Non so se ci avete fatto caso, ma, da quando Mario Draghi ha dato l’addio all’Eurotower, è calato un silenzio tombale sull’operato della Bce. Nessuna mancanza di rispetto verso Christine Lagarde, per carità. Però è oggettivo come, instradatosi il cammino della Banca centrale europea lungo i binari prefissati da SuperMario fra settembre e ottobre scorsi, la sensazione è quella di un’istituzione di vitale importanza per la sopravvivenza dell’eurozona che si muove però con il pilota automatico. Non dico eterodiretta, ma, certamente, non direttamente legata all’operatività indipendente e quotidiana del nuovo board.



Il problema, parlando di questioni che vanno a toccare l’ambito finanziario, è che quando si arriva a questo tipo di environment politico, la sensazione è che si stia sfruttando l’oblio per mettere in cantiere scelte e opzioni che necessitano appunto della massima discrezione, al fine di non inviare messaggi sbagliati o mal interpretabili ai mercati. Ad esempio, come giudicare quanto dichiarato lo scorso 16 novembre da Madis Muller, governatore della Banca centrale estone e membro del Governing council della Bce, a un evento organizzato dalla Bundesbank a Francoforte per gli studenti di economia?



Il nostro eroe, il quale lo scorso settembre si oppose alla decisione di Mario Draghi di far ripartire il Qe, ha infatti dichiarato che “la Banca centrale europea potrebbe ampliare il suo programma di acquisti diretti sul mercato, se la situazione economica dell’eurozona dovesse deteriorare in maniera significativa”. In sé, apparentemente, nulla di eclatante. Appare infatti normale che un’istituzione come la Bce reagisca ai mutamenti macro, adattando in corso d’opera le sue risposte operative. Il problema è che quando un giornalista ha avuto l’ardire di chiedere a Muller a cosa si riferisse in maniera specifica, la risposta è stata quantomeno generica: “Attualmente, stiamo facendo cose non convenzionali. E dovreste immaginare, ovviamente, anche cose ancora più non convenzionali, se la situazione dovesse davvero mettersi male”. Cosa? “No comment”, rispetto a ogni aspetto specifico.



Ma Muller è la stessa persona che, una volta riattivato il Qe, non ha perso tempo nel citare la Banca centrale svizzera e la Bank of Japan come esempi di istituzioni che perseguono sforzi superiori a quelli in atto nell’eurozona per stimolare l’economia. Per l’esattezza, “ci sono metodologie di intervento che vanno oltre l’acquisto di bond governativi o corporate o altri assets che la Bce sta già acquistando ora”. In parole povere, se le cose dovessero davvero mettersi male, l’Eurotower potrebbe acquistare direttamente titoli azionari, magari operando attraverso Etf come la Banca centrale nipponica. Muller non lo ha detto chiaramente e, a domanda diretta, ha opposto un laconico quanto rivelatore “no comment”, ma capite bene che, andando per esclusione, non si stagliano all’orizzonte altre mosse di immediata, possibile operatività diretta che escludano acquisti sugli indici.

A quel punto, però, sarebbe davvero il varco del Rubicone. Per più di una ragione. Primo, l’eurozona entrerebbe in una dinamica dalla quale – come ci insegna proprio l’esperienza giapponese – difficilmente si trova la strada del ritorno. Secondo, la Bundesbank – al netto della crisi economica tedesca – se accettasse una mossa simile, si rimangerebbe anni di retorica ma anche di decisioni improntate al non interventismo e al rigore. Terzo, quando un Continente di fatto senza una guida politica credibile (con buona pace della neonata Commissione a guida Von der Leyen), un’unione fiscale e bancaria e una difesa comune arriva a questo punto, significa che la Bce si trasformerebbe in organo decisionale e legislativo. Di fatto, l’Eurotower prenderebbe ufficialmente il timone, scalzando con la sua operatività fattiva – e, in questo caso, emergenziale – la stessa Commissione. Pericoloso, molto pericoloso. A meno che l’idea di una Banca centrale che governa la politica non sia il vostro sogno distopico proibito: a quel punto, altro che Mes.

