercati con manovre che vanno bene al di là dell’ordinario. Già ora. E ricordiamoci sempre che la Corea del Sud lo scorso marzo ha introdotto il divieto assoluto di vendite allo scoperto.
Vuoi vedere che la crisi era nota da tempo e, alla luce di tutte le inutili mosse preventive, il golpe si sia reso drammaticamente necessario come in una grottesca e pericolosa commedia dell’assurdo? D’altronde, i media sono così. Se non c’è di mezzo il Cremlino, tendono a dimenticarsi delle notizie. I golpe durano un giorno. Massimo due. Poi passano in cavalleria fino al prossimo coup de theatre. E, soprattutto, si tende a non rendere note le ragioni sottostanti certe crisi. Anche perché la Corea del Sud è un mercato-canarino del favoloso mondo dei microchip e del tech. Esattamente come Taiwan. Sia mai che la gente cominci a porsi domande rispetto alla sostenibilità di certi scenari.
Ma non pensiate che la cosa sia appannaggio solo di certe latitudini. Anzi. Ricordate il voto austriaco del 29 settembre scorso? Anche in quel caso, fiumi di inchiostro e retorica contro l’onda nera della Fpo. La quale ha sì stravinto le elezioni, ma ha patito un trattamento alla francese da parte del presidente della Repubblica e dei due principali partiti: cordone sanitario antifascista, esclusi dai colloqui per la creazione di un nuovo Governo. Appestati. Che meraviglia la democrazia! Ebbene, a tre mesi da quel voto, qual è lo stato dell’arte nel piccolo Paese alpino? Nessun Governo. Nessun accordo. Ma prosecuzione della politica di non agibilità politica della Fpo. Il risultato concreto? Lo mostra questo grafico, relativo all’ultimo sondaggio disponibile, realizzato dal quotidiano Kronen Zeitung il 17-18 dicembre.
Non solo Fpo ancora saldamente primo partito, ma con un +8% rispetto al dato elettorale, mentre Popolari in calo del 5% e Socialisti dell’1%. Maledetta sindrome collettiva da Anschluss, nostalgia canaglia del Terzo Reich? Quando e se mai La Repubblica decidesse di trattare il tema, certamente questo sarebbe il taglio dell’articolo. Un misto di delirio woke e rievocazione fuori tempo massimo dei valorosi carnefici di Hitler. La realtà? Molto basica. Ma poco spendibile. In primis, è arrivato il freddo. E da quelle parti, picchia duro. Ed essendo l’Austria dipendente al 70% dal gas russo, i prezzi in rialzo e la prospettiva di ulteriore impennata a partire dall’anno nuovo, quando l’Ucraina negherà il transito via pipeline a Gazprom, hanno fatto lievemente irritare gli austriaci che pagano la bolletta. Casualmente, Fpo è da sempre contraria alla politica di sanzioni contro la Russia. Gli altri due Partiti, favorevolissimi. Insomma, più che il Fuhrer, conta il calorifero.
In seconda battuta, l’immigrazione. Altro tema cavalcato da sempre da Fpo, ovviamente fra le accuse di xenofobia. Difficile però per Popolari e Socialisti proseguire nel loro copione da democrazia sotto assedio, poiché appena caduto di regime di Assad, Vienna ha immediatamente bloccato gli ingressi a nuovi profughi siriani. E sta valutando uno screening delle posizioni di quelli già presenti sul suolo austriaco, al fine di valutarne i requisiti. Tradotto, porte chiuse. Se non per rimandare a Damasco qualche migliaio di non più aventi diritto. Ipocrisia fino al midollo. Ma i sondaggi non perdonano. Esattamente come questo, il quale ci mostra come a due mesi dal voto spartiacque in Germania, la leader di Alternative fur Deutschland sia vista dalla maggioranza degli interpellati come il miglior Cancelliere possibile.
A livello di partiti, la Cdu si attesta sul 31% e Afd attorno al 19,5%, ma quando si chiede quale sia la persona giusta al posto giusto, molto probabilmente gli elettori dei democratici-cristiani non guardano alla logica di schieramento e al tifo di stampo calcistico. Guardano alle ricette. Pragmaticamente. E Alice Weidel le ha riproposte con forza nel suo comizio pre-natalizio e dopo l’attentato di Madgeburgo. Porte chiuse, espulsioni di massa ed extrema ratio di addio all’euro, se la permanenza nella moneta unica compromettesse ulteriormente il profilo industriale della Germania.
Ma ecco che a scaldare – mai verbo fu più azzeccato – gli animi di elettori bipartisan ci ha pensato il nuovo cavallo di battaglia di Afd: ritorno immediato al nucleare con la riapertura a tempo di record dei reattori chiusi e la costruzione di nuovi sul modello francese. Esattamente quanto chiesto da mesi e mesi dalla Confindustria tedesca. Perché la follia verde dell’eolico non solo ha fatto esplodere l’utilizzo e il costo del gas, ma anche rinvigorito l’utilizzo del carbone. Anche qui vediamo sullo sfondo l’ombra russa, poiché Afd è da sempre contraria alle sanzioni. Mentre Olaf Scholz ha sempre giocato sull’ambiguità verso Kiev e la Cdu non ha mai avuto il coraggio di contrastare realmente la linea di governo.
Il vero mercato non è la Borsa. Il vero mercato è la politica che vi nascondono, il paradosso di una democrazia negata in nome della sua difesa da fantomatiche onde nere e interferenze rosse. E le sue ragioni inconfessabili.
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