E sempre nel silenzio mediatico, un altro sassolino è stato lanciato nello stagno del sospetto nientemeno che dal vice-presidente della stessa Bce, lo spagnolo Luis de Guindos. Il quale, parlando a una conferenza pubblica il 21 novembre, ha rilasciato una dichiarazione che si inserisce a cavallo fra il bizzarro e il mea culpa, ammettendo che l’attuale politica dell’Eurotower mette a rischio la stessa stabilità finanziaria. Ecco le sue parole: “Se il regime di tassi molto bassi offre un sollievo all’economia nel suo complesso più ampio, abbiamo notato in contemporanea un aumento nelle assunzioni di rischio che potrebbe portare a sfide per la stabilità finanziaria… I segnali di questo atteggiamento ci arrivano quotidianamente da soggetti come fondi pensione, fondi di investimento e compagnie assicurative, i quali hanno aumentato la loro esposizione ai segmenti più rischiosi dei settori corporate e sovrano. Questo potrebbe avere implicazioni per il costo del finanziamento corporate, una dinamica che potrebbe esacerbare ogni possibile sviluppo recessivo e ribassista dell’economia reale”.

Infine, un ragionamento che suona come un’infausta previsione: “Una virata al ribasso della situazione economica della zona euro potrebbe schiacciare le valutazioni per gli assets più a rischio e meno liquidi, visto che attori di mercato come asset managers e hedge funds venderebbero con grande velocità”. La famosa palla di neve che si tramuta in valanga. Verrebbe da chiedere: cosa sanno, direi per certo, alla Bce che noi comuni mortali ancora ignoriamo? E perché nessuno ne parla, visto che due eminenti membri del board di Christine Lagarde discettano apertamente di acquisti diretti anche di nuovi assets (leggi, titoli azionari) e di azioni politiche dell’Eurotower che potrebbero addirittura mettere a rischio la stabilità finanziaria dell’eurozona, quasi a dire che la situazione è di una gravità tale che occorre assumere qualche azzardo?

Non vi paiono argomenti sufficientemente seri da meritare almeno un articoletto sui quotidiani o quattro parole di resoconto al tg della sera? A cosa si sta preparando, silenziosamente, la Bce? E la sparizione dalle scene della Bundesbank e del suo rigoroso numero uno, cosa deve farci intendere? Forse che, già oggi, una recessione in piena regola è certificata e assicurata, ma che, contestualmente, i dati in possesso di Francoforte vedono le sfide in arrivo ancora più serie? Ad esempio, dobbiamo in qualche modo collegare le parole di Muller e De Guindos alla scelta, nella prima asta del nuovo Qe, di intervenire direttamente sul mercato primario dei bond corporate, acquistando con il badile obbligazioni in emissione del produttore di automobili tedesco Daimler? E ancora, questi segnali più o meno in codice che la Bce sta inviando ai mercati, hanno a che fare con la decisione di un leader mondiale del settore come Audi di tagliare, di colpo, 9.500 posti di lavoro su 90mila a livello globale e 60mila solo in Germania? Siamo alla vigilia dell’implosione dell’intero comparto automobilistico globale, un vero e proprio armageddon manifatturiero che vedrà i soggetti in partita – Usa, Cina ed Europa – guerreggiare senza esclusione di colpi per cercare di sopravvivere? Per questo, forse, la Cina ha tagliato di netto i sussidi governativi all’auto elettrica, per far esplodere quella che ha capito essere soltanto una bolla ed evitare guai interni con produttori già oggi indebitati fino alle orecchie? E, nel contempo, schiantare competitor come la statunitense Tesla e i tedeschi, i quali hanno speso 100 miliardi di euro per riconvertire l’intero settore all’auto ambientalmente compatibile?

Qualcosa, di fondo, c’è. Altrimenti, il buon Muller non si sarebbe permesso di rilasciare dichiarazioni tanto sibilline quanto, in realtà, esplicite nella loro drammaticità. Oltretutto, nel corso di un simposio organizzato dalla Bundesbank. Prepariamoci, perché la tempesta pare davvero all’orizzonte